Copernico, Galileo, Keplero,
sostenuti da cerchie di aristocratici ed intellettuali di alto bordo, il popolo
difatti non contava niente in questo dibattito astruso, guidavano la loro
ricerca illuminati dalla loro fede ermetica, di matrice solare, che proprio in
quegli anni si stava radicando sottotraccia, sulla scia degli insegnamenti
trasmessi specialmente nei trattati, De
Triplice vita, De Sole, De Lumine, dell’equivoco sacerdote Marsilio Ficino,
volti a divinizzare il Sole, in virtù delle molteplici energie irradiate da
esso.
Lo
stesso Giacomo Leopardi, scriverà: «Il Sole fu il primo oggetto che attirò
a sé gli occhi dell’uomo rivolti verso il cielo. Adamo innocente non tardò ad
avvedersi che quest’astro non era che la base del trono di un Essere superiore:
penitente, non dimenticò la verità che aveva appresa nello stato della sua
innocenza; ma la dimenticarono ben presto i suoi figli. Il Sole era bello,
benefico, la sua luce era di una sorprendente vaghezza, la sua attività era
mirabile: ciò bastava perché i popoli lo stimassero degno di culto»[1].
Sulla
scia di Giuliano l’apostata, che nell’inno ad Helios Re declamava: «Il Sole materiale è l’immagine di un
altro Sole, che i nostri occhi non possono afferrare e che illumina le stirpi
invisibili e divine degli dei intelligenti dal mondo superiore», gli alchimisti
rinascimentali iniziarono a cercare di attirare e condensare i raggi solari nei
metalli. Essi cercavano di estrarre dal “sacro fuoco” la famosa quintessenza, in
grado di trasmutare la materia grezza in oro, ottenendo l’elisir di lunga vita,
la panacea e tutte le altre denominazioni attraverso le quali si è voluto
rendere pittoresca una disciplina sconosciuta ai più, in quanto segretamente praticata
da pochi. È questa essenza energetica solare, celebrata, ricercata, captata
mediante pratiche magiche ed alchemiche, il vero centro e motore dell’eliocentrismo
e del movimento esoterico e rivoluzionario ad esso associato, che ritornò ad
operare nella storia dell’umanità.
Difatti,
dalla corte fiorentina venne celebrata la dottrina eliocentrica, prima ancora
che Copernico la rielaborasse, cercando di trasporla in ambito cosmologico nelle
paginette del Commentariolus, la
prima sua breve opera nella quale, in stile euclideo, esponeva sette postulati circa
l’ipotesi eliocentrica della quale, probabilmente, nemmeno l’Autore era
convinto. Difatti, in seguito, dovette scomodarsi il Retico, che dalla sede di
Wittenberg, venne inviato, forse proprio dallo stesso Melantone, a stimolare
energicamente il potente canonico della Warmia, Nicola Copernico, confortato da
una vita agiata, trascorsa in more uxorio con una donna sposata, per fargli riprendere
l’antico progetto eliocentrico partorito nel giovanile soggiorno italico e che
egli stesso, nella «Dedica
al Santissimo Signore Paolo III, Sommo Pontefice», del suo famoso libro «Sulle Rivoluzioni», giudicò come «Elucubrazioni che
andavano contro lo stesso senso comune, immaginando qualche movimento della
terra».
Peraltro,
è assai poco considerata la compartecipazione di Copernico all’interpretazione pitagorica
del Sole. Poco soppesati i significativi riferimenti alla cultura iniziatica,
contenuti nel Libro Primo del De
revolutionibus, acquisiti sotto
la guida di Domenico Maria Novara, in contatto con la corte medicea. Del tutto
sottaciuta, la militanza iniziatica di Copernico (1473-1543), dimostrata dalla
sua protezione accordata al giovane tedesco Alexander von Suchten (1520-1590),
medico, alchimista, astrologo, a sua volta discepolo del discusso filosofo e
mago Paracelso (1493-1541). Il quale, modestamente, dichiarava di sé: «Io sono Teofrasto, e
valgo più di coloro con i quali mi mettete al confronto. Io sono io, e sono il monarcha medicorum, e a me è lecito
dimostrare a voi quello che voi non potete dimostrare a me»[2].
Tutti questi personaggi bazzicavano nell’area germanica nella quale operavano
segretamente gli inafferrabili Rosa-Croce, ai quali era collegato, in analoga
modalità sottotraccia, anche l’ex monaco agostiniano, autore delle famose tesi
del 1519, affisse sul portale della cattedrale di Wittenberg[3].
Von
Suchten, impegnato nella comune missione di diffondere la latria solare,
richiamava la stessa immagine ermetica proposta nel De revolutionibus, riguardo alla signoria del Sole ed alla sua
eccellenza su tutti gli elementi. Nel trattato, De vera medicina, con toni enfatici scrive: «Il Sole siede come un
Re al centro, in mezzo agli altri pianeti, sovrastante tutti in luce,
distribuisce a tutti la luce e la vita provenienti da sé. Tutto ciò che abbiamo
di buono lo abbiamo dal Sole… così il Sole governa il cielo ed il mondo nello
stesso universo, e le cose che sono in lui, poiché ne ha il dominio»[4].
Più
o meno, un centinaio di anni dopo, questa celebrazione metafisica del Sole,
venne fissata in forma razionale ed astronomica da Johannes Keplero. Il quale, ingabbiando
nel modello eliocentrico i dati di Tycho Brahe, uscito di scena, per così dire,
provvidenzialmente[5],
riuscì a dare una veste formale alla causa eliocentrica, patrocinata dall’invisibile
“tempio”, operante in ambito europeo. In tale indefinibile sede, si celebravano
segretamente le glorie di un nuovo oriente, iniziatico, alternativo al vero
Oriente, Gesù Cristo, «Oriens
ex alto» (Lc 1, 78).
Questi iniziati, come affermò Robert Fludd, altro esoterista collegato a
Paracelso, fanno parte di una «Chiesa
sotterranea» che, a seconda delle situazioni, agisce e si
manifesta sempre in forme diverse nella storia del mondo.
La
strategia adottata da questa gilda di alti intellettuali, prevedeva l’insinuazione
surrettizia del dubbio cartesiano, nel Corpo Mistico di Cristo della
contraddizione, per insidiarlo attraverso l’ingenuità di suoi ministri e
l’ignoranza dei suoi fedeli, facilmente ingannabili dai nobili proclami. Erano
gli anni, insomma, nei quali stava prendendo piede lo Spirito di Sintesi, eggregore
o idolo, collegato alla Fama Fraternitas Rosacruciana, profetizzato dall’ispiratore
dei rosacroce Paracelso[6], al
quale come detto era collegato il protetto di Copernico, von Suchten.
Paracelso, nel suo trattato De
Mineralibus, riguardo alla venuta dell’«Elia artista», scrisse: «Dio
permetterà che si faccia una scoperta della maggiore importanza, che deve
rimanere nascosta fino alla venuta dell’Elia l’artista»[7]. Il
reverendo luterano Valentino Andree (1586-1654), occultista ed alchimista,
legato ai Rosacroce, identificò questo Elia artista «con un’associazione fidata
di alchimisti impegnata nella ricerca fino allora fallita di scoprire il
segreto della trasmutazione dei metalli»[8]. Ed in
effetti, l’arte a cui si riferiscono il Teofrasto ed i suoi compagni è proprio quella
alchemica, insieme a tutte le pratiche occulte e magiche ad essa collegate,
finalizzate a realizzare dietro la trasformazione dei metalli grezzi in oro,
quella ben più importante delle anime e della società. Questo Elia avrebbe
dovuto aprire le porte all’anticristo, così come Elia ed il Battista le
prepararono a Cristo.
Il
rifiuto della religione Cattolica, dei suoi riti, delle sue promesse
ultraterrene, adombrate da alcuni fattori terreni, i quali tuttavia non rendono
inefficaci l’azione della Grazia, si manifestava anche nella ricerca di
interazioni dirette con la dimensione invisibile e con le forze oscure, strette
nei lacci della divina riprovazione e quindi in cerca di espansione in quella
terrena. In questa prospettiva densa di significati reconditi, si può
ricondurre il rituale, solo in apparenza pittoresco, che diede avvio, giovedì
25 settembre del 1603, alle 9 e 50, alla famosa Accademia dei Lincei, fondata a
Roma dal principe Federico Cesi, insieme a quattro soci. Tra questi, Johannes
van Heeck, naturalista olandese che dopo aver ferito a morte uno speziale,
l’anno seguente fu costretto ad abbandonare l’Italia, impazzendo infine nel
1616.
Il
documento del verbale dell’inconsueta riunione, esposto a Parigi in una mostra
sul Seicento in Europa, nel lontano gennaio del 1992, scritto anche con
carattere cifrati, rivela che i cinque fondatori scelsero il giorno e l’ora non
a caso, ma secondo superstizioni astrologiche, credendo così di propiziare
favorevolmente l’ascendente degli spiriti astrali, specialmente quello di Mercurio-Hermes. Il redattore del catalogo spiega
che «Il testo redatto dal Cesi appare chiaramente come un’operazione magica,
condotta secondo i canoni dell’ermetismo rinascimentale, con la quale si cerca,
mediante la manipolazione di metalli e vegetali collegati ai pianeti, di
attrarne simpateticamente l’influsso, convogliandolo su di sé dalla sfera
superiore del cosmo. Si legge sul documento consunto e ingiallito: “Su fogli di
carta di seta predisposti allo scopo venivano trascritti pitagorici misteri”»[9].
Questo
cerimoniale, dal quale prese avvio il circolo scientifico italiano, che divenne
modello anche per la famosa Royal Society, presieduta anche da Isaak Newton,
sembra ricalcare le procedure iniziatiche caldee ed egizie, finalizzate alla
creazione ed animazione di quei legami psichici, anche detti eggregori. Tale parola
di matrice greca indica un gruppo di persone collegate da ideali, mode, credenze,
riti comuni. L’eggregore è una sovrastruttura immateriale che si crea mediante
l’unione di persone, in un livello di esistenza non percepibile. Esso si
manifesta tramite i componenti che lo rappresentano, e continua ad operare
anche quando questi si separano. Richiede di essere regolarmente alimentato, essendo
un organismo, anche se di altra natura, per alimentare e difendere a sua volta
chi lo alimenta. Sembra un circolo vizioso, inesistente e fantasioso, pur
essendo una realtà scontata e ben nota nella cultura magica. È difatti l’entità
psichica creata che sceglie e governa i suoi creatori, al fine di consolidarsi
ed accrescersi, lottando a tutti i livelli, per dominare su analoghe entità.
Sembra
quindi possibile che, nella seconda metà del Quattrocento, la cerchia medicea
sia riuscita a produrre l’idolo-eggregore solare, secondo le riscoperte
ritualità della magia ermetica, mascherate in dotta erudizione. La forma
associata a questa entità psichica richiama quella del plastico ideogramma copernicano
del Sole centrale, concepito da Keplero come un’anima dotata di una forza di
tipo magnetica. Questa forma energetica si accingeva a richiamare ed assorbire,
per essere giustificata e razionalmente fortificata, le migliori intelligenze
dell’epoca. Fra le quali, quella del pitagorico Johannes Keplero. Il quale,
seguendo idee sconclusionate, come quelle esposte prima nel Mysterium e poi nel suo farneticante Somnium, popolato da demoni, filtri e
fantasiosi viaggi lunari, trovò delle soluzioni matematicamente giuste. Dopo un
lungo e snervante lavoro di calcolo algebrico, egli ricavò la seconda famosa legge,
nata per prima, delle aree percorse in tempi uguali dai pianeti, intorno al
Sole. Impiegò altri tre anni, per ricavare la cosiddetta prima legge, la quale
afferma che le orbite sono ellittiche ed il Sole occupa uno dei due fuochi.
Keplero,
con le sue famose leggi geometriche, ha dato ragione della forma geometrica corrispondente
alla metafisica eliocentrica, in grado di insidiare il senso comune, immaginando
con la forza della ragione un moto terrestre ideale a discapito della quiete
reale. Del resto, la componente fondamentale della magia è la forza dell’immaginazione,
in grado di far credere la realtà di quanto immaginato. Attraverso
l’immaginazione Keplero, nel suo pitagorico Somnium,
sognerà di recarsi sulla Luna, grazie all’azione di un demone, e di lassù
immaginare di vedere ruotare la Terra, allo stesso modo in cui dalla Terra si
vede girare intorno il suo satellite naturale. Egli in queste pagine, per ovvie
ragioni pubblicate postume, ma circolanti sottobanco da tempo, diede spazio all’immaginazione
scrivendo, tra l’altro:
«Tutti
strepitano che il moto delle stelle intorno alla Terra è evidente agli occhi di
chiunque, come pure lo stato di quiete della Terra stessa. Io ribatto che agli
occhi dei lunari risultano invece evidenti la rotazione della nostra Terra ed
anche l’immobilità della Luna. Se mi si obiettasse che i sensi dei miei lunari
si ingannano, con pari diritto potrei obiettare che sono i sensi di noi terreni
a ingannarsi, quando sono privi della ragione»[10].
Keplero
oppone all’evidenza della realtà l’immaginazione. Difatti, non potendo negare il
senso comune, circa la certa percezione del moto e della quiete terrestre, lo
relativizza, immaginando che lo stesso ragionamento possa applicarsi sul nostro
satellite naturale. Questo come se non fosse possibile stabilire chi
effettivamente sia in quiete e chi in rotazione, in base ai relativi effetti. Se
noi tutti abbiamo la sensazione di stare fermi, è perché non ci sono effetti
rotazionali sensibili che dimostrano il contrario. Il movimento della Terra si
dimostra solo con l’immaginazione razionale. Immaginare di andare sulla Luna, supponendo
di rilevarvi gli stessi effetti rinvenibili sulla Terra è difatti un argomento persuasivo,
ma ipotetico, certamente non fisico. Procedimento simile alla potente campagna
di persuasione mediatica, sempre impegnata nel farci credere di essere davvero
andati sul nostro satellite naturale.
[1] G.
Leopardi, Saggio sugli errori popolari,
Capo nono, Del sole.
[2] In E.
Garin, L’uomo del Rinascimento, Ed.
Laterza, Roma-Bari 1993, p. 196.
[3] Cfr. E.
Innocenti, Inimica vis, Roma 1990, p.
10.
[4] In A.
Boella e A. Galli, Divo Sole, Ed.
Mediterranee, Roma 2011, p. 82.
[5] Cfr. L’altra faccia del Sole, Armando 2013,
p. 87.
[6] Zaira
Fusco, Il Sapere esoterico dei Rosacroce,
Om Edizioni, Bologna 2009, pp. 60-65.
[7]
Cfr. J. G. Bennet, Subud – Il contatto
con la fonte di vita, Ed. Mediterranee, Roma 1978, presentazione di D.
Piantanida, p. 9.
[8] E.
Gallo, Maghi, sciamani e stregoni,
Piemme, Casale Monferrato 2000, p. 400.
[10] Cfr. A.
M. Lombardi, Il sogno di Keplero,
Sironi, Milano 2009.
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