martedì 6 febbraio 2024

Sferamundi: LA FALSA PROVA DEL PENDOLO DI FOUCAULT

Sferamundi: LA FALSA PROVA DEL PENDOLO DI FOUCAULT:                              Il fisico francese Jean Bernard Leon Foucault iniziò gli studi di Medicina, abbandonandoli successivamente pe...

lunedì 20 febbraio 2023

ELÉCTI DEI

 


Più che mai, in questo tempo dove lo scandalo e la crisi dilagano, anche dove non dovrebbero, è bene tenere a mente che: «Appartiene alla bontà di Dio il permettere che esistano dei mali, per trarre da essi dei beni»[1]. Un istruttivo esempio di questa strategia, messa in atto dalla Provvidenza per sopraffare il male, ci è dato dall’ultimo tratto di storia della sulfurea ed angelica città di Torino.

 

Secondo un’antica leggenda, la popolazione nordica dei Taurisci discese dal sacro monte Thor, finché giunse e stazionò nell’attuale pianura torinese, dove i fiumi Dora e Po confluiscono, formando una ipsilon Y. Simbolo che richiama la scissione dell’unità, il divide et impera, ossia la logica del diavolo. Questa popolazione si stabilì nella spianata torinese, protetta dalla maestosa schiera alpina, perché i monti e la pietra venivano posti in relazione al Sole. La roccia, difatti, conserva ancora il calore, quando l’astro scompare. Si pensava allora che il potere del Sole fosse effettivamente presente all’interno della roccia. Del resto, gli antichi popoli ricavavano il fuoco dallo sfregamento delle pietre, quasi a comprova che la potenza dell’astro splendente fosse presente nelle rocce e nei «betili», reputati come dimore della divinità solare.

Successivamente, avvenne la filiazione egizia di Torino. Fu il barone savoiardo, Filiberto Pingone (1525-1582), che nella sua opera, Augusta Taurinorum, citando uno studio del frate domenicano, Annio da Viterbo (1432-1502), ricondusse la vera fondazione della città, nel 1529 a. C., quando il figlio di Iside, Fetonte o Eridiano, sbarcò sulle sponde italiche, per fondare alcune colonie, tra Liguria e Piemonte. Fetonte sarebbe tragicamente caduto nel Po, durante una corsa su un carro, che la leggenda subito trasformò in carro solare. Ove cadde, venne eretto un cippo, poi trasformato in tempio dedicato al dio Sole, intorno al quale si formò il primo insediamento cittadino, denominato «Euridania» o «Fetontia», divenuto poi Torino, il cui emblema è appunto il toro-bue-Api, simbolo del vitalismo universale che, attraverso il seme, feconda la materia terrestre.

Questo tempio racchiudeva cerimonie iniziatiche e magiche, dedicate allo spirito solare, finalizzate ad ottenere protezione e potere. Proprio per salvaguardare l’inviolabilità dei segreti custoditi in questo tempo, i sacerdoti stessi lo avrebbero distrutto, prima che venisse profanato dagli ultimi invasori: i Romani. Tuttavia, le antiche e sacre reliquie, insieme ad una grande ruota d’oro, simbolo astrologico solare, sarebbero state celate in un luogo segreto, dedicato allo svolgimento delle cerimonie tipiche della pseudo religiosità egizia: animazione di statue, evocazione di spiriti, sacrifici cruenti. Quanto narrato dal Pingone, troverebbe riscontri, pur vaghi, in una iscrizione posta su una statua dedicata ad Iside, ritrovata nel 1567, tra le rovine dall’antica cittadella, riconducibile ad un tempio intitolato alla stessa dea egizia, sul quale sarebbe stata eretta una chiesa dedicata a san Solutore Maggiore, distrutta poi durante l’occupazione francese (1536-1563).

Questa antica storia sembra avere, in un certo senso, una ricaduta nei nostri tempi. È nota difatti la fama sinistra di cui gode Torino, considerata in ambito iniziatico come l’unica città al mondo appartenente ai due triangoli esoterici: quello bianco, con Lione e Praga; quello nero con Londra e San Francisco. L’energia metafisica collegata a questa città, avrebbe richiamato i maggiori interpreti della magia, ad esempio Nostradamus, Cagliostro, Paracelso, che si impegnarono a reintrodurre nella società cristianizzata le nozioni e le pratiche magiche di matrice egizia.

Il culto di Iside, patrona della magia e del potere spirituale e materiale, tornò alla pubblica ribalta grazie a Napoleone, che la intronizzò come patrona di Parigi, dal 1811 al 1814, ricavando la sua figura rappresentativa da quella della Mensa Isiaca, appartenente al Museo Egizio di Torino[2]. Sebbene il culto pubblico di tale dea decadde il 14 aprile 1814, quando il Governo provvisorio decretò la soppressione di tutti gli emblemi e simboli introdotti nell’era napoleonica, il culto privato e le attività ad esso connesse continuarono a professarsi nella città sabauda.

Del resto, è noto l’impegno profuso dai Savoia, per radunare i più preziosi reperti dell’antico Egitto, a partire da Amedeo II, (1666-1732), e da Carlo Emanuele III che, nel 1757, incaricò il botanico Vitaliano Donati di recarsi in Egitto alla  ricerca di «qualche pezzo di antichità o manoscritto raro o anche qualche mummia delle più conservate»[3]. La costruzione del prestigioso Museo Egizio, oltre alla rivalutazione storica di tale civiltà, sembra aver dato spunto all’interesse verso i culti negromantici, praticati nei cunicoli segreti delle misteriose piramidi. Fatto sta che, in epoca risorgimentale, illustri esponenti della casa Savoia adottarono nei riguardi della cultura magica, nonché negromantica, una singolare apertura.

Afferma Pier Luigi Baima Bollone che: «Vittorio Emanuele II, in sintonia con la fama di appartenere ad una famiglia compromessa con pratiche esoteriche, non contrastò il dilagante medianismo»[4], che si diffuse nella sua epoca. Anche secondo Massimo Introvigne, Casa Savoia, tra il 1850 ed il 1870, mostrò una straordinaria tolleranza verso gli spiritisti, i maghi e i gruppi religiosi o parareligiosi più singolari e bizzarri. Persino il figlio di Vittorio Emanuele II, Umberto e la futura regina Margherita, erano in contatto con gli spiritisti partenopei, partecipando attivamente a sedute medianiche, come già avevano fatto alcuni appartenenti della casa dei Borboni, tra cui il Principe Luigi[5].

Torino segnò difatti la nascita, nel 1863, della «Società torinese di Studi Spiritici», che dall’anno successivo iniziò la pubblicazione della rivista Annali dello spiritismo in Italia. Ne fu animatore ed editore Enrico Dalmazzo, un tipografo convertitosi allo spiritismo, che chiamò alla direzione della rivista Vincenzo Scarpa, segretario di Cavour e del Principe di Carignano, decorato dallo stesso Re. Scarpa, sotto lo pseudonimo di Niceforo Filatete, rimase alla direzione della rivista dal 1865 fino al 1898. A tale società apparteneva anche Gaetano De Marchi, vicepresidente della Camera dei deputati. Presidente di questa associazione venne eletto addirittura lo «spirito guida» che trasmetteva, durante le sedute medianiche, presunte comunicazioni dall’al di là.

Nella rivista della società spiritistica, vennero pubblicati articoli pseudoscientifici e divulgativi, nonché cronache di presunte apparizioni e interazione con gli spiriti. Apparvero i resoconti di pseudo «contatti» non solo con spiriti profani, ma addirittura con quelli di san Francesco, sant’Agostino, san Luigi. Si dice persino che lo spirito del conte Cavour, che in vita protesse gli spiritisti, si manifestasse come fantasma a Massimo D’Azeglio, costringendolo ad impegnativi esercizi medianici.

Da parte sua, Giuseppe Mazzini era un accanito sostenitore dello spiritismo, in contatto con la teosofa Blavatskj e con John Yarker, «Gran Jerofante» di Menphis e Misraim, rito massonico esoterico al quale apparteneva anche Giuseppe Garibaldi, nominato, nel dicembre del 1861, «Primo Massone d’Italia, con l’onore di Gran Maestro di tutte le Logge»[6]. Mazzini «interpretava lo spiritismo come elemento di riscontro della necessità di una serie di esistenze successive e di reincarnazioni. Riteneva possibili sia le infestazioni che l’ispirazione, forme classiche della medianità»[7].

In questa prospettiva, forse, Mazzini  si sentiva come obbligato «alla logica di un suo piano preciso che gli imponeva, per mantenere alta la tensione, e lo diceva anche, di dover spargere sangue sacrificale. Sangue a suo parere, indispensabile per nutrire e mantenere viva la fiamma dell’eversione che prima o poi avrebbe saputo dare i suoi frutti e condurre alla vittoria. Dunque, gli occorrevano martiri. E gli tornava d’obbligo continuare imperterrito a percorrere la sua strada, cercando sempre neofiti da convincere e da mandare al sacrificio»[8].

Tuttavia, sempre in questa città particolare, nei cui pressi, in Val Susa, Costantino vide apparire in cielo il famoso segno, In hoc signo vinces, e che in una misteriosa lapide, riconducibile a Nostradamus, viene indicata come unico luogo nel quale coesistono il paradiso, l’inferno ed il purgatorio («ici il y a le paradis, l’enfer, le purgatoire»), come per un’imperscrutabile dinamica del contrappasso, per grazia di Dio, si determinò nello stesso periodo una eccezionale fioritura di santi e beati. Circa una sessantina, impegnati a sanare i mali che per forza di cose ricadevano sulla popolazione inconsapevole. È da notare che «nessuna comunità cattolica al mondo ha mai registrato un simile boom di eroismi evangelici, considerati per giunta in così breve tempo»[9].  

Come richiamati ad una particolare missione salvifica dall’Uomo-Dio, misteriosamente impresso nella Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, questi santi piemontesi, cosiddetti sociali, testimoni della nascita della nuova Italia massonica, in un modo o nell’altro, operarono a favore di una prodigiosa rinascita religiosa e sociale. Citiamo i più famosi, come Giuseppe Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Murialdo, don Bosco, Domenico Savio, Faà di Bruno, il Frassati, don Orione, e tanti ancora, fino ai beati Giacomo Alberione e Timoteo Giuseppe Giaccardo. Questi ultimi costituirono la Pia Società San Paolo, fin dalle origini finalizzata ad «opporre stampa su stampa, organizzazione ad organizzazione», per «far penetrare il Vangelo nelle masse» (A. D. 14).

Tutti questi santi, beati e venerabili confermarono, ancora una volta, quanto affermato da S. Paolo, nella Lettera ai Romani (5,20) circa il sovrabbondare della grazia dove abbonda il peccato. Anche lo scrittore cattolico Chesterton allude a questa dinamica, quando afferma che: «Ogni generazione viene convertita dal santo che maggiormente la contraddice»[10]. Consapevoli quindi dell’azione di Dio, sempre pronta a sanare le opere del male usando, nel giusto modo, i suoi stessi mezzi, gli «elécti Dei, santi et dilécti» (Col 3, 12), sono chiamati a svolgere con fede e carità la propria testimonianza al Vangelo, nelle vie del mondo, superando con fortezza i momenti personali ed ecclesiali più difficili. Tutto questo contando sull’aiuto e sulla difesa di «Colei che sola ha sconfitto le eresie del mondo intero»[11] e che spinge a non aver timore di contraddire quanto la cultura ordinaria, il sapere comune, molto spesso fondata su ingannevoli luoghi comuni, cerca di autoalimentarsi mediante l’uso dei mezzi di comunicazione sociale in senso anticristiano.



     [1] Tommaso, d’Aquino, Somma teologica, 1, 2, 3, ad 1.

     [2] AA. VV., Le radici esoteriche della massoneria, Editrice Atanor, Roma 2003, p. 36.

     [3] M. Centini, Torino e il diavolo, Ligurpress, Genova 2009, p. 111

     [4] P. L. Baima Bollone, La scienza nel mondo degli spiriti, SEI, Torino 1994, p. 217 e sgg.

     [5] Cfr. M. Introvigne, Indagine sul satanismo etc. , Mondadori, Milano 1994.

    [6] La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria, a cura di A. A. Mola, Bastogi, Foggia 1990, p. 135.

    [7] C. Gatto Trocchi, Storia esoterica d’Italia, Piemme, 2001, p. 30.

    [8] D. Liguori, Quell’amara unità d’Italia, Sibylla Editrice, Roma 2010, pp. 140-141.

    [9] V. Messori e A. Cazzullo, Il mistero di Torino, Mondadori, Milano 2005, p. 231.

[10] G. K. Chesterton, San Tommaso d’Aquino, Fede & Cultura, Verona 2008, p. 20.

[11] Antifona mariana: Gaude, Maria Virgo: cunctas haereses sola interemisti in universo mundo.

martedì 11 febbraio 2020

IL "QUARTO REGNO"





Nel corso delle sue visioni notturne, il profeta Daniele vide comparire, sull’ultima delle quattro bestie, in mezzo a dieci corna: «un corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte». Il profeta precisa che: «quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che parlava con alterigia» (Dan 7-12). Sotto ispirazione, Daniele spiega ancora che la quarta bestia, con il suo ultimo corno, «significa che ci sarà sulla terra un quarto regno diverso da tutti gli altri e divorerà la terra, la stritolerà e la calpesterà» (Dan 7, 8 e 13).
Questa potenza terribile, scaturita dalla quarta bestia, che non risparmia niente e nessuno, ma che stritola e calpesta il mondo, sembra riferirsi all’ombrosa confraternita della framassoneria. Il cui avvento ufficiale innescò un travaglio storico, che provocò effettivamente il deterioramento sia dell’Impero che della Chiesa. Processo che, peraltro, sembra essere giunto allo stadio finale, manifestato dal disfacimento delle identità nazionali e sociali, in vista del terribile nuovo ordine mondiale, vaticinato e propiziato simbolicamente dagli esoteristi rinascimentali, tra i quali Tommaso Campanella, nel suo libello, La città del Sole.
Sappiamo che, pur esistendo da secoli come società di costruttori di edifici sacri, in possesso di notevoli conoscenze architettoniche, operante in sintonia con le gerarchie sacerdotali, da un certo punto in poi la Libera Muratoria si trasformò, in senso esoterico ed occultistico. Questa mutazione si determinò in modo formale, a cavallo del 1600 e 1700, in Inghilterra, come raccontano le cronache massoniche. Più che dei principi tecnici tipici del mestiere, la Libera Muratoria iniziò ad occuparsi dell’istruzione e della formazione delle anime, secondo protocolli iniziatici, rifacentesi al classicismo ed alla ritualità pagana, indirizzati sostanzialmente contro il “papismo” romano.
Dopo la rivoluzione del 1688, con la conseguente espulsione dei filocattolici Stuart, superato il contrasto interno tra massoni Ancients e Moderns, del 1717, la rinata massoneria inglese ha investito i suoi membri di un compito particolare. Quello del solve et coagula, ossia la trasformazione del vigente stato delle cose, in vista della realizzazione delle utopie massoniche. I suoi adepti si impegnarono quindi: «a lottare, in concreto e secondo le possibilità di ciascuno, perché la loro fede nella trasformazione diventi una reale possibilità per la vita civile e politica»[1], nonché quella religiosa.
Per la realizzazione di tale processo, finalizzato al mutamento delle coscienze ed all’emancipazione dal dogmatismo religioso, vennero utilizzati anche tecniche e ritualismi connessi alla dimensione magica, riscoperti e rilanciati dagli esoteristi in epoca rinascimentale. Periodo nel quale venne avviata una notevole: «produzione dei grimori [scritti di carattere magico, ndr] che continuerà fino al 1800»[2]. Il luogo dove scaturì la scoperta, l’investigazione e la rivalutazione dell’antica ritualità magica, come abbiamo più volte affermato è il suolo italico, sul quale già Pitagora aveva imposto il suo oscuro sigillo, in epoca precristiana. Per tale ragione, la Libera Muratoria, essendo la matrice iniziatica che contiene al suo interno le tradizioni precedenti, rivendica: «la propria tradizione gnostica ed ermetica, in continuità con l’Iniziato Lorenzo De’ Medici “che ha illuminato da Firenze tutta l’Europa”, con relazioni ufficiali che – come ricostruzioni storiche – sono sostanzialmente esatte»[3].

Stando alle pubbliche cronache, come abbiamo accennato, nel 1717, dopo un aspro conflitto fra i cosiddetti Ancients e Moderns, ossia i massoni legati alla tradizione e quelli di stampo razionalistico, la Libera Muratoria divenne operante a livello politico, soprattutto nella sua azione diretta contro la Chiesa. Lo storico della massoneria, Jean Barles, avvalorando questa tesi, afferma che fu proprio un fedelissimo discepolo del grande Newton, Jean Théophile Désaguliers, protestante, di origine francese, «a sopprimere l’invocazione compagnonica rivolta a Dio ed ai santi, espressione che troppo ricordava la Chiesa cattolica romana. Introdusse invece l’invocazione al Grande Architetto dell’Universo, equivalente del medioevale Grande Orologiaio del Mondo»[4]. Entità indeterminata, nella quale ogni affiliato può riconoscervi il Dio della propria fede, o intenderla semplicemente come principio impersonale trascendente.
In seguito a questa metamorfosi strutturale, tale confraternita intensificò la sua offensiva finalizzata «alla conquista del Clero cattolico, che doveva raggiungere i suoi massimi risultati alla vigilia della Rivoluzione francese e che, con la formazione di logge esclusivamente composte di ecclesiastici, sta a significare come la mistica e la prassi della massoneria non ripugnassero minimamente ad illuminate coscienze di sacerdoti cattolici»[5].
L’attuazione di tale disegno, si manifestò nel 1782, quando a pochi anni dall’inizio della rivoluzione francese, il nobile cardinale di Santa Romana Chiesa, Luigi Renato Edoardo di Rohan, già membro della massoneria di Rito Egizio, fondò il massonico Ordine della Città Santa[6]. A tale riguardo, è da rilevare un corposo elenco, composto di una sessantina di pagine, di preti ed ecclesiastici affiliati alla Massoneria nel corso del 18 secolo[7]. Questa ampia e miserevole adesione di religiosi e sacerdoti ai fumosi proclami cosmopoliti e filantropici della Libera Muratoria, attuatasi con la trasformazione ed apertura delle logge operata da Désaguliers, sotto la probabile spinta del suo illustre mentore scienziato, non poteva che indurre la Curia Romana ed i Pontefici ad intervenire in prima persona, denunciando il pericolo derivante dalla strategia occulta messa in atto da tale associazione segreta, avvolta da misteriosa, quanto dissimulata, sinistra fama[8]. Nel periodo successivo, si sviluppò, all’ombra dei moti carbonari, quel progetto così allarmante ai nostri occhi, di giungere all’elezione di un Papa in consonanza con gli ideali massonici, per corrompere la Chiesa Romana dall’interno, in modo surrettizio, manipolando la buona fede dei credenti[9].  
  La realizzazione di tale proclama luciferino sembra riflettersi nell’inquietante fatto che, le ripetute ed allarmanti condanne dei Pontefici Romani, nei confronti delle sette esoteriche, al giorno d’oggi sono completamente scomparse dalle cronache pastorali, come se non avessero alcun valore e si riferissero ad ombre dissolte di un passato definitivamente tramontato. Esse sono state radicalmente espunte, e come ritrattate, soprattutto da quelle stesse gerarchie che un tempo le hanno emesse, caritatevolmente preoccupate della metamorfosi sociale, etica e religiosa anticristiana, che stava allontanando il popolo e la società intera dalla sola Via di salvezza, che è Cristo stesso. In virtù di tale silenzio, le Logge, regolari o deviate, si sono sentite sempre più libere di agire a più livelli, godendo della copertura dei mass media e soprattutto, come dicevamo, senza alcuna presa di posizione contraria e significativa degli esponenti più in vista della vittima sacrificata, la Chiesa Cattolica.
La confraternita massonica, non più citata nelle omelie, se non in sporadici casi, peraltro subito biasimati dagli organi di stampa, non esclusi quelli un tempo cattolici, è riuscita a mettere in atto quello che Baudelaire definì come il grande trucco del diavolo, il far credere di non esistere, il rendersi invisibili, manovrando dietro le quinte della storia. Ma non solo dietro le quinte della storia. Quanto all’interno delle persone, infiltrandosi nell’intelligenza e nella ragione. Anche attraverso i proclami scientisti, che erroneamente declamano la corrispondenza tra il progresso tecnologico e scientifico con quello personale e sociale.

La tesi che la scienza moderna affondi le proprie radici in ambito iniziatico, divenendo un potente mezzo di penetrazione, lavaggio e controllo delle coscienze, è dimostrata dalle sue stesse origini, scaturite dalla società segreta denominata Collegio degli Invisibili, sottilmente connessa al movimento rosacrociano disseminato nei centri nevralgici europei. Tale setta, inizialmente, organizzava riunioni segrete tra i suoi illustri appartenenti. Ma in pochi anni cambiò strategia e venne allo scoperto, dissimulando il suo interesse per la tradizione e le pratiche iniziatiche. Assunse così la denominazione di Gresham’s College. Dal quale, nel 1660, sotto il patrocinio di Carlo III, nacque la prestigiosa Royal Society.
Jean Barles, sostiene che anche Isaac Newton partecipasse ai lavori, sia del Collegio degli Invisibili, che a quelli del Gresham’s College. Egli inoltre asserisce che Newton: «iniziato di buon’ora alla Massoneria, e che con altri membri della Royal Society, di cui divenne il membro più illustre e poi il presidente, prendesse parte alla fondazione della Gran Loggia nel 1717»[10]. Quest’affermazione è una conseguenza del fatto che furono i massoni ad istituire tale accademia, dal momento che «in pratica, i primi appartenenti alla Royal Society erano tutti massoni»[11]. È assai sorprendente che Barles affermi quanto nessun altro abbia mai dichiarato. Ossia, l’appartenenza di Isaac Newton alla massoneria. Evidentemente, doveva aver preso visione di documenti che altri hanno pensato bene di mantenere coperti.
Newton massone, nonché spregiudicato alchimista ed indagatore dei segreti più reconditi e scabrosi della natura, come da più parti riferito, è un’immagine che getta notevoli ombre anche sulla sua decantata interpretazione scientifica del mondo, di cui tutti noi siamo impregnati. Fino a che punto infatti la fisica newtoniana può essere esente dalle contaminazioni ideologiche connesse all’iniziazione massonica del suo illustre autore? Cosa si cela dietro l’apparente asettico linguaggio analitico da lui utilizzato? E cosa si trasmette in noi, che abbiamo assorbito passivamente, durante la formazione scolastica, i frutti della sua immaginazione scientifica, della sua razionalizzazione e desacralizzazione del mondo, alterata dalle sue credenze iniziatiche e dalle sue pratiche occulte, testimoniate dai suoi scritti segreti, ancora non divulgati[12]? Attraverso l’indottrinamento scientifico, questo ambiguo personaggio, al tempo stesso genio e “grande condottiero dell’ateismo”[13], può essere divenuto un potente “patrono” occulto del controllo scientista e mentale a cui tutti noi siamo soggetti?
Di certo, pensare che la fisica newtoniana traduca in scienza essoterica i principi massonici esoterici, può sembrare un azzardo, per chi non riconosce la stretta relazione esistente fra massoneria e pitagorismo, dichiarata invece con decisione dal matematico massone Arturo Righini. Il quale, perentoriamente, affermava che: «L’Ordine massonico è la stessa cosa, assolutamente la stessa cosa dell’Ordine Pitagorico»[14]. Resta il fatto che la scienza newtoniana, dopo aver “calpestato” e “triturato” la sacralità del mondo, fornendone un’algida immagine razionale, alterata dall’ideologia dell’Autore, ha tolto ogni dubbio, ed ogni capacità di indagine alternativa, circa la spiegazione della realtà. Essa ha così inserito nelle nostre menti i suoi fantasmi immaginativi, i suoi precostituiti modelli mentali, il suo “eros” cognoscitivo slacciato dall’ordine trascendente.
Non dimentichiamo, per amor del vero, che le grandi cattedrali medievali, i castelli, i ponti, gli acquedotti romani etc., che ancora oggi suscitano ammirazione, sono stati costruiti, non grazie ai principi della statica newtoniana, ma secondo le leggi della bistrattata fisica aristotelica. Anche quest’ultima aveva forti basi razionali e scientifiche, dimostrate appunto dall’urbanistica, dall’edilizia, dagli splendidi equilibri e suggestioni realizzati all’interno di chiese, cittadelle e cattedrali che, come le antiche piramidi, stanno sfidando i tempi e le moderne tecnologie ed architetture.

L’avvento della scienza newtoniana ha gradualmente spogliato il cielo di ogni suo riferimento al sacro. Di norma, esso può suscitare qualche meraviglia, subito soffocata dalla indiscutibile religione scientifica, che ha acquistato il diritto esclusivo di fornire ogni spiegazione quantitativa circa i fenomeni celesti. Il cielo è ormai disteso sopra di noi come una indifferente tovaglia, dalla quale dipende se potremo uscire nel prossimo ponte. Chi pensa più al significato correlato ai moti del sole? Gli equinozi e solstizi sono celebrati unicamente dagli esoteristi. Gli stessi che, propiziando l’avvento della scienza moderna, hanno indotto a credere i cosiddetti profani che questi passaggi celesti siano avvenimenti esclusivamente astronomici, mentre essi, i presunti iniziati, si sono riservati la facoltà di celebrarli in senso metafisico, per trarne a loro vantaggio gli effetti trascendenti.
Oggi non potrebbero esistere i Re Magi. I quali, osservando nel cielo la comparsa di una stella la interpretarono misticamente. Essi, se formati con la cultura corrente, avrebbero catalogato tale fenomeno secondo gli schemi dell’astronomia moderna, interpretandolo come la comparsa di una supernova, una quasar, un buco nero, o una cometa particolare. Di certo, non come un prodigioso segno celeste connesso alla salvezza dell’umanità. Nessun scienziato moderno, anche se dichiaratamente credente, penserebbe a tale tipo di connessione. Né tantomeno affronterebbe un viaggio rischioso ed assurdo, per andare incontro all’Oggetto della propria fede, segnalato da un incerto presagio celeste.
Il fatidico quarto corno, al quale accennò il profeta Daniele, sembra quindi essere riuscito non solo a determinare la sovversione dell’assetto politico di molti regni. Ma addirittura ad impadronirsi, pitagoricamente ed ermeticamente, del più prezioso “quarto regno”. Il regno mentale. Quello che è proprio di ogni uomo, e che è strettamente connesso con la sua libertà di coscienza. Oggi sempre più insidiata, condizionata e manipolata dai reggitori del mondo, mediante armi e tecniche ideologiche, più penetranti e perniciose di quelle convenzionali. Sono proprio queste invisibili armi che hanno adombrato Dio dalla ragione e dalla scienza, facendoci credere che senza la fisica newtoniana e grazie ad essa, noi abbiamo raggiunto l’attuale grado di benessere tecnologico. Come se le scoperte scientifiche non fossero, nella loro vera essenza, una sapiente combinazione di casualità e di benevola concessione divina.


           [1] C. Bonvecchio, Iniziazione e Tradizione, Mimesis, Milano 2018, p. 128.
           [2] S. L.d’Ascia, Magia e Massoneria, Edizioni Mediterranee, Roma 2019, p. 78.
           [3] E. Innocenti, Inimica Vis, Sacra Fraternitas Aurigam, Roma 1990, p. 12.
            [4] J. Barles, Storia dello scisma massonico inglese del 1717, Edizioni PiZeta, S. Donato (Mi) 2004, p. 9.
[5] Fratello ignoto, L’epopea segreta della Massoneria, Antares Editrice, Palermo 2009, p. 89.
[6] Ivi.
[7] In. E. Innocenti, cit..
[8] Cfr. A. Pellicciari, I Papi e la massoneria, Edizioni Ares, Milano 2007.
[9] Cfr. R. De Mattei, Pio IX e la Rivoluzione italiana, Cantagalli, Siena 2012, p. 24-25.
[10] J. Barles, cit., p. 211.
[11] C. Kright e R. Lomas, La chiave di Hiram, Mondadori, Milano 1997, p. 372.
[12] I manoscritti segreti di Newton, di carattere teologico ed iniziatico, vennero messi all’asta (Sotheby’s) nel 1939 dai suoi eredi. L’economista inglese John Maynard Keynes ne acquistò una buona metà, che lasciò al King’s College di Cambridge. L’altra parte venne acquistata dall’orientalista ebreo Abraham Salomon Ezekiel Yahuda, donata in seguito allo Stato d’Israele, che a sua volta li affidò alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme. Dal 2003, alcuni di questi manoscritti sono stati messi in mostra, ma la gran parte è ancora inedita.
           [13] G. Sermonti, La mela di Adamo e la mela di Newton, Rusconi Editore, Milano 1974, pp. 108-109.
[14] In. D. Roman, Pitagorismo e Massoneria, in “la Lettera”, Ed. Keystone, Torino 2008, 8, p. 48.




lunedì 7 gennaio 2019

IL MOTO PRESUNTO DELLA TERRA*




Difficile dire a cosa si riferisse Papa Giovanni XXIII, quando affermò: «Oggi si direbbe che il mondo goda di una generale menzogna in atto; voluta e organizzata. Difficilmente capita di leggere o di ascoltare un'espressione integra, completa, assoluta, di verità. Tante volte si cerca di coprire con rivestimenti del vero ciò che in realtà è il contrario» (1). In un certo senso, egli non fece altro che ribadire l'attualità di quanto dichiarato da San Giovanni (1 5,19): «Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno». Infatti, essendo il menzognero, il maligno non può che esprimere il suo potere attraverso la menzogna, esercitata in tutti i modi, dai più grezzi ai più raffinati, ed in tutti i campi, attraverso l'opera della "propaganda".

A proposito del potere di persuasione mediatica, in grado di diffondere con l'ausilio delle più sofisticate tecnologie le più incredibili bugie, viene in mente quanto sostiene Bill Kaysing, prima direttore delle pubblicazioni tecniche presso i laboratori della Rocketdyne Research, ditta che progettò e costruì i motori dei razzi montati sulle navicelle Apollo, poi veemente assertore della falsità dell'allunaggio sulla luna, da lui inteso come una colossale truffa da trenta miliardi di dollari messa in atto dagli americani.

Tra l'altro, egli scrive: «Un ingegnere di Seattle mi ha detto che i numeri sulla gravità lunare sono sbagliati. Ho sempre sentito che se fosse stato fatto un serio tentativo con i dati che per ora sono ristretti all'accesso del pubblico, non sarebbe troppo difficile provare che i voli lunari sono falsi. Ma il problema è questo: la NASA non rilascia i veri dati sui voli Apollo» (2).

Kaysing sostiene inoltre che già i giornali danesi nel 1969 misero in dubbio l'autenticità dell'allunaggio, ovviamente senza essere presi in considerazione. Sarebbe facile al giorno d'oggi eliminare una volta per tutte queste pesanti insinuazioni, applicando uno dei principi cardini della metodologia induttiva. Quello della riprova. Basterebbe infatti che con i mezzi attuali, estremamente più sofisticati di quelli di quarant'anni fa, si rifacesse lo stesso pioneristico volo. Se riuscì allora, quanto più dovrebbe riuscire adesso. Pertanto, fin quando questa conferma non viene messa in atto, le perplessità e le illazioni a riguardo, condivise tra l'altro da una larga fascia della popolazione americana, non possono essere completamente fugate.

Per quanto ci riguarda, ben altre sono le perplessità che da tempo assorbono la nostra attenzione, concentrandola intorno ad un'idea che riteniamo assurda, difficilmente dimostrabile, perché non rispondente alla realtà. Idea divenuta tuttavia più certa della stessa realtà. Ci riferiamo ovviamente al rapidissimo moto di rotazione attribuito alla Terra dall'affermata teoria eliocentrica.
L'argomento è delicato e scomodo, lo abbiamo già verificato. Tuttavia, seguendo per una volta Cartesio - secondo il quale, per amore della verità, almeno una volta nella vita, occorre mettere in discussione tutto, fin dove è possibile -, riteniamo opportuno proporre le seguenti considerazioni alla (si spera) cortese attenzione dei lettori.

Iniziamo pertanto la nostra riflessione, considerando la domanda che Fitzgerald e Lorentz si posero, quando vennero a conoscenza del fallimento della famosa esperienza di Michelson-Morley:
«E se il mondo fosse tale per cui il suo movimento non può essere rilevato?» (3).
L'insidioso interrogativo suggerisce che se il movimento relativo della terra nell'etere non viene registrato sperimentalmente, nonostante le ripetute prove ed i sofisticati accorgimenti tecnici apportati, allora la teoria copernicana, pur se razionalmente vera, tuttavia non è reale.
Non perché il reale sia contrario alla ragione, ma perché se la ragione non prende spunto dalla realtà effettiva per elaborare i propri modelli, sarà molto improbabile all'intelletto adeguarsi successivamente alla realtà. E la menzogna consiste proprio nella non corrispondenza di un enunciato con la realtà alla quale si riferisce (4).

Sappiamo che l'esito negativo dell'esperienza di Michelson venne ufficialmente messa in relazione alla teoria della relatività ristretta (anche se su questa convenzione ci sarebbe qualcosa da aggiungere), e che l'ipotesi alternativa, che la teoria copernicana potesse essere in contraddizione con la realtà, non venne assolutamente presa in considerazione. Infatti, la scienza non poteva mettere in discussione se stessa, e la travagliata scelta del 1600, quando con tutte le forze della ragione, e non solo della ragione, si cercò di dimostrare la fisicità dell'ipotesi eliocentrica, di difficile comprensione, contraddetta dall'evidenza sensibile, non meno complicata di quella criticata. E' chiaro che la teoria geocentrica al giorno d'oggi è del tutto fuori luogo, e sarebbe una pretesa senza sbocco cercare di riproporla tale quale, sia in chiave aristotelica (fisica), che in quella tolemaica (matematica).

Ribadiamo peraltro ancora una volta, anticipando le obiezioni dei soliti saccenti con i nervi scoperti, che la nostra critica al modello eliocentrico non corrisponde automaticamente all'approvazione dell'opposta teoria geocentrica. Tuttavia, sarebbe una dimostrazione di profonda ignoranza il voler negare la validità della pur tramontata astronomia geocentrica, niente affatto campata in aria, che dava benissimo conto dei fatti osservati e che rispondeva ai canoni di una visione del mondo fortemente legata al senso del concreto, del sacro e della trascendenza.

Proprio per questo legame con la dimensione divina, gli astronomi del tempo calcolavano accuratamente e con estrema precisione le date degli equinozi, dei solstizi, i movimenti della sfera celeste, eccetera. Infatti, comprendere la dinamica celeste significava per l'uomo "religioso", attento ad interpretare nel giusto modo l'omologia fra cielo e terra, cogliere i risvolti segreti di una dimensione mitica e divina, che richiede ai suoi cultori una propensione alla mitezza, alla luce della quale gli stessi avvenimenti naturali assumono un senso superiore e sacro.
All'evoluzione di questa scienza "soteriologica", hanno contribuito personaggi di tutto rispetto e di altissimo ingegno.

Come Ipparco da Rodi, che intorno al 128 avanti Cristo, con mezzi del tutto rudimentali, sconvolse la concezione del cielo scoprendo la cosiddetta precessione degli equinozi.
Egli si accorse, confrontando le proprie osservazioni, relative alla posizione delle costellazioni equinoziali, con quelle dell'astronomo Timocharis suo predecessore (5), di un ulteriore e fino allora sconosciuto movimento della sfera celeste. Da queste anomalie sperimentali, Ipparco dedusse che anche la cosiddetta sfera delle stelle fisse (ovviamente, in prospettiva geocentrica), oltre che ruotare giornalmente intorno alla Terra, dovesse ruotare molto lentamente, spostandosi essa stessa in modo preciso e manifesto, lungo la linea dell'equatore celeste (6).

La scoperta della precessione degli equinozi costituì pertanto un vero e proprio sconvolgimento scientifico e spirituale per gli antichi, soliti ad interpretare il moto della sfera delle stelle fisse come indice di assoluta regolarità, che peraltro costituiva il carattere proprio della divinità venerata.
Ma questa fondamentale scoperta dimostra anche l'attendibilità della teoria generale dalla quale essa scaturì, per nulla ovvia e semplicistica, che non venne assolutamente messa in crisi da tale nuovo fenomeno, che anzi confortò e rese ancora più affidabile l'interpretazione geostatica del cosmo.
Con l'affacciarsi nell'orizzonte culturale del rinascimento della teoria eliocentrica, si determinò una nuova esigenza: quella della dimostrazione dell'ipotesi. Infatti, mentre la quiete della terra è evidente e non ci fu mai bisogno di dimostrarla, l'idea di una sua rotazione, proprio perché presunta, rese necessario l'apporto di prove che la dimostrassero. È risaputo che nessuna prova sperimentale seria venne portata a favore dell'ipotesi eliocentrica dai filosofi rinascimentali.

Copernico non produsse nemmeno delle tavole dei moti celesti affidabili, dal momento che «chiunque cercasse di utilizzare la posizione di un pianeta utilizzando le tavole di Copernico si trovava presto in una situazione frustrante» (7), semplicemente perché non funzionavano.
Infatti dovette intervenire Erasmus Reinhold nel 1551, per correggerle in modo opportuno. Nella prefazione a queste tavole, dette Prutenicae, Reinhold scrive: «Copernico… tuttavia si sottrasse alla fatica della costruzione delle tavole, così che se si usano le sue tavole per fare i conti, il calcolo non è neppure in accordo con le osservazioni su cui si basano le fondamenta del lavoro» (8).
Peraltro, Copernico riprese alcuni degli argomenti filosofici proposti da Buridano e da Oresme, tra i quali: l'aria condivide la rotazione diurna della Terra, la rotazione è più appropriata all'ignobile terra che al nobile cielo (9).

Galilei da parte sua presentò a favore della rotazione terrestre l'assurda prova delle maree, che Keplero più correttamente aveva attribuito agli "influssi" lunari. Dunque, nessun argomento incontrovertibile, come quello rilevato ed interpretato da Ipparco in prospettiva geostazionaria, venne sollevato dagli eliocentristi rinascimentali. Che, come abbiamo più volte segnalato, caldeggiavano questa dottrina soprattutto alla luce del suo grande significato simbolico e religioso, contrario a quello dominante, in ordine al quale l'astro veniva interpretato come espressione del culto pitagorico del "Grande Fuoco": «Prima di Keplero dunque, non si abbracciava il copernicanesimo per la sua maggiore economicità o precisione. Accettarlo era un atto di fede, come lo definì chiaramente il più convinto e agguerrito dei copernicani italiani: Galileo Galilei» (10).

Il fatto che, come si dice erroneamente, il modello eliocentrico fosse più semplice di quello geocentrico, non costituisce peraltro un motivo sufficiente per giustificare l'oscuramento di una teoria plurimillenaria, che funzionava benissimo, e che veniva migliorata quando i dati dell'osservazione lo richiedevano, a favore di un'altra appena abbozzata e non corrispondente all'evidenza sensibile. Se dunque il quadro generale dell'astronomia antica restò sempre il geocentrismo, per migliaia di anni, non fu perché gli uomini di allora, rispetto a noi sapienti, fossero rozzi e ignoranti, incapaci di ragionare o immodesti, come afferma qualcuno (11).
Ma perché la teoria geocentrica era fondata su una base logica e scientifica del tutto affidabile, ricavata dall'evidenza del reale.

Ed uno dei dati innegabili forniti dall'evidenza sensibile è appunto la quiete terrestre.
Se ancora oggi, per comodità, la terra viene considerata per certi aspetti come praticamente in quiete, ci sarà pur un motivo. Infatti, questa interpretazione, oltre che semplificare alcuni problemi legati al senso comune, giustifica il quadro armonico che si presenta da sempre agli occhi degli uomini.
Tutto insomma nel mondo rimanda ad un senso di pace e di quiete, anche fisica, inconciliabile con l'incomprensibile turbinio al quale sarebbero soggetti il nostro pianeta e l'intero sistema solare. Si pensi infatti che la velocità del sole e del nostro sistema attraverso la galassia viene reputata all'incirca 2,6 milioni di chilometri all'ora! Come è noto, Galilei cercò di dimostrare l'infondatezza della sensazione comune di quiete della terra, presentando in un famoso passo dei suoi "Dialoghi" la ragione per la quale non ci accorgiamo della rapidissima doppia rotazione terrestre.
Con affabile retorica, lo scienziato spiega quella che a suo avviso costituisce l'esperienza infallibile: «con la qual sola si mostra la nullità di tutte quelle prodotte contro al moto della terra».

Per bocca dell'interlocutore Salviati, che impersona lo stesso scienziato, Galilei dopo aver proposto di far cadere da una torre un uccello morto ed uno vivo (!), per dimostrare che quello morto cadrà nello stesso modo di una pietra, mentre quello vivo volerà liberamente in qualunque direzione, aggiunge che i nostri sensi non colgono il movimento terrestre, per un'evidente ragione: «Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche,  farfalle e simili volanti … » (12). All'interno di questa cabina, spiega lo scienziato, non riuscireste a dire se la nave sia ferma o in moto rettilineo uniforme, perché in entrambi i casi valgono le stesse leggi fisiche. Le mosche che si muovessero all'interno di questo ambiente non urterebbero contro le pareti, nemmeno quando la nave si muovesse, come invece prevedeva la teoria dell'"impetus", inteso da Buridano (1330 - 1358) come una sorta di motore impresso da ciò che muove a ciò che è mosso (13). Ma al contrario, gli insetti volerebbero proprio come se la nave fosse ferma, e via dicendo.

La rilevante importanza di questo brano dipende dalla sua relazione con i moti relativi ed i cosiddetti sistemi di riferimento inerziali; nei quali le leggi della fisica sono invarianti, essendo l'accelerazione uguale a zero. Al contrario dei sistemi non inerziali nei quali, essendo l'accelerazione diversa da zero, quiete e movimento non sono equivalenti. L'accelerazione infatti provoca effetti fisici evidenti.

Se lasciamo cadere una goccia in un vaso in un sistema inerziale, esempio galileiano, la goccia cade perpendicolarmente nel vaso; se il sistema fosse accelerato, no. Se un treno accelera, o frena, noi di certo eviteremmo di versare l'acqua nel bicchiere.

In realtà Galilei ripropone quanto, un centinaio di anni, prima il cardinale Nicolò Cusano (1401-1464) aveva affermato, riguardo alla relatività dei moti. Ovvero che: «La Terra si muove veramente, anche se non ne avvertiamo il movimento. Non riusciamo ad accorgerci del moto che in relazione a qualcosa di fisso. Se uno non sapesse che l'acqua scorre e non guardasse alle rive stando sulla barca in mezzo al fiume, come saprebbe che la barca si muove? Per questo, poiché a ciascuno, si trovi egli sulla Terra, sul Sole o su un'altra stella, sembra sempre di stare in un centro immobile e che tutto il resto invece si muova, egli immaginerebbe continuamente poli diversi stando sul Sole, sulla Luna o su Marte, e via dicendo. La macchina del mondo avrà il centro dovunque, e la circonferenza in nessun luogo, poiché la sua circonferenza e il suo centro sono Dio, che è dappertutto e in ogni luogo» (14).

Questo argomento si fonda tuttavia su una contraddizione di fondo. Quella di ritenere non solo la terra alla stregua di un sistema inerziale, ma anche che l'aria ruoti insieme ad essa, come se fosse contenuta all'interno di una cabina chiusa. Questo avverrebbe se la terra non ruotasse, ma se si assume che essa ruoti, non si può pretendere che si comporti come se non ruotasse.
Infatti solo se la terra non ruotasse potrebbe paragonarsi all'interno di un «gran naviglio … ».
Il ragionamento è circolare. Da una parte dunque la terra viene considerata in rotazione, ma per dimostrare il perché non ci si accorge di questa rotazione, viene reputata come un sistema inerziale.
Violando così anche il basilare principio di non contraddizione. La terra infatti in questa prospettiva al tempo stesso ruota e non ruota. D'altra parte, se la terra ruotasse effettivamente, allora non ci sarebbe alcun bisogno di dimostrarne la rotazione attraverso sofisticate esperienze, dal momento che tutti si accorgerebbero degli effetti del suo moto rotatorio.

Infatti: «Se siamo in un sistema accelerato, per esempio una giostra, noi ce ne accorgiamo perché sentiamo il continuo cambiamento di velocità: essa infatti muta direzione in ogni istante» (15).
Se una comune giostra ruotante non può essere considerata come un sistema inerziale, per via degli evidenti effetti (forze inerziali, accelerazioni di Coriolis, eccetera) che si sviluppano durante il suo moto rotatorio, che dire di una giostra che non solo ruota intorno a sé, ma anche rispetto ad un centro esterno (Sole), ed anche rispetto al proprio asse (precessione), e che inoltre rallenta ed accelera nel suo moto di traslazione (seconda legge di Keplero), al pari di una trottola misteriosa, teoricamente soggetta ad un moto rapidissimo, ma praticamente ferma?

A rigor di logica, la soluzione non può che essere questa: se la terra approssimativamente si può considerare come un sistema inerziale, allora vuol dire che lo è. E dunque essa può ritenersi approssimativamente ferma. Pertanto, proprio il fatto che il nostro pianeta venga reputato, all'interno della stessa teoria eliocentrica, alla stregua di un grossolano sistema inerziale, rappresenta la prova evidente che lo sia realmente. Peraltro, il rapidissimo moto terrestre possiede un che di davvero misterioso.

Una composizione di altissime velocità ed accelerazioni che tuttavia non producono nessun effetto altrettanto macroscopico nemmeno nella nostra atmosfera. Che per nostra fortuna, come si dice, ruota tutta compatta, solidale alla terra, come se fosse chiusa in una scatola, o meglio in una sfera planetaria invisibile. Un vagone perfetto ed invisibile con i finestrini chiusi e sigillati all'interno del quale non si sente la minima corrente, la minima vibrazione. Viene tuttavia da chiedere, per quale legge fisica l'atmosfera dovrebbe ruotare insieme alla terra, come già affermava Buridano, dal momento che il nostro pianeta costituisce un sistema aperto?

La terra infatti somiglia ad una macchina che viaggia non solo con i finestrini, ma anche con il tettuccio aperti, dal momento che l'atmosfera non è contenuta in nessun involucro.
Dunque, l'atmosfera terrestre non può essere trascinata per inerzia dalla terra nel suo moto roto-traslatorio, proprio perché essa non costituisce un sistema chiuso.
Nessun "coperchio trasparente" racchiude gli ottocento chilometri d'aria che sovrastano il nostro pianeta, nessuna sfera invisibile li contiene.

La Terra pertanto da una parte viene considerata praticamente come un sistema inerziale, dall'altra è oggetto di indagine sperimentale finalizzata a dimostrarne il suo impercettibile moto.
A partire dall'esperienza di Guglielmini, del 1792, il quale fece cadere una serie di pietre dalla torre degli Asinelli di Bologna per verificare se cadessero perpendicolarmente o verso est.
Fino a quella più famosa del pendolo di Foucault, del 1851.

Per provare che la terra si muove Foucault appese alla cima del Pantheon di Parigi una fune di 67 metri, alla quale era legata una sfera di bronzo di 28 kg. Foucault dimostrò in tal modo che il piano di oscillazione del pendolo ruotava in 24 ore. Al di là della spiegazione ufficiale di tale esperienza (la forza di Coriolis che si manifesta nei sistemi rotanti, forza tuttavia molto debole perché la terra compie solo una rotazione su se stessa al giorno, eccetera), intendiamo mettere in evidenza che l'esperienza del pendolo di Foucault è stata interpretata dalla scienza accademica per accreditare a posteriori una tesi già saldamente accettata a priori, circa trecento anni prima, sulla base della fede pitagorica.

Peraltro, è probabile che Ipparco da Rodi avrebbe interpretato questa esperienza in modo contrario a Foucault, ossia, come la prova evidente della rotazione dei cieli, dell'esistenza e dell'azione del famoso etere, quintessenza aristotelica alla quale gli astri devono il loro perenne moto periodico.
E' noto infatti che, dal punto di vista aristotelico, la terra viene considerata ferma, e la sfera delle stelle fisse in rotazione, da est verso ovest. Ed il piano del pendolo di Foucault ruota proprio da est verso ovest, solidale cioè alla rotazione delle stelle fisse. Dunque, la terra è in quiete e le stelle in movimento, avrebbe concluso Ipparco da Rodi. Probabilmente.

Ma la questione si complica ulteriormente; infatti, chiedersi se la terra, o i cieli, o ambedue ruotino, implica l'esistenza o meno delle rotazioni assolute. Newton era convinto che esistessero moti e rotazioni assolute. Cercò di dimostrare questa sua convinzione con il famoso esperimento del secchio rotante (16). Proprio la diversa forma della superficie dell'acqua contenuta nel secchio rotante attorno a una corda, venne ritenuta da Newton come la dimostrazione, ed il criterio corretto, per stabilire e distinguere i moti relativi da quelli assoluti. Ma il vescovo di Berkeley contestò questo punto di vista, affermando che ogni moto per sua natura è relativo, e non può essere compreso senza essere messo in relazione ad un riferimento certo. Il filosofo Mach confermerà il punto di vista di Berkeley, prendendo in esame l'esperienza del secchio di Newton.
Egli giunse alla conclusione che l'inerzia non è una proprietà intrinseca della materia, ma una proprietà di cui essa gode solo grazie all'esistenza di altra materia nell'universo (principio di Mach).
Ragion per cui l'esperienza del secchio può essere descritta in modo equivalente in due opposti modi: sia considerando il secchio in rotazione, e le stelle fisse immobili, o immaginando il secchio fisso, e l'insieme delle stelle in rotazione intorno ad esso.

Proprio alla luce di queste due opposte interpretazioni, Mach afferma che dal momento che il sistema del mondo ci è dato una sola volta, la teoria tolemaica e quella copernicana sono entrambe ugualmente valide, come già in sostanza affermavano, ovviamente in termini diversi, Buridano ed Oresme (17).Di conseguenza, la prova del pendolo di Foucault non prova la rotazione assoluta della Terra. Ma conferma invece la validità di quello che Einstein definì come "principio di Mach", che abbiamo riportato sopra.

D'altra parte, in chiave tomista, dagli effetti è impossibile risalire alla causa, perché: «niente vieta che gli effetti derivino da principi diversi non considerati o ignoti».
Pertanto, una dimostrazione che spieghi la causa con gli effetti, e non con la riduzione ad un principio superiore, non è che ipotetica: «Le conseguenze non provano i principi… Le supposizioni non sono provate dall'esperienza,  perché l'esperienza (apparentiate) confermerebbe anche postulati diversi» (18).

Ed ipotetica è appunto la scienza astronomica, nonostante la tendenza dei suoi cultori a presentarla come scienza del reale, indubitabile e certa, ed a proiettare nel misterioso ambito celeste, per nulla riducibile come vorrebbero loro a quantità e regola geometrica, l'esperienza dedotta in un ambito del tutto estraneo e limitato, come quello terrestre.

In conclusione, parafrasando Copernico, lasciamo l'eliocentrismo agli eliocentristi. Lasciamo cioè che la terra venga fatta ruotare dagli scienziati, almeno nella loro mente, al pari di una banale pietra.
Nonostante sia l'unico pianeta sul quale c'è vita, nel più alto grado, e dove Dio stesso si è incarnato. Per quanto ci riguarda, preferiamo andarcene per strade solitarie. Ricercando in letizia, nei limiti estremamente ristretti delle nostre possibilità, una "imago mundi" che ponga nel centro la sua stessa Causa e Fine (19). Ed intorno, tutta la realtà sensibile.

* pubblicato su EFFEDIEFFE il 6/2/2008




1)
"Breviario di Papa Giovanni", Garzanti, Milano, 1966, pagina 346.
2) B. Kaysing, "Non siamo mai andati sulla luna - Una beffa da 30 miliardi di dollari", Cult Media Net edizioni, 1997, pagina 203.
3) In D. Park, "Natura e significato della luce", McGraw-Hill, Milano, 1998, pagina 313.
4) A. Llano, "Filosofia della conoscenza", Le Monnier, Firenze, 1987, pagina 59.
5) Tolomeo, "Almagesto", 7, 1-2.
6) La precessione degli equinozi causa un lento movimento a ritroso dei punti equinoziali lungo lo zodiaco, che impiegano 2.160 anni ad attraversare ogni costellazione, e coprono così l'intero zodiaco in 25.920 anni. Al momento attuale, l'equinozio di primavera ha luogo quando il Sole si trova nella costellazione dei Pesci, ma prossimamente sarà nella costellazione dell'Acquario, quando appunto nascerà la cosiddetta Era dell'Acquario.
7) W. Shea, "Copernico: un rivoluzionario prudente", I grandi della scienza, numero 20, ottobre 2004, Mondadori, Milano, pagina 47.
8) Ivi, pagina 48.
9) Ivi, pagina 64.
10) Confronta E. Grant, "La scienza nel Medioevo", il Mulino, Bologna, 1997, pagina 95.
11)  «L'ostinazione non è però una virtù, e la lunghezza delle storie non garantisce la validità dei punti di vista: basti ricordare il numero dei secoli durante i quali abbiamo immodestamente creduto che la Terra fosse immobile al centro dell'Universo o che i nostri corpi fossero animati da una qualche vis vitalis», E. Bellone, "I corpi e le cose", Mondadori, Milano, 2000, pagina 2.
12) G. Galilei, "Dialoghi sui due massimi sistemi, giornata seconda".
13) Lanciando una pietra, la mano imprime alla pietra un impeto, proporzionale alla velocità (Quanto più velocemente il motore muove quel mobile, tanto più forte impeto gli imprimerà). Buridano, oltre ad individuare una relazione di tipo quantitativo tra impeto e velocità, lo collega alla quantità di materia di un corpo (Quanto più un corpo contiene materia, tanto più, e più intensamente, può ricevere di quell'impeto).
L'affinità concettuale fra impeto medievale e quantità di moto newtoniana è evidente.
Ma Buridano riconosce altresì nell'"impetus" la tendenza a conservarsi quantitativamente,
dal momento che la sua diminuzione ed esaurimento (insieme al moto del corpo) dipendono
dalla resistenza del mezzo ("L'impeto durerebbe all'infinito se non fosse diminuito e corrotto da una resistenza contraria o dalla inclinazione a un moto contrario"), intuizione questa che anticipa di tre secoli la formulazione newtoniana di inerzia. A differenza di Aristotele che metteva in relazione il moto degli astri con la loro divinità, Buridano interpreta il moto degli astri come conseguenza dell'"impetus" o forza iniziale impressa ad essi dal Creatore nel momento iniziale della sua opera. Il moto degli astri si conserva inalterato perché nei cieli non c'è alcun tipo di resistenza. Confronta M. Clagett, "La scienza della meccanica nel Medioevo", Feltrinelli, Milano, 1972, pagine 548-549.
14) Cusano, "La Dotta Ignoranza - Le congetture", Rusconi, Milano, 1988, punto 162, pagina 173.
15) F. de Felice, "Gli incerti confini del cosmo", Mondadori, Milano, 2000, pagina 40.
16) Viene fatto ruotare un secchio pieno d'acqua appeso ad una corda verticale. Prima l'acqua rimane ferma rispetto alle pareti rotanti del secchio, e la sua superficie rimane intatta. Mentre la rotazione del secchio continua, anche l'acqua al suo interno inizia a ruotare sollevandosi ai bordi
ed allontanandosi dal centro. Pertanto, inizialmente l'acqua ruota rispetto al secchio, ma rimane in quiete rispetto allo spazio assoluto, perché la sua superficie è piana. Successivamente, essa è ferma rispetto alle pareti del secchio, ma in rotazione rispetto allo spazio assoluto, perché la sua superficie si incurva.
17) Confronta E. Grant, "citato", pagine 94-96.
18) Confronta G. Morpurgo - Tagliabue, "I processi di Galileo e l'epistemologia", Edizioni di Comunità, Milano, 1963, pagine 35 e 36.
19) «Cristo è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, perché per mezzo di lui e in vista di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui», San Paolo, Lettera ai Colossesi,
1, 15-17.