venerdì 11 marzo 2011

L'AVVELENAMENTO DI TYCHO BRAHE




Sulla morte del grande astronomo Tycho Brahe (1546 – 1601) circolano strane voci. Una del tutto singolare. Si racconta infatti che l’astronomo durante un banchetto di corte per non violare l’etichetta e non urtare la sensibilità degli illustri commensali trattenne il naturale stimolo di minzione, continuando a bere, finché gli scoppiò la vescica.
Una più fondata versione attribuisce la sua morte ad un avvelenamento da mercurio, che avrebbe indebolito il suo organismo fino al punto di “non ritorno”. Tale ipotesi è stata confermata recentemente dall'autopsia effettuata nel novembre 2010 sul cadavere dell'illustre astronomo sepolto nella Cattedrale Tyn, in Praga. Come nella riesumazione del 1901, anche in questa occasione nei reperti esaminati sono state ritrovate alte tracce di questo metallo liquido, usato abbondantemente in alchimia e nella farmacopea rinascimentale.
Tale dato non ha tuttavia chiarito la circostanza della morte repentina di Brahe. Anzi sembra confermare altre voci, relative ad un suo possibile avvelenamento da parte di qualche mano maldestra ed illustre, rimasta comunque finora sconosciuta.
È possibile infatti che “qualcuno” interessato ad una sua dipartita, abbia “accorciato” i tempi stabiliti dalla divina provvidenza, togliendo di mezzo un personaggio scomodo, ostinato ed orgoglioso che era riuscito a sfruttare molto bene le sue qualità scientifiche.

Astronomo famoso in tutta Europa, Tycho attraverso una tecnica per l'epoca raffinata riuscì a raccogliere una preziosissima quantità di dati sperimentali, passaggi, transiti, posizioni planetarie che nessun altro studioso fino allora era stato in grado di registrare ad occhio nudo. Tra l'altro, catalogò con la sua strumentazione all’”avanguardia” ed una regolare pratica di osservazione celeste 777 nuove stelle.
Come molti grandi personaggi, Brahe aveva un che di eccentrico, di dispotico. Un caratteraccio fiero, collerico e spesso violento. Nel corso di un duello giovanile, contro un nobile che aveva osato mettere in dubbio le sue doti matematiche, ebbe la peggio ed una sciabolata avversa gli troncò il naso. Tycho fu costretto a ricorrere per il resto dei suoi giorni ad una sorta di “plastica” metallica.
Ma al di là del suo carattere orgoglioso, le sue oggettive qualità di conoscitore del cielo erano così consolidate da indurre il re di Danimarca e Norvegia, Federico II, a fare di tutto per non lasciarselo sfuggire. Al punto da regalargli nel 1576 l'isola di Vien, sulla quale fece costruire un castello-osservatorio astronomico, che Tycho denominò Uranienborg (fortezza dei cieli).
Le osservazioni su quest’isola durarono fino al 1588, quando il nuovo re Cristiano IV entrato presto in urto con l'illustre astronomo ritirò tutti i benefici concessi dal suo predecessore, con gran sollievo degli abitanti dell'isola, praticamente angariati anche dal punto di vista economico dal dispotico astronomo-governatore.
Dopo alcuni anni, nel 1597, Tycho trovò i favori di un altro nobile estimatore e sovvenzionatore: Rodolfo II, Imperatore del “Sacro Romano Impero” che lo nominò matematico imperiale, mettendo a sua disposizione un'enorme somma per la realizzazione di un osservatorio nel castello di Benatek, nei pressi di Praga. Alla corte dell’Imperatore, Brahe ebbe modo di radunare intorno a sé validi assistenti, tra i quali il giovane Keplero, impegnandoli nella raccolta ed elaborazione dei dati relativi ai transiti celesti necessari per convalidare il suo modello, detto Ticonico.
Ma come dicevamo, una morte inattesa e repentina lo colse il 24 ottobre 1601, una decina di giorni dopo quel fatidico banchetto nel quale “sforzò” la sua vescica. Nella Astronomia Nova, pubblicato nel 1609, Giovanni Keplero (1571 – 1630) divenuto famoso, mise in circolo la storia della morte di Tycho: il 13 ottobre 1601, l’astronomo danese <<in compagnia di mastro Minkowitz, cenò alla tavola dell’illustre Rosemberg e trattenne la sua acqua più di quanto non esiga la buona educazione>>.
Il 6 novembre, appena due giorni dopo la sepoltura in pompa magna di Tycho, Keplero venne nominato “Mathematicus imperiale” al posto del defunto maestro. Ebbe così modo di dar subito mano a diversi registri pieni dei dati astronomici custoditi da Tycho, innescando così una controversia con gli eredi per appropriazione indebita.

E dire che era stato proprio Brahe ad invitare il promettente ma allora spiantato Keplero nel castello osservatorio di Benatek, nel febbraio del 1600, dopo aver letto e apprezzato il Mysterium Cosmographicum, scritto da Keplero nel 1595, sperando in una fruttuosa e reciproca collaborazione.
Keplero accettò prontamente l’invito, ben sapendo che Tycho era l'unico astronomo in tutta Europa, cioè nel mondo, in grado di disporre di una enorme quantità di affidabilissimi dati, raccolti in una ventina d'anni di regolare osservazione del cielo attraverso raffinati quadranti. Proprio quei dati che sarebbero serviti a lui per trovare la “chiave” fisica del modello eliocentrico, fino ad allora del tutto inaffidabile dal punto di vista osservativo. Le orbite dei pianeti infatti ancora ritenute circolari non coincidevano con gli effettivi transiti celesti.
Keplero dimostra pertanto una sorta di irrefrenabile attrazione ed “avidità” nei confronti di questo inestimabile tesoro, a suo avviso non degnamente attribuito. Scrisse al suo maestro astronomo Michael Maestlin (1550 - 1631): <<Ecco cosa penso riguardo a Tycho: abbonda di ricchezze, ma non sa usarle nel giusto modo, come succede alla maggior parte dei ricchi. La cosa da farsi è quindi cercare di sottrargli le sue ricchezze (e anch'io, modestamente, ho fatto la mia parte) come mendicando, chiaramente, così che le sue osservazione siano divulgate in maniera sincera e completa>> (in A. M. Lombardi, Keplero – Una biografia scientifica, Codice edizioni, Torino 2008, p. 39).
Il giudizio così nettamente negativo di Keplero circa il più famoso astronomo dell'epoca era dovuto al fatto che Tycho malgrado la sua grandezza ed indiscusso valore non si era per nulla allineato alla scelta eliocentrica, sostenuta invece dalle élites intellettuali coeve. Tycho al contrario, del tutto indipendentemente, aveva elaborato sulla base delle sue minuziose analisi un sistema astronomico nel quale i pianeti ruotavano intorno al sole, il quale insieme alla luna a sua volta ruotava intorno alla terra, ferma nel centro del sistema. Egli era infatti convinto che i dati sperimentali servono per costruire il modello e l'immagine celeste, contrariamente a quanti, Keplero incluso, pensavano il contrario. Ossia, che il mondo naturale deve il più possibile rientrare nel modello matematico elaborato a priori, a prescindere dai dati. Aristotelici versus platonici, un conflitto che si protrae nel tempo.

A causa di questa incompatibilità ideologica, la pur breve collaborazione fra Tycho e Keplero dovette essere necessariamente tempestosa, segnata da inevitabili “scontri” filosofici e caratteriali. Ognuno dei due astronomi era infatti ostinatamente convinto del valore della propria ipotesi, e dell'infondatezza dell'altra, ed altrettanto impegnato nel tentativo, inutile, di convincere l’avversario della correttezza della propria dottrina.
Si pensi che già dopo due mesi, nell’aprile 1600, Keplero dopo un acerbo litigio con Brahe se ne andò dal castello di Benatek, senza tralasciare di ribadire per iscritto in una successiva lettera tutti gli insulti e le accuse proferite verbalmente. La ragione del litigio era chiara: nessuno dei due aveva intenzione di cedere alle ragioni dell’altro.
Ma Keplero, forse consigliato dal suo maestro Mestlin, pensò bene di ritornare sui suoi passi. Inviò a Ticho una richiesta di perdono, nella quale scrisse, tra l’altro: <<Vengo supplicando a domandarvi in nome della divina misericordia di perdonare le mie terribili offese. Ciò che ho detto e scritto contro la vostra persona, la vostra gloria, il vostro onore e il vostro rango nella scienza … ritratto tutto e volontariamente e liberamente lo dichiaro infondato, erroneo, falso … >>. 
Una resa incondizionata, dunque, una ammissione di colpa che non ammette equivoci. Che tuttavia potrebbe celare un’insidia, se proferita da un animo orgoglioso. Quella della vendetta. Una umiltà di facciata finalizzata ad una “nobile“ causa, così importante da rendere necessario rimediare all'”incidente” e fare buon viso a cattivo gioco.
Tra i due grandi astronomi, l'unico al quale sarebbe convenuto ricucire il rapporto era Keplero, non ancora famoso al punto da permettersi una tale autonomia, dissimulando, ma senza recedere dalle proprie convinzione eliocentriche.
Un sacrificio necessario per la “causa” in gioco, alla quale potrebbe averlo richiamato il suo antico maestro Maestlin, accanito copernicano ben conscio sia del tesoro posseduto dall’astronomo danese, che del “dovere” di Keplero di cercare di “appropriarsene” per il bene di tutti.
D’altra parte, Tycho sospettoso com'era si rese ben conto dell’ambiguità del suo assistente, il quale da una parte proclamava sottomissione e fedeltà persino eccessive, ma dall’altra continuava a “remargli” contro, cercando di sfruttare i suoi dati a favore dell'ipotesi astronomica contraria. Per questo, lo tenne impegnato affidandogli il problema più difficile da risolvere, quello dell’orbita irregolare di Marte, centellinandogli i dati in suo possesso, interdetti a chiunque, specialmente ai suoi “avversari” contro i quali si oppose con ostinazione fino alla fine.

Del tutto consapevole del proprio valore di astronomo, Brahe continuava infatti a rifiutare non solo il quadro aristotelico-tolemaico dell’immutabilità dei cieli, che egli stesso aveva dimostrato infondato con la scoperta del 1572 di una stella nuova nella costellazione Cassiopea. Ma anche la visione eliocentrica, che in quel periodo stava prendendo forma e consistenza, anche per effetto di potenti spinte “esoteriche”. Egli infatti non poteva credere, come affermava Copernico, che un “corpo pigro e denso” al pari della terra potesse ruotare nei cieli come se non avesse peso.
Il modello alternativo elaborato da Tycho, che prendeva per buono il principio primo dell’immobilità della terra, funzionava persino meglio di quello copernicano anche perché in accordo con la filosofia aristotelica del “senso comune” secondo la quale il principio della quiete terrestre è così evidente da non poter essere negato. Inoltre: <<dal punto di vista dei calcoli … ne conservava tutti i vantaggi matematici>> (P. Rossi, La rivoluzione astronomica, in Storia della scienza, vol. I, UTET, Torino 1989, pag 183).
Per questa ragione, il sistema di Tycho divenne il punto di forza per quanti rifiutavano le astrazioni platoniche proprie del modello eliocentrico, gran parte dei Gesuiti compresi, e si opponevano alla rivoluzione senza precedenti che lo “spirito solare” stava propiziando nell'ambito culturale, politico e religioso del Rinascimento.
Il modello ticonico dunque si stava rivelando come un insormontabile e ponderoso ostacolo a quanti caldeggiavano con veemenza la “nobile” causa eliocentrica. Tycho insomma rappresentava un personaggio scomodo che andava “rimosso” al più presto, per due principali motivi. Primo, era il più grande astronomo dell’epoca e la sua autorità era una garanzia a vantaggio del modello ticonico. Secondo, era in possesso di una quantità inimmaginabile di dati astronomici, che se coordinati e raccolti sapientemente in un quadro matematico potevano fornire la base scientifica che allora mancava per aprire le porte al definitivo successo dell’eliocentrismo.

“Caso” volle dunque che Tycho uscisse di scena in modo rapido e per certi versi oscuro, lasciando a Keplero il suo incarico di matematico imperiale e tutta la mole dei suoi scritti ed osservazioni celesti.
Beffa delle beffe. Sorte davvero ingrata. Che Tycho Brahe forse intuì negli ultimi giorni di vita, dichiarando più volte il timore che il lavoro di tutta la sua vita fosse reso vano: <<Ne frustra vixisse videar>> (non sembri che io sia vissuto invano), riferisce Keplero.
Accadde tuttavia qualcosa di peggiore. Quanto di peggio possa augurarsi una persona che ha dedicato tutta la vita ad un ideale. Ossia, che tutto il suo lavoro venga sfruttato e ribaltato dagli avversari proprio a favore dell’idea lungamente combattuta.
Infatti, dopo la sua strana morte, i dati dei transiti celesti registrati da Brahe servirono ai suoi oppositori per dare luogo e fondamento alla tesi che egli aveva tenacemente e polemicamente combattuto: l’eliocentrismo. Senza i dati di Brahe, Keplero non avrebbe potuto dedurre le sue tre famose leggi, fondamento dell’eliocentrismo astronomico.
Cinicamente Keplero scrisse in proposito: <<Quindi l’edificio che abbiamo innalzato sulle fondamenta di Tycho l’abbiamo rovesciato … Fu questa la punizione per aver seguito gli assiomi plausibili, ma il realtà sbagliati, dei grandi uomini del passato>> (in A. M. Lombardi, cit., p. 57).
Ironia della sorte. O macchinazione diabolica? Keplero, figlio di una presunta strega, regolarmente incarcerata, processata e salvata in extremis dal famoso figlio – analogamente <<indiziato come cultore di “arti proibite”>> (Ibid, p. 139), dopo che nel 1611 cominciarono a circolare sotto banco copie del suo “farneticante” manoscritto Somnium, nel quale tra l’altro si parla di rivelazioni astronomiche ricevute da vari demoni e streghe –, sarebbe stato in grado di somministrare all'ignaro Tycho dosi mortali di mercurio?
Il cosiddetto movente, il fatidico cui prodest, era ben consistente per l'ambizioso ma ancora assai spiantato assistente, che in seguito a quella morte succedette all'astronomo danese, ricavandone, per indiscutibili meriti scientifici, successo e gloria. Altrettanto possibili le opportunità attraverso le quali attuare il piano diabolicus (forse concordato con il suo maestro Maestlin e la cerchia dei copernicani amici e sostenitori), che avrebbe consentito alla scienza di progredire secondo la direzione voluta dalle accademie aristocratiche antiaristoteliche ed antitomistiche.
Forse proprio in quella fatidica cena citata da Keplero, dopo la quale Tycho si ammalò per poi morire in una decina di giorni, avvenne l’avvelenamento. Qualcuno versò nella sua coppa il veleno, che Brahe trangugiò senza accorgersene, forse perché preso dalla discussione con gli illustri commensali intorno al suo modello astronomico, avvertendo tuttavia quasi subito i sintomi del fatale malessere, che attribuita dal suo assistente alla forzata ritenzione urinaria.
Potrebbe dunque essere andata così. Ma le prove a dimostrazione che un delitto eccellente sia alla base del successo della rivoluzione scientifica ed eliocentrica, ovviamente mancano. Insieme alla risposta relativa alla strada che avrebbe intrapreso l’astronomia moderna, se invece della teoria pitagorico-copernicana si fosse sviluppata secondo criteri scientifici l’immagine aristotelica celeste dedotta da Tycho Brahe. E allora il “terribile sospetto” si riduce a flatus vocis, sul quale potrebbe essere persino inutile indagare. Ma non denunciare.