giovedì 8 dicembre 2011

COSMO ANGELICO





San Paolo innalzato misteriosamente fino al “terzo cielo” ebbe modo di contemplare gli aspetti più insondabili della realtà divina. Egli conobbe in via del tutto eccezionale i sacri arcani custoditi dagli angeli e le rispettive gerarchie celesti che regolano e governano i cieli e la terra, i Principati, le Potestà, le Virtù (1 Cor 15, 24) ed i Troni (Col 1, 16), poste sotto il trono dell’Altissimo.
L’Apostolo delle genti alluse in terza persona a questa sua particolare esperienza, probabilmente vissuta tra la conversione sulla via di Damasco e l’arrivo a Corinto, nella lettera ai fedeli della capitale dell’Attalia: <<Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa … fu rapito fino al terzo cielo … Questo uomo fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare>> (2 Cor 12, 2).
L’intensità di tale rivelazione sui “cieli aperti” dovette per forza di cose provocare in Paolo un ulteriore accentramento di tutto il suo essere in Dio, dopo quello già avvenuto sulla via di Damasco. Egli infatti vide svelarsi in modo incomprensibile il mistero di tutta la realtà centrata in Dio, come intorno ad un Centro universale ed unico, dal quale e nel quale trova origine e fine ogni cosa. L’esperienza fu così grandiosa e straordinaria che il Signore gli assegnò subito un’afflizione: <<una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi perché io non vada in superbia>> (2 Cor 12, 7).
L’eco del misterioso evento descritto nella Seconda Lettera ai Corinti risuona anche nell’inno cristocentrico inviato ai santi della città di Efeso, nel quale l’Apostolo delle genti afferma il telos o fine divino <<di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra>> (Ef 1, 10). Cristo infatti è stato posto da Dio alla sua destra nel vertice dei cieli, al di sopra degli angeli: <<di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione>> (ivi 1, 20-22).
Quando Paolo celebra la gloria del Cristo Pantocrator che riempie l’intero universo, sembra voler anche indicare il passaggio da una concezione antropocentrica della realtà a quella soprannaturale cristocentrica. Come se in proporzione alla fede in Cristo (la Scrittura cresce con il suo lettore, diceva san Gregorio Magno), corrispondesse una precisa visione anche del mondo fisico. Del resto: <<Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore>> (2 Cor 3, 18).
In Cristo, che si è definito Via, Verità e Vita, l’alfa e l’omega di tutto, si risolve ogni dinamica universale, il telos di ogni movimento, inteso in senso lato. Come attorno ad un Centro universale assoluto, Vertice supremo trascendente, tutta la creazione pulsa e gravita intorno alla divinità di Cristo in una sorta di moto centripeto e centrifugo, un exitus ed un reditus non solo spirituale. È il Verbo infatti che imprime al tutto come “causa efficiente” la virtù di muoversi ed evolvere, attuando le fasi e gli eventi che consentono l’evoluzione della vita biologica e spirituale, fino alla determinazione del passaggio dalle prospettive antropocentriche a quelle teocentriche.
Non è che l’Apostolo delle genti abbia voluto definire una forma geometrica del cosmo, ponendo Cristo al vertice della creazione in relazione agli angeli, come in un luogo trascendente, seduto in modo simbolico alla destra di Dio, nel senso esclusivo di causa efficiente e finale del tutto. Tuttavia i suoi inni cristocentrici sembrano alludere ad un’immagine metafisica del cosmo, intesa come riflesso della dimensione teologica nella realtà sensibile.
Per mettere a fuoco quella che sembra essere l’immagine del cosmo paolino, occorre innanzitutto predisporre un capovolgimento radicale del comune modo di concepire la dimensione naturale in senso scientifico ed antropologico. Ora infatti <<la nostra conoscenza è imperfetta … vediamo come in uno specchio, in maniera confusa>> (1 Cor 13 9, 12). Sappiamo peraltro che la sapienza umana è condannata da Dio (Is 29, 14) che <<ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti … perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio>> (1 Cor 1, 27).
La cosmologia che pone il principio primo dell’esistenza e della conoscenza in Cristo richiede pertanto un superamento della visione scientifica della realtà, per giungere ad un’immagine della stessa pienamente cristocentrica. Del resto, siamo spronati dall’Apostolo a non conformarci <<alla mentalità di questo secolo>>, in gran parte determinata dall’autorità della scienza dell’immanente, ma a trasformarci rinnovando la nostra mente <<per poter discernere la volontà di Dio>> (Rm 12, 1-2). Ossia, il sottomettere il tutto a suo Figlio unigenito, <<come sgabello dei suoi piedi>> (Salmo 110, 1).
Questa affermazione rappresenta senz’altro un modo di dire. Tuttavia, indica anche che i piedi del Signore poggiano, in senso metaforico, in ogni punto all’interno del suolo terrestre, ovviamente sferico. La “sfera universale” avente come “centro” l’Essere sussistente (Esse ipsum) del quale partecipa tutta la realtà, rappresenta l’immagine teologica che più rispecchia l’ordine cosmologico, alla luce della cristologia paolina.
L’immagine assume un ulteriore significato metafisico, considerando il globo universale dal punto di vista endosferico e non esosferico. Intendendo per così dire “il tutto” come interno alla Terra e non esterno. Come invece è stata considerata la realtà celeste dalle cosmologie che si sono succedute nel corso dei secoli. Compresa quella aristotelico-tomista che poneva la terra al centro del mondo e Dio nella sfera esterna dell’empireo.
La cosmologia cristocentrica paolina ribalta questo dato iniziale della conoscenza, ponendo invece Cristo Via, Verità e Vita nel luogo nevralgico della sfera universale, ove si manifesta la sua Gloria. La terra in questo senso può intendersi come il bordo esterno della creazione, lo sferoide che contiene al suo interno il tutto, come limite della realtà non accessibile alle sfere infere escluse dal Regno dei cieli ed aperte nell’indefinito esterno.
La Terra come Tempio universale nel cui interno staziona come in un tabernacolo la Gloria di Dio, è un’immagine cosmologica che capovolge il tradizionale modo di intendere la realtà celeste e terrestre. Siamo infatti soliti interpretare il tutto “umanamente”, come esterno alla terra. Appare dunque un’assurdità considerare il cosmo come l’interno di un uovo il cui guscio è rappresentato dal suolo terrestre. Si è convinti che l’universo sia infinito, isotropo, omogeneo, che le distanze fra stelle e galassie siano enormi ed esprimibili in “anni luce”, come se un “anno luce” fosse una distanza reale come il metro. La scienza ha imprigionato la nostra mente all’interno delle sue conclusioni.
San Paolo alla luce della sapienza divina allude invece ad una struttura gerarchica e finita dello spazio fisico. Egli attraversò tre cieli. E tre cieli corrispondono alla terna dei cori angelici, a loro volta strutturati in tre sottocori, indagati da san Tommaso d’Aquino alla luce dell’opera di Dionigi l’Areopagita, De Caelesti hyerarchia, sul ruolo delle gerarchie angeliche nell’ambito universale.
D’altra parte, San Tommaso pone l’esistenza delle creature angeliche come un fattore indispensabile per giungere alla conoscenza della realtà, perché se l’universo deve rappresentare Dio, allora <<è necessario che nella scala degli esseri ve ne siano di puramente intellettuali, quindi incorporei e perciò anche senza materia, perché l’intendere è operazione del tutto immateriale>> (Somma T., I, q. 50, 1-2).
Gli angeli pertanto sono in gradi di trasmettere agli uomini visioni simboliche o illuminazioni dirette, poiché in genere gli esseri dei gradi inferiori vengono ricondotti a Dio per mezzo degli esseri dei gradi superiori. Questo perché <<gli esseri più alti del genere inferiore appaiono vicini al genere superiore e viceversa>> (Cont. Gent. III) secondo i principi della gerarchia celeste.
In questo senso, gli angeli partecipano agli uomini immagini adeguate alle loro qualità. Come quando nella “notte santa” si aprirono i cieli ed essi apparendo ai pastori proclamarono il Gloria in excelsis Deo. O come quando san Paolo, <<con il corpo o senza corpo, lo sa Dio>> (2 Cor 12, 3), venne innalzato fino al vertice della creazione. In quello che costituisce il Centro ontologico della realtà universale, ove risiede la Gloria inaccessibile di Dio, fonte eterna di pace per gli uomini di buona volontà.




domenica 13 novembre 2011

SCIENZA E RELIGIONE





La scienza ha elaborato, a partire dal 1600, un modello del mondo fondato sull’idea della rotazione terrestre, dell’immobilità solare, dell’infinità dell’universo, ecc. Nel corso dei secoli, sono state rapportate a tale modello tutte le osservazioni sperimentali che andavano determinandosi riguardo all’universo.
Tra i postulati basilari posti a fondamento della metodologia scientifica, emerge quello dell’indipendenza della scienza dalla metafisica, e la netta separazione fra indagine scientifica e fede religiosa. La scienza pertanto esclude di principio ogni ricorso ad ipotesi non quantificabili dal punto di vista matematico, ogni riferimento alla metafisica, che si occupa della realtà ontologica, che a sua volta sfocia nella teologia, scienza di Dio.
La scissione fra scienza e fede si determinò in seguito alle istanze galileiane, che dichiaravano l’indipendenza della ricerca scientifica dal dogmatismo religioso. Il suo commento al Salmo 18, o al famoso passo di Giosuè, che attestano il moto del sole rispetto alla Terra, mise in discussione la verità della Scrittura nelle questioni naturali.
La Bibbia poiché utilizza un linguaggio allegorico e simbolico non deve essere presa alla lettera, specialmente quando si tratti di problematiche scientifiche, perché essa non è stata scritta per dirimere i misteri della natura. Dio ha trasmesso ai suoi interpreti i significati apparenti della realtà, utilizzando un linguaggio semplice accessibile al popolo rozzo e ignorante, sostiene Galilei.
L’uomo, pertanto, per giungere alla conoscenza scientifica deve slacciarsi da ogni riferimento alla Scritture, per utilizzare un linguaggio rigoroso ed obiettivo, un linguaggio quantitativo ed universale, qual è appunto quello matematico. Tutto quanto non rientra nei canoni di questo linguaggio non è scientifico, cioè non è vero. Ove con vero si intende e confonde il reale.
La matematica utilizzando la rappresentazione quantitativa della realtà, ha consentito alla scienza di elaborare il proprio modello del mondo, che non può considerarsi definitivo, perché la verità scientifica è relativa e sempre in fieri. L’astronomia moderna ci parla dunque di universo infinito, di galassie, buchi neri, di universi paralleli, nei quali sarebbe possibile trovare altrettanti alter ego, semmai inconsapevoli l’uno dell’altro. Queste sono supposizioni che però vengono considerati quasi alla stregua di fatti, perché presentati sotto il linguaggio matematico della scienza, in grado di dare autorevolezza alle fantasie più strane.
L’esclusione di Dio dall’universo da Lui creato è una conseguenza dell’atteggiamento iniziale perseguito dalla scienza galileiana. È infatti ovvio che se si esclude un elemento dalle fondamenta di una costruzione, quest’ultima non potrà riprodurlo nelle fasi finali. Pertanto, risulta vano ogni tentativo di mediazione o di interpretazione cristiana dell’universo elaborato da una scienza basata su di un’ideologia quantitativa e materialista che esclude per principio ogni riferimento al Dio Creatore e Redentore.
Proprio perché non è possibile risalire o ritrovare Cristo nell’attuale visione scientifica del mondo, quest’ultima non può essere considerata in linea con la filosofia realistica cattolica, che in modo continuo rapporta la creazione e gli esseri al Creatore. Tale affermazione non deve essere tuttavia considerata come un rifiuto del quadro della realtà che la scienza ci prospetta.
Al contrario, la scienza propone i suoi insegnamenti derivanti dalle sue indagini sperimentali e razionali di tutto rispetto. Occorre però ridimensionare l’immagine ed il valore delle teorie che la scienza propone. La scienza infatti non produce verità, ma ipotesi falsificabili. Le sue teorie, i suoi modelli sono frutto della ragione, ed in quanto tali transitori, relativi.
Al di là dei modelli proposti dalla scienza riguardo alla concezione del cosmo riteniamo allora possibile elaborare un quadro della realtà naturale che si distacchi e distingua da quello propostoci dalla scienza, e che possa considerarsi ad esso alternativo. Non si tratta di negare le conclusioni alle quali è pervenuta la scienza nel corso degli ultimi secoli. Si accetta dunque il modello eliocentrico, la teoria atomica, la relatività particolare e generale, ecc.
Si tratterà dunque di ottenere un modello cosmologico cristocentrico che si distacchi dalle teorie scientifiche vigenti, dai risultati che continuamente provengono dai più potenti telescopi disseminati in tutto il mondo. Ma soprattutto che si distacchi dall’ideologia materialistica che caratterizza ed indirizza ogni teoria scientifica. Mentre la scienza crede nell’eternità della materia e nell’indipendenza totale della realtà naturale da Dio, il modello cosmologico cristiano pone il suo credo nella centralità di Dio, nel suo continuo rapporto con la creazione, nonché la Sua cura amorevole verso ogni elemento, verso ogni creatura.
La comunione fra Dio e l’uomo può avvenire anche mediante la contemplazione del <<libro della natura>>. In quest’ultimo sono innumerevoli le tracce che consentono all’anima di ricongiungersi a Dio, come ha indicato san Tommaso nella definizione delle <<cinque vie>>. La conoscenza scientifica per giungere nella sua pienezza deve acquisire connotati teologici che inducono ad amare Dio e la sua creazione. Amore che cresce di pari grado alla conoscenza che l’uomo può avere di Cristo e dei tesori di scienza e sapienza che Dio ha posto in Lui.
Ricapitolare tutto l’Universo in Cristo innalzato alla destra di Dio (cfr Ef 1, 10) non è dunque solo un modo di dire utilizzato da san Paolo per scrivere qualcosa di confortante ai fedeli di Efeso. L’immagine cosmologica effettiva che sembra corrispondere a questa affermazione paolina è ovviamente di natura metafisica, ove con metafisica si intenda <<un sapere di ciò che è strettamente reale; di ciò che è, così e come effettivamente è; e non di una nozione più o meno vaga e astratta>> (T. Melendo, «Metafisica del concreto», p. 20), come quelle che in genere ci fornisce la scienza moderna che deduce i suoi modelli dalla ragione per poi proiettarli sulla realtà.
Consideriamo infatti che: <<Se c’è un tipo di conoscenza che tende all’astrattezza è proprio la conoscenza scientifica non - metafisica (…). Gli aspetti importanti della realtà sono quelli che vengono colti dal senso comune prima, e poi dalla riflessione metafisica; non certamente dalla matematica, malgrado quello che alcuni matematici si ostinino ancora a pensare e a dire>> (A. Livi, Prefazione, in T. Melendo, cit, pag 10).
Se il senso comune non è dunque illusorio, ma coglie il vero volto della realtà in quanto dato primo della conoscenza, allora su questo fondamento è possibile avviare una corretta indagine cosmologica cristiana e cristocentrica, alternativa a quella scientifico-pitagorica, che analizzi la realtà, così come si presenta ai nostri sensi e la rapporti a Cristo-Verità. Ed uno degli innegabili primi dati che si presenta ai nostri sensi è il movimento del Sole rispetto alla quiete della Terra. Dato sensibile questo che la scienza moderna invece nega e considera frutto di illusione.




mercoledì 2 novembre 2011

LA MATERIA “VUOTA”




Lo smarrimento dei fisici dello scorso secolo di fronte alla disgregazione della materia atomica, sembra riproporre con i dovuti distinguo, lo stupore provato dai primi discepoli di Cristo di fronte al sepolcro inspiegabilmente vuoto. Essi per forza di cose dovettero rendersi conto che il Corpo del Signore, la sua parte materiale, dopo la morte aveva acquisito qualità gloriose. Forze spirituali sconosciute alla natura che lo rendevano in grado di attraversare porte chiusi e mura, comparire e scomparire a piacimento, elevarsi al cielo, conoscere i pensieri, ecc.
In modo altrettanto inatteso, all’inizio del secolo scorso la materia dimostrò di essere “vuota” invece che “piena”. Radioattività, effetto fotoelettrico, diffrazione elettronica, ecc. provarono infatti che l’átomon, indiviso, non poteva più ritenersi come il granulo durissimo, indistruttibile, soglia inviolabile della materia. Al suo interno, sfuggevoli componenti si moltiplicavano comportandosi a volte come corpuscoli, a volte come onde. La materia solida e compatta così come in genere viene concepita aveva insomma dimostrato di possedere un incomprensibile grado di inconsistenza interna.
Per interpretare questi nuovi fenomeni fu necessario trascendere le concezioni classiche, riguardo alla struttura ed alle leggi della materia, per inquadrarli in una nuova teoria, la meccanica quantistica, del tutto inconciliabile non solo con la fisica ordinaria. Ma anche e soprattutto con la logica comune. Atomi e particelle infatti, non possono essere osservati, sono contemporaneamente qui e là ed anche dove non potrebbero essere, alla luce del tutto è probabilmente possibile.
I principi basilari della meccanica quantistica sono sostenuti da un potente formalismo matematico in grado di assorbire ed esorcizzare possibili turbamenti o eventuali critiche interne ed esterne.
Come in un sortilegio, dunque, la smaterializzazione della materia ha comportato una corrispettiva materializzazione del pensiero che la indaga, al punto che le complicate formule matematiche che descrivono le sue proprietà sono divenute l’inattaccabile sostanza della materia stessa. L’immaginazione razionale si è imposta sulla realtà, proprio come avviene nel campo della magia.
Come anticipando queste conclusioni, Heisemberg ebbe a dire che <<L’idea della obiettiva realtà delle particelle elementari si è quindi sorprendentemente dissolta, e non nella nebbia di una qualche nuova, poco chiara o ancora incompresa idea di realtà, ma nella trasparente chiarezza di una matematica che non rappresenta più il comportamento della particella, ma il nostro sapere sopra questo comportamento>>.
Secondo Heisemberg le particelle elementari del Timeo di Platone ai nostri giorni sono divenute elaborate forme matematiche: <<“Tutte le cose sono numeri” è una frase attribuita a Pitagora. Le sole forme matematiche disponibili a quei tempi erano forme geometriche come i solidi regolari o triangoli che formano le loro superfici. Nella moderna teoria quantistica non ci può essere dubbio alcuno che le particelle elementari saranno alla fine anch’esse forme matematiche, ma di una natura molto più complicata>>.
Rendendosi probabilmente conto della connessione mente-mondo che implicavano i nuovi aspetti scoperti nella materia, egli affermò che dopo le esperienze che diedero origine alla fisica quantistica concetti come mente, anima, Dio, vita, non potevano più essere analizzati attraverso lo stesso atteggiamento materialistico degli scienziati del secolo diciannovesimo, in quanto tali concetti, benché difficili da definire, toccano effettivamente qualcosa di reale.

L’apertura al misticismo della fisica moderna è stata autorevolmente varata da molti fisici della scuola di Copenaghen e Göttingen, i quali non disdegnarono di prendere in considerazioni prospettive estranee alla dimensione tangibile, tradizionalmente escluse da ogni analisi scientifica.
Lo stesso Pauli riteneva impossibile una netta distinzione fra scienza e religione, riandando alla filosofia medievale che distingueva, ma non separava, mente e materia, dal momento che tutto ciò che esiste, dagli oggetti celesti a quelli materiali, possiede una base spirituale. Egli quindi affermava che: <<Lo scopo importante ed estremamente difficile del nostro tempo è di tentare di costruire un’idea nuova di realtà. Questo è quello che intendo quando sottolineo continuamente che la scienza e la religione debbono essere in qualche modo connesse>>.
I principali interpreti della meccanica quantistica si posero pertanto su posizioni opposte a quelle adottate dalla scienza a partire dal XVII secolo, sulla base del cogito cartesiano. Cartesio infatti separò la res cogitans dalla res extensa, lo spirito dalla materia, attribuendo valore alla materia, allo spirito opinabilità. Le varie materie vennero unificate nella res extensa in un’unica estensione quantificabile, secondo le linee del monismo materialistico, che intende ricondurre il tutto all’uno materiale.
La pretesa che la molteplicità degli enti possa essere ricondotta alla sola dimensione materiale è tuttavia smentita dai fatti. Infatti, mediante la materia non si determina la riduzione del molteplice all’uno, ma la moltiplicazione all’infinito degli enti fisici.
Già san Paolo per rassicurare i fedeli di fronte al mistero del disfacimento e risurrezione dei corpi promessa dal Signore, spiegò la diversità insita della materia: <<Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella degli uccelli e altra quella dei pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri>> (1 Cor 15, 39-40).
Quest’affermazione lascia intendere che nella materia sia inserito un fattore che la contraddistingue in qualità a seconda che si parli di un oggetto inanimato, di un organismo vegetale o animale, di un corpo dotato di spirito come quello umano. La “pasta” materiale che compone i corpi sensibili è la stessa. Ma fino ad un certo punto, perché le essenze e le perfezioni dei corpi sono diverse.
Ricordiamo che la filosofia scolastica prevede la distinzione della materia, intesa come elemento indeterminato, passivo, opposto alla “forma” che rappresenta invece l’elemento attivo della determinazione. San Tommaso specifica inoltre che la realtà materiale dipende oltre che dalla forma di un ente fisico, soprattutto dalla sua essenza ed esistenza, o “atto d’essere”, actus essendi. Dove per ente si intende <<tutto ciò che ha l’essere>>, quod habet esse.
Il dualismo tra il pieno ed il vuoto dei filosofi ionici è superato dalla prospettiva tomista. Non è il “pieno” infatti il fattore qualificante di un ente materiale, così come ha indicato Newton nella sua definizione di <quantità di materia>>. Il pieno rappresenta uno stato sottoposto a quello della forma e del “vuoto”. È nel vuoto infatti che si determina la forma che precede e determina la specificità di un ente materiale. Nella forma si inseriscono l’essenza e l’esistenza dell’oggetto che lo rendono reale e visibile. Tutta la realtà visibile ed invisibile insomma discende dalla volontà divina che si realizza attraverso il Verbo creatore, dal quale il sensibile trae essere, essenza ed esistenza: Via, Verità e Vita.


domenica 23 ottobre 2011

A PROPOSITO DEL TEMPO NATURALE




La cultura scientifica ha in un certo modo fatto prevalere l’immagine misurabile del tempo, rispetto al significato trascendente ed al finalismo naturale implicito in esso. A cominciare da Newton, che ne diede definizione famosa, ma incompleta e indimostrata: “Il tempo assoluto, matematico scorre uniformemente …. Il tempo relativo, apparente, volgare …“. Siamo d’accordo che questa definizione sia sintetica <<ma che tale espressione sia chiara e, dal punto di vista del fisico, anche soddisfacente, è questione differente>>, afferma R. De Ritis.
Newton definì il tempo assoluto, che scorre uniformemente senza alcuna relazione con alcunché di esterno, e che viene generalmente denominato durata, senza preoccuparsi di completare e di rendere più esplicita la sua definizione, dando così luogo alla contraddizione. Se infatti il tempo assoluto newtoniano non è in relazione con alcunché di esterno, esso non solo è indefinibile, ma anche inconoscibile e non misurabile. Dunque, inesistente.
Newton sorvola inoltre sulla definizione da attribuire alla durata, che di per sé è legata alla misurazione. Ma se è legata alla misurazione il tempo assoluto è in relazione con la misurabilità e con i misuratori. Dunque, in relazione con l’esterno.
Le contraddizioni implicite alla definizione di tempo fornitaci da Newton si riversano anche nel fondamentale “principio di inerzia”: “Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse”.
Osserva in proposito Cassirer: <<Ma l’aporia che il sistema complessivo della meccanica mantiene nella formulazione del principio di inerzia, finisce con l’esprimersi in un circolo gnoseologico da cui per essa non sembra esservi scampo>>.
Infatti, per definire il significato del principio d’inerzia, è necessario ricorrere al concetto di “tempi uguali”. Ma una misurazione fisica di “tempi uguali” è ricavabile solo se si sia accettato la validità del principio di inerzia. Infatti, la meccanica definisce “tempi uguali” quegli intervalli di tempo nei quali un corpo abbandonato a se stesso percorre spazi uguali.
L’analisi delle tecniche della misurazione degli intervalli di tempo effettuata da Neumann, lo portò a considerare la legge di Galilei e gli stessi “intervalli uguali di tempo” alla base di questa legge, in modo alquanto critico e circolare. La legge di Galilei infatti stabilisce che un punto materiale lasciato a sé stesso si muove non solo lungo una linea diritta, ma anche che esso percorre una stessa distanza in eguali intervalli di tempo. Tuttavia, noi non sappiamo cosa significhi “eguali intervalli di tempo”, se non in relazione alla valutazione e misurazione dei segmenti temporali.

Fu Einstein ad insistere sul carattere relativo della misurazione del tempo. In particolare, nell’articolo che gli diede fama internazionale, egli diede un’interpretazione del fenomeno della contemporaneità, dimostrando come il valore della misurazione della contemporaneità non costituisca un assoluto, dal momento che questo valore dipende dalle condizioni dinamiche del misuratore.
A tale proposito, è interessante citare un’affermazione di W. L. Craig: <<Trovo sorprendente che la lettura del saggio di Einstein del 1905 possa indurre qualcuno a pensare che Einstein abbia dimostrato che la simultaneità assoluta non esiste e che, perciò, il tempo è relativo a una struttura di riferimento. Infatti, tutta la teoria dipende dal fatto di accettare la definizione arbitraria di simultaneità data da Einstein – in verità assai anti-intuitiva –, insieme a un positivismo filosofico di origine machiana secondo cui la simultaneità assoluta è priva di significato se non è empiricamente rilevabile … Chi non è positivista, e quindi non accetta la definizione di Einstein, considererebbe questi osservatori che si muovono con moto relativo come ingannati dalla natura delle loro misurazioni, inadatte a scoprire il tempo vero. Costui non considererebbe affatto, in senso vero e proprio la teoria di Einstein come una teoria sul tempo e sullo spazio, ma, al modo di Frank, “come un sistema di ipotesi sul comportamento di raggi luminosi, corpi rigidi e meccanismi, da cui si possono ricavare nuove inferenze su tale comportamento”>>.
 La fisica contemporanea si è soffermata in modo particolare sul concetto di contemporaneità. Einstein edificò su tale nozione il suo edificio relativistico. È noto che egli propose una definizione operativa della simultaneità, attraverso un’enunciazione di rigorose sequenze che rendessero possibile stabilire attraverso i canoni della misura ciò che è contemporaneo e ciò che non lo è.
Per trovare il criterio corretto che rispondesse a tali esigenze, postulò l’indimostrato secondo principio di relatività, anche detto della costanza della velocità della luce. La velocità della luce, così elevata a costante universale, unica, insuperabile, rendeva possibile stabilire se due o più eventi fossero o meno contemporanei.
Nondimeno, è evidente che se la velocità possedesse davvero un limite, allora il fenomeno stesso della contemporaneità sarebbe come negato, perché reso funzione della distanza. Col crescere della distanza infatti non potrebbe che aumentare il tempo di propagazione del segnale emesso al verificarsi del fenomeno supposto contemporaneo. Dunque, gli eventi non sarebbero più coesistenti. Il cielo stellato sarebbe più un’illusione che una realtà. Infatti, quando un segnale luminoso di una stella giunge ai nostri occhi, la stella non è più presente. Il suo tempo non è come il nostro tempo, ma appartiene al passato. Ossia ad uno spazio non reale.
Perché invece la contemporaneità sia un fenomeno fisico universale, e non solo locale, e l’universo stesso sia reale, è necessaria una velocità di trasmissione dei segnali immediata. Ovvero, che la luce sia istantanea nella sua propagazione da due punti distanti a piacere nell’universo. Se questo non avviene, le varie parti che compongono l’universo non possono considerarsi compresenti, ma per quanto più lontane, tanto più non contemporanee, ed appartenenti al passato, a spazi non reali.
Il tempo razionalizzato insomma oltre che sfuggire alle gabbie mentali che tentano di imbrigliarlo, non può che comportare l’allontanamento dal fluire della stessa temporalità reale, che Bergson chiamava “durata”, nella quale sono immerse inevitabilmente, e senza via d’uscita, tutte le cose.
Il “qui adesso”, l’essenza del reale, dunque non corrisponde né all’<<illud tempore>> proprio del mito, né all’astratta struttura del <<continuum>> spazio-temporale della fisica relativistica, che riduce il tutto ad espressioni numeriche. Il “qui adesso” continua ad essere in fondo quell’incomprensibile mistero che sant’Agostino diceva di conoscere se non doveva spiegarlo. Ma di non conoscere nel momento stesso in cui cercava di darne ragione.




venerdì 14 ottobre 2011

“OFFICINE” SCOLASTICHE



Uno dei motivi che stanno alla base del contrasto fra la Chiesa e la Massoneria riguarda la finalità pedagogica che entrambe rivendicano circa la formazione dell’individuo. Il suo “ammaestramento” verso acquisizioni superiori. Un’iniziazione ai misteri, da una parte ordinata ai sacramenti ed alla vita di grazia, dall’altra collegata alle conquiste della ragione emancipata da dogmi correlati alla trascendenza.
Il Signore in persona affidò agli apostoli la missione di ammaestrare le nazioni alla luce del Vangelo <<battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato >>, assicurando il suo sostegno quotidiano fino alla fine del mondo (Mt 28, 19).
La clamorosa conversione di Saulo di Tarso anticipò in modo emblematico quella che nel giro di tre secoli sarebbe toccata all’impero romano, che da persecutore del cristianesimo ne divenne seguace e difensore nel 323, a partire dall’editto di Milano.
Dopo questa data, i cristiani si inserirono nei cardini del potere politico diffondendo ad ogni livello sociale i valori propri della nuova religione, occupandosi soprattutto dell’educazione della gioventù, istituendo scuole monastiche, seminari e centri di cultura, dai quali derivarono le Università medievali sparse in tutt’Europa.
Sul finire del 1600, questa realtà che in tinte chiare e scure aveva comunque accomunato e formato gli stati europei nel corso di lunghi secoli sulla base dei principi evangelici, iniziò a trasformarsi in modo evidente sotto la spinta propulsiva delle istanze umanistiche e razionalistiche contrarie alla dottrina cristiana.
Nel 1746, compare nelle logge massoniche di carattere razionalista sorte in Francia, il famoso motto <<libertà, uguaglianza, fraternità>> che aprì le porte all’illuminismo ed all’<<enciclopedia>>. Le dottrine politiche si indirizzano sempre più in senso laico e moderno, prospettando all’uomo un ruolo nuovo ed attivo all’interno della vita sociale, non più riferita ai valori cristiani della trascendenza. Tutto questo secondo un disegno che si delinea gerarchicamente dall’alto verso il basso, come spiega il massone S. R. de La Ferrière:
<<Al di sopra delle nostre Logge, dei nostri Templi, dei nostri Grandi Orienti e dei nostri Riti, è sempre esistita una Direzione Iniziatica Universale, una Massoneria ed un Grande Oriente Universale di carattere esoterico, il cui Cons:. Sup:., composto di veri Iniziati, riceve la linea direttiva dai propri Santi Santuari Esoterici, per subito trasmetterla, attraverso intermediari, ad Organismi sempre più exoterici. Siamo certi che la maggior parte dei nostri Fr:. M:. si stupirà di questo, non avendo mai sentito parlare di tale Direzione Superiore>> (Il libro nero della Framassoneria, Palermo 2009, p. 19).
Alla luce di tale direzione occulta, nel periodo illuminista Joseph De Maistre, affiliato alla loggia di Chambéry, rivendicò alla massoneria la missione di costruire <<la scienza dell’uomo per eccellenza, cioè la conoscenza della sua origine e del suo destino>> non disgiunta da una religiosità aperta a più credi perché improntata sui cardini della tolleranza e fratellanza universali. La divinità a cui questa filosofia faceva capo era impersonale, adatta a molti confessioni, concepita simbolicamente come “grande mente”, o Grande Architetto dell’Universo (GADU).
Oltre a Comenio, in rapporto con la setta dei Rosacroce, la propaganda della pedagogia massonica fu assegnata ad affiliati di prim’ordine. Tra i quali, Goethe, Fichte. Ma fu specialmente Herder ad indirizzare la libera muratoria verso la diffusione di un sincretismo religioso universale. Goethe da parte sua non nascose la sua affiliazione all’opera muratoria, attribuendo ad essa il compito di formare l’individuo attraverso un indefinito processo di perfezionamento personale e sociale. Fitche, affiliato nel 1793, svolse la sua attività a Berlino, impegnandosi nella ricerca e nell’insegnamento della filosofia elaborata in spirito massonico.
Anche il famoso pedagogista J. H. Pestalozzi prese contatto fin dalla giovinezza con gli Illuminati di Baviera, associazione para (o super) massonica impegnata a conseguire il perfezionamento dell’individuo e dell’umanità attraverso la diffusione di una religiosità universale di tipo razionalistica, senza dogmi, che non escludeva una sorta di messa in comune dei beni. Pestalozzi inserì nella sua opera pedagogica questi ideali trans-nazionali, ordinati alla formazione di una nuova società basata sugli ideali cosmopoliti e filantropici, che si contrapponevano a quelli propri della filosofia morale di matrice tomista.
In Italia le prime logge sorsero nel centro-nord a partire dal 1731, sviluppandosi secondo i tipici due indirizzi. Quello mistico esoterico-occultistico coltivato prevalentemente nelle logge anglosassoni e preferite dall’aristocrazia. E quello di stampo razionalistico ed illuministico tipico delle logge francesi, frequentate genericamente dalla borghesia progressista ben organizzata politicamente.
Bisognò tuttavia attendere un centinaio di anni, prima che la massoneria italica iniziasse il tentativo di statalizzazione della sua azione pedagogica. Una circolare del 31 agosto 1867 dispiega le linee programmatiche comune a tutte le logge, finalizzate <<all’apostolato della verità, all’azione benefica e docente, moralizzatrice del popolo e protettrice benefica dei suoi diritti>>. Le officine dovevano così impegnarsi per contrastare la trasmissione dei dogmi cattolici attraverso una martellante propaganda <<del dogma della Scienza, della Libertà, della Fratellanza, della Solidarietà>>.
Il 31 luglio 1870, l’alto dignitario Federico Campanella diramò a tutte le logge italiane una circolare nella quale si afferma il fine pedagogico della massoneria, la quale <<deve preparare la via alla rigenerazione dell’umanità, e porgere al popolo i mezzi di ammaestrarsi nei suoi doveri e diritti>>, per migliorare lo sviluppo della vita sociale e politica. La massoneria <<deve quindi concentrare tutti i suoi sforzi nel promuovere la fondazione di scuole popolari, di asili infantili, di società cooperative e di mutuo soccorso fra operai e contadini, di librerie circolanti, di giornali e di tutto quanto può servire all’educazione ed al benessere sociale delle classi diseredate>>.
In questo contesto, la Chiesa non poteva che essere considerata come il baluardo della reazione e la principale avversaria di un progresso rapportato ai tempi, dispensiera di un messaggio sempre meno attuale ed estraneo alle esigenze dell’uomo moderno. Per tale motivo, l’organizzazione dello stato laico dovette essere bene attenta a non concedere la benché minima apertura a questo sorpassato oppositore sempre pronto a recuperare rapidamente il terreno perduto.
Secondo le nuove linee pedagogico-massoniche, la scuola laica doveva impegnarsi a formare innanzitutto il cittadino, più che il devoto, il “genio” più che il “santo”. Occorreva pertanto definire e trasmettere una religione razionale in grado di smussare particolarismi e dogmi, per essere in grado di estendersi a tutti i popoli che avrebbero costituito gli stati moderni e laici.
La reazione cattolica a questa manovra “pedagogica” che insidiava il cuore stesso della missione ecclesiale, che è quella di trasmettere e di difendere la Verità identificata con lo stesso Cristo, venne esplicitata principalmente attraverso il periodico dei gesuiti, Civiltà Cattolica, secondo linee d’azione riferibili alla seconda settimana degli Esercizi igniaziani.
Il fronte cattolico si impegnò a dimostrare che il fine di formazione umana prospettato dalla massoneria non si concilia con gli ideali evangelici. Che accordo può esserci fra Cristo e Beliar?, scriveva Paolo ai Corinti. Pertanto, nessuna conciliazione era ritenuta possibile da parte della Chiesa con la libera muratoria e con la sua pedagogia espressa in senso laico, cosmopolita ed aconfessionale.
Contro la massoneria accusata di corrompere le coscienze con false istruzioni si schierò Pio IX il quale durante i trentadue anni di pontificato promulgò 116 documenti. Nel <<Singulari quidam>> del 9 dicembre 1854 definì la massoneria come un’istituzione soggetta ad una <<visione illuministica della realtà>> che propone all’uomo nessun’altra autorità al di fuori della propria coscienza, esaltando così il relativismo etico e morale.
Nel Sillabo del 1864 il Pontefice afferma come un gravissimo errore: <<l’approvarsi dei cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto, o per lo meno primariamente, ai fini della vita sociale>>. Questo monito rispecchia quanto afferma il profeta Malachia: <<Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, poiché egli è messaggero del Signore degli Eserciti>> (Ml 2, 7).
Il successore Leone XIII durante il suo lungo pontificato, dal 1870 al 1903, non solo appoggiò il congresso antimassonico svoltosi a Trento nel 1896, ma emanò contro le officine massoniche ben 226 documenti ufficiali, dei quali il più famoso e rilevante è l’ <<Humanus Genus>> del 1884.
In questa enciclica Leone XIII individua nella consorteria massonica la causa prima di tutti i mali della società, poiché da essa proviene lo slancio verso un neopaganesimo naturalistico fondato sulla <<sovranità ed il magistero assoluto dell’umana ragione>>. A questo presupposto si collega la negazione del principio d’autorità, la liceità del divorzio e quindi la disgregazione della famiglia e la corruzione della società.
Nell’enciclica <<Inimica Vis>> dell’8 dicembre 1892, lo stesso Pontefice definisce la massoneria <<setta nemica al tempio di Dio, della Chiesa e della nostra patria … trattandosi di una setta che tutto ha invaso, non basta tener conto di lei nelle difese, ma bisogna coraggiosamente uscire in campo ed affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, opponendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione, congresso a congresso, azione ad azione>>.
L’episcopato lombardo fa propri questi temi in una lettera diffusa la vigilia dell’Immacolata 1896, titolata <<La massoneria ed il socialismo>>, nella quale la libera muratoria viene indicata come la matrice dalla quale si propaga l’insidia della sovversione sociale che agisce in modo particolarmente efficace perché coperta dal segreto iniziatico. Questa setta <<ha invaso i parlamenti, la scuola, tutte le pubbliche amministrazioni, si è assoldata la stampa … ed è responsabile dell’immoralità che dilaga in alto e in basso; calcati e dimentichi i buoni e sollevati i tristi; la gioventù senza ideali, senza carattere, senza pudore, guasta fino alle ossa, ribelle fino dai banchi della scuola, paralizzata l’autorità, scossa la pubblica fiducia, irritate le masse>>.
Civiltà Cattolica rinforza la reazione antimassonica ammonendo che con i massoni al potere <<si avvelenano tutte le sorgenti a cui la gioventù deve attingere l’istruzione e l’educazione>>, che gli affiliati a questa setta sono impegnati a promuovere in ogni modo, ottenendo così <<lo snervamento del popolo per mezzo della licenza e del vizio>>. Per poi concludere: <<Lo scopo del liberalismo, ossia della massoneria, non è politico, è religioso. Vogliono servirsi della libertà per togliere la libertà religiosa>>.
Le pur ferme prese di posizione delle gerarchie cattoliche non riuscirono tuttavia a fermare l’azione intrapresa dalle logge per diffondere quegli ideali che avrebbero dovuto costituire la base della nuova Italia liberale ed anticlericale, in relazione al nuovo ordine mondiale che si sarebbe dovuto perseguire nel corso dei secoli seguenti.
Dopo l’unità d’Italia e gli eventi correlati alla breccia di Porta Pia, logge, officine ed obbedienze varie superando contrasti e divergenze interne si concentrarono per favorire il progresso dell’istruzione popolare attraverso la riforma dei programmi scolastici. Questo per riuscire ad espungere quelli che venivano considerati come residui superstiziosi propri delle precedenti linee pedagogiche correlate al Magistero ecclesiastico.
I promotori di questo “laicismo” che si dichiaravano contrari a crocifissi e rosari, in realtà dovevano ben temerli continuando a portarseli nel cuore. Lo dimostra un fatto, altrimenti inspiegabile. In occasione della breccia di Porta Pia, Pio IX aveva minacciato la scomunica a chi avesse avuto l’ardire di sparare la prima cannonata contro le mura pontificie. Così, il 20 settembre 1870, nessun ufficiale nostrano dei bersaglieri se la sentì di aprire il fuoco. Per aggirare l’evidentemente temuta minaccia di scomunica, venne infine scelto un ufficiale ebreo, Giacomo Segre, già non cristiano di fatto, il quale diede l’ordine di sparare contro Porta Pia.

Contraddizioni a parte, in quanto forza laica e progressista, la massoneria ha perseguito nel tempo la lotta contro il presunto oscurantismo clericale, cercando di mettersi alla guida del governo della nuova Italia, specialmente nel campo dell’istruzione pubblica. Attraverso l’azione pedagogica liberale, i giovani avrebbero dovuto essere formati sull’ideale di laicità di uno Stato non fondato su Dio, ma sull’uomo. Non sulla Croce di Cristo, ma su stelle a cinque punte, tetractis, squadra e compasso e simboli affini.
Già il Gran Maestro Adriano Lemmi (1885-1895) dopo aver dichiarato che nessuna religione doveva essere insegnata nelle scuole: <<ciascuno si faccia il culto a suo modo; lo stato formi il cittadino e non il devoto>>, in una tavola del 1886 dichiarò: <<È necessario che gli uomini messi al governo degli stati siano nostri fratelli o perdano il potere … Le logge massoniche debbono anzitutto scendere in campo ed apertamente lavorare per il più rapido conseguimento dei nostri ideali>>.
Si pensi allora a quanto dovette operare in funzione di tali ideali Michele Coppino (1822 – 1901) membro della Loggia ”Ausonia” dal 1860, che fu ministro della pubblica istruzione per ben cinque volte e che rimase in Parlamento quarant’anni, dal 1860 al 1900. La sua opera al Ministero dell’Istruzione si concentrò sul programma di scolarizzazione di massa, che coronò il precedente sforzo legislativo di personalità quali De Sanctis e Scialoia.
Attorno alla persona di Coppino si radunarono figure di primo piano della Massoneria, fra le quali il Gran Maestro Ernesto Nathan (1895-1904), tutte impegnate ad espungere quelli che venivano considerati ritorni integralistici e contrapposizioni clerico-reazionarie contenuti nei programmi della scuola statale. Tra i parlamentari liberi muratori attivi nel rivendicare il primato della scuola pubblica in materia di istruzione, oltre a Bertani, Aporti e Macchi, si distinse per la forza dell’eloquenza Giovanni Bovio, che tra l’altro declamava: <<La scuola per l’Italia è letteratura, è politica, è religione, è terra, è tutto. Dobbiamo vigilarla, laicizzarla>>.
Nel febbraio 1908, il deputato della sinistra e massone Bissolati presentò una richiesta formale per abolire l’insegnamento religioso nelle scuole. La sua mozione venne tuttavia respinta dopo accesa discussione, nonostante Ferrari, il Gran Maestro del Grande Oriente, avesse sollecitato il centinaio di deputati massoni, ministro della pubblica Istruzione Luigi Rava compreso, ad appoggiarla incondizionatamente. Questo “incidente” fu talmente grave da provocare la storica fuoriuscita dal Grande Oriente d’Italia di palazzo Giustiniani, del Luogotenente del Rito S..A..A.., Saverio Fera, insieme a 21 massoni fregiati del 33° grado, i quali fondarono la Gran Loggia d’Italia, di piazza del Gesù.
Anche dopo la scissione del Grande Oriente, la polemica con i cattolici continuò comunque nel corso degli anni. Nel 1945, la massoneria di Piazza del Gesù cominciò tuttavia a smorzare i toni. Il Gran Maestro Palermi dichiarava infatti di accettare e rispettare le condizioni che consentono alla Chiesa un ruolo di preminenza nella vita della nazione. La massoneria di Palazzo Giustiniani, invece, attraverso il Gran Maestro Lay, notificava di non poter dimenticare il legame che unì la Chiesa cattolica con il fascismo il cui frutto, il concordato lateranense, era ancora in atto.
In toni tiepidi o accesi, la controversia tra scuola statale e privata (cristiana) non si è ancora conclusa. Non sono pochi infatti a credere ancora che la religione cattolica posta a fondamento dell’istruzione di base possa ledere i diritti delle minoranze religiose e rendere la scuola sempre meno libera perché confessionale. Come se il discorso non valesse al contrario. Se infatti non si formano le persone secondo i canoni della dottrina morale e sociale cristiana, si formano secondo le linee fondamentali del laicismo massonico che ledono i diritti della maggioranza religiosa cattolica.
Non sembra tuttavia che le nuove generazioni abbiano tratto beneficio dalle moderne linee pedagogiche. Esse manifestano spesso disorientamento e sfiducia nei confronti di un futuro senza prospettive, che rimanda al disagio di una “assenza” che non può essere ignorata. La città terrena infatti eretta su principi espressi dalla ragione umana traballa sempre più, in assenza di fondamenta piantate sulla Roccia. In mancanza di un riferimento assoluto identificabile con la persona divina del Cristo, anziché sull’autorità impersonale dello Stato. Non per niente <<Senza di me non potrete fare nulla>>, è il monito cristiano che continuerà a risuonare fino alla fine dei tempi.



lunedì 29 agosto 2011

STRATEGIE DELL’ANTICRISTO




 San Paolo sembra alludere ad una manovra finalizzata alla mutazione dell’etica e della dottrina cristiana, quando afferma con termini inquietanti che l’opera del <<mistero dell’iniquità>> si concluderà con la manifestazione dell’anticristo, che <<avverrà nella potenza di satana … con ogni sorta di empio inganno per quelli che non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi>>. Dio stesso infatti lascerà che gli uomini <<credano nella menzogna e siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità>> (2 Ts 2, 7-12).


Queste parole alquanto dure lasciano anche intendere che l’<<anomia>> collegata al mysterium iniquitatis non si determinerà sotto forma di sovversione radicale dei concetti che stanno alla base dell'ordine politico e religioso attinenti alla società umana. L'anomia correlata all'anticristo non si realizzerebbe infatti nell’anarchia. Ma in un regno in apparenza efficiente, strutturato, tecnicista e scientista, formalmente ben “oliato”. Tuttavia, privo di anima. Un regno fondato cioè sulle retoriche di un perbenismo di facciata, sulle subdole menzogne celate dietro un bene apparente. In questo senso anche gli eletti se possibile potranno essere confusi (cfr Mt 24, 24).


L'azione più pericolosa della “potenza avversa” infatti sarebbe quella di “manipolare” più che negare le verità evangeliche attraverso interpretazioni ed integrazioni surrettizie. Con questa azione si otterrebbe che: <<le cose spirituali divengano temporali, le laiche divengano ecclesiastiche, le terrene divengano celesti>>, come affermava Lutero nel suo De Antichristo.


D’altra parte, la più grande abilità riconosciuta al diavolo è proprio quella di confondersi dietro le idee, al punto di far credere il contrario di quello che è, cercando di dissimulare la sua presenza innanzitutto ai cristiani, che per antonomasia sono le persone designate ad esorcizzarlo. In questo senso si può comprendere quanto affermava il teologo Paul Althaus: <<Una Chiesa che non si inquietasse più di fronte alla possibilità dell'anticristo, sarebbe per ciò stesso divenuta anticristica>>.


In effetti, attualmente le tracce dell’anticristo sembrano essersi disperse. Sparito dalle cronache, sparito non solo da omelie e catechesi. Sparito dalla Chiesa. Non si sente più parlare del mysterium iniquitatis, il figlio della perdizione, l’ombra livida indicata con insistenza da san Paolo e dalla Tradizione Apostolica, nonché dallo stesso Cristo che profetizzava circa “l’abominio della desolazione … nel luogo santo” (Mt 24). Cosa intendeva per dire? Nulla di ufficiale, in proposito. Articoli di vario genere sull’argomento, se ne trovano in rete in abbondanza. Ma il problema non sono le voci personali. Quanto quelle pastorali.


È vero che nell’intervento di presentazione del documento sul mea culpa: <<La Chiesa e le colpe del passato>>, l’allora cardinale Ratzinger alluse all’allegoria del carro (Purgatorio XXIX-XXXIII), che Dante utilizza per descrivere la presenza dell’anticristo nella Chiesa. Ma è anche vero che questa possibilità vaticinata da più parti non viene soppesata fino in fondo. Per evitare, forse, di giungere a conclusioni inquietanti.


Ammettere infatti la presenza dell’avversario sullo stesso carro sul quale avanza la Chiesa di Cristo significa considerare gli eventi fondamentali della stessa sotto un altro aspetto, non del tutto confortante. Bisognerebbe non solo riconoscere cioè l’infiltrazione all’interno della struttura ecclesiastica di un “che” di estraneo e di principio ad essa avverso, ma soprattutto cercare di porre rimedio a tale contaminazione. Infatti, il determinarsi all’interno della Chiesa Romana di una sorta di “potere occulto”, come un regime della ragione estraneo al regno della fede, non può che determinare la conseguenza di una inevitabile “rottura” della sua linea di continuità tradizionale ed una frammentazione del suo bimillenario fronte compatto.


L’evento recente che ha effettivamente suddiviso la storia ecclesiastica in due fronti, quello del “prima” e quello del “poi”, sembra essere a tutti gli effetti il Concilio Vaticano II, sul quale tanto si è discusso e tanto si discuterà. I due fronti contrapposti ovviamente sono quello della Tradizione e quello della modernità.  


Al di là delle più ottimistiche aspettative, giudizi severi sono stati emessi in ordine a tale evento epocale anche dai patrocinatori dello stesso. Henri De Lubac, ad esempio, constatò che: <<Il dramma del Vaticano II consiste nel fatto che invece di essere stato gestito dai santi – come fu il Tridentino – è stato monopolizzato dagli intellettuali. Soprattutto è stato monopolizzato da certi teologi, il cui teologare partiva dal preconcetto di aggiornare la fede alle esigenze del mondo, e di emanciparla da una presupposta condizione di inferiorità rispetto alla civiltà moderna. Il luogo della teologia cessa di essere la comunità cristiana, cioè la Chiesa e diventa l’interpretazione dei singoli. In questo senso il dopo-Vaticano II ha rappresentato la vittoria del protestantesimo all’interno del cattolicesimo>>.


Persino Paolo VI, dopo pochi anni riconobbe in un famoso discorso che dopo il Concilio nella Chiesa si era messo in moto un processo di autodemolizione, il “fumo di satana” si era infiltrato nel tempio di Dio. Per poi concludere che: <<Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio>>. Ma nonostante queste ammissioni, nella sostanza Paolo VI avallò come scrive Antonio Socci: <<il “colpo di mano” di una “minoranza rivoluzionaria” che impose la riforma liturgica (con i suoi mille abusi), chiaramente non benedetta da Dio. La proibizione della millenaria liturgia latina della Chiesa fu effettuata con una decisione che contravvenne anche ai documenti del Concilio>> (Il quarto segreto di Fatima, Milano 2006, p. 210).


In verità, sullo stesso Paolo VI, circolano da tempo voci inquietanti. Accuse terribili che se vere indicherebbero davvero che lo spirito del “figlio della perdizione”, invece di essersi dissolto in nubi aeree, sarebbe di nuovo in mezzo a noi, mimetizzato ed attivo come mai lo fu prima, dando corpo così alla profezia di Cristo: <<L’abominio della desolazione nel luogo santo>>.


Il principale e diretto accusatore di Papa Montini è il novantenne mons. don Luigi Villa, incaricato personalmente da Padre Pio di difendere la Chiesa di Cristo contro l’opera della massoneria ecclesiastica. Padre Pio nel corso di un fatidico incontro avvenuto nella seconda metà del 1963, abbracciando il sacerdote di Brescia gli disse: <<Coraggio, coraggio, coraggio perché la Chiesa è già invasa dalla Massoneria … la Massoneria è già arrivata alle pantofole del Papa>>. Allora il Pontefice era Paolo VI.


L’energico sacerdote non ha perso zelo nel corso del tempo. Confortato da un’assistenza speciale, nonostante il silenzio e l’ostilità che lo circonda, ha fondato la sua piccola Editrice Civiltà e la rivista “Chiesa viva”. Attraverso questi canali, il sacerdote bresciano solleva accuse gravissime nei confronti di Paolo VI, e non solo, tuttavia sostenute da documentazioni e riferimenti circonstanziati. Le accuse sono così gravi che andrebbero impugnate e risolte in un senso o nell’altro. O dimostrando cioè la loro verità. O la gravissima disonestà dell’Autore che andrebbe subito scomunicato e allontanato dalla Chiesa. Ci vorrebbe insomma per fare chiarezza una sorta di Santo Uffizio, che proprio Paolo VI eliminò dalla struttura ecclesiale.


Strano peraltro che i nemici della Chiesa, sempre attenti a trovare echi di presunti scandali, minuzie e debolezze poi ingigantite con massicce campagne stampa spesso del tutto campate in aria, non abbiano interesse a riprendere ed a rilanciare le gravi accuse di don Villa, per creare davvero uno scandalo epocale all’interno della Chiesa. Paolo VI è accusato chiaramente di essere stato massone, omosessuale, filosovietico , ecc. Invece, i giornali anticlericali sempre più che attenti a scovare le “pagliuzze” relative a qualche sacerdote impenitente, chiudono volentieri gli occhi di fronte a tali possenti “travi” in grado di scuotere non solo le gerarchie, ma tutta la struttura ecclesiastica post conciliare. Vige pertanto un silenzio sospetto a sinistra e a destra, fuori e dentro la Chiesa, che implicitamente dimostra connessioni insospettabili.


Il numero 441, settembre 2011, di Chiesa Viva, tutto dedicato a <<Paolo VI il papa che cambiò la Chiesa>>, afferma come premessa che questo Papa: <<”politicamente” era di sinistra; “intellettualmente” era un modernista, e “religiosamente” era un massone>> (p. 3). Niente di strano se si trattasse di una persona qualunque. Infatti si è liberi di porsi politicamente dove si ritiene meglio, si può interpretare il mondo senza dare troppo peso al passato, si può cercare una iniziazione alla vita ed al mondo diversa da quella cristiana. Ma se queste tipologie vengono attribuite ad un Papa, successore di Pietro, garante della Tradizione cattolica, allora le cose cambiano.


Ed in effetti, le cose con Paolo VI cambiarono. A cominciare dai rapporti con la massoneria, che fino al Vaticano II venne sempre condannata dalla Chiesa. Papa Leone XIII, ad esempio, nell’enciclica “Humanun genus” imputava ai Frammassoni il fine supremo di <<distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo e, prendendo fondamenti e norme dal Naturalismo, rifarlo a loro senno di sana pianta>>, per giungere così alla determinazione di una religione universale avulsa da N. S. Gesù Cristo.


Le manovre per cambiare la Chiesa dall’interno hanno dunque una definita circostanza iniziale ed anche un protagonista insospettabile. Sempre che siano attendibili, come sembrano, le accuse di don Villa, che in effetti sembrano aver bloccato il processo di beatificazione del Pontefice in questione. Ed è comunque un fatto il cambiamento che la Chiesa ha subito in questi ultimi cinquant’anni. La Chiesa di oggi non è più quella che soggiaceva all’autorità dei Papi, fino a Pio XII, i quali sembrano appartenere addirittura ad un’altra storia, se non proprio “preistoria”, ecclesiastica.


Dal 1960, dunque, la struttura della Chiesa iniziò ad evolversi sotto la spinta interna di una nuova teologia che avrebbe comportato disgregazioni interne al Corpo Mistico di Cristo, contrapposizioni fra correnti ed esponenti del Clero, nonché una confusione di fedeli ripartiti in “gruppi” e schieramenti di tipo quasi politico. È peraltro davanti a tutti la crisi sempre più viva presente nella Chiesa contemporanea, in difficoltà non solo per i rapporti con il mondo esterno, ma soprattutto per i suoi conflitti interni, per il senso di vaga “anarchia”, anche liturgica, che consente una controproducente interpretazione dei documenti ufficiali più delicati emessi dalla Santa Sede.


Situazione peraltro preconizzata dalla Vergine nel corso delle sue apparizioni. A cominciare da quella di La Salette, del 19 settembre 1846, durante la quale la Madonna piangente, seduta su di un masso tra alte montagne, rivelò ai pastorelli Melania e Massimino un segreto inquietante per quell’epoca, ma oggi quanto mai attuale e molto comprensibile, specialmente da parte di chi “vuol comprendere”. Quella volta, tra l’altro la Vergine affermò tra le lacrime che: <<I preti per la loro cattiva condotta, per le loro irriverenze e la loro empietà nel celebrare i Santi Misteri, per l’amore al denaro, l’amore agli onori ed ai piaceri, i preti sono diventati cloache di impurità. Sì, i preti domandano vendetta, e la vendetta è sospesa sulle loro teste … Si è spenta la vera fede e la falsa luce rischiara il mondo … la Chiesa avrà una crisi orrenda … Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo … la Chiesa sarà eclissata ed il mondo sarà nella costernazione>>.

Nelle apparizioni successive a quella di La Salette, la Vergine si è dimostrata meno “impetuosa”, meno diretta, alternando i silenzi e le poche parole agli inviti alla conversione ed alla preghiera. Come se dopo la franchezza delle affermazioni rivolte a Melania ed a Massimino avesse voluto essere meno esplicita, mettendo invece in rilievo il potere della penitenza e della preghiera davanti agli occhi di Dio. Comunque, nonostante la durezza della affermazioni, l’apparizione di La Salette è stata riconosciuta dalla Chiesa, segreti inclusi, nel 1851, sebbene sia stata combattuta i tutti i modi, soprattutto dallo stesso Clero. Al giorno d'oggi infatti se ne parla molto poco, essendo tutti molto concentrati sul fenomeno Medjugoje, ove la Vergine si dimostra molto più conciliante.


Cinquant’anni dopo, sotto san Pio X, l’Osservatore Romano, quando ancora era in grado di dire chiaramente come stanno le cose, affermava che: <<Melania rivelò il suo Segreto quando il tempo segnato fu giunto, sebbene sapesse che un simile atto le avrebbe attirato la collera di quelli che, costumi corrotti, erano incatenati al carro massonico>>. Poiché i personaggi che maggiormente si accanirono contro il segreto di Melania furono alti esponenti della gerarchia cattolica, il giornale della Santa Sede riconosceva che sul carro della Chiesa erano salite perfide figure rivestite di porpora ed abiti talari.


Del resto, già Dante, secondo René Guenon affiliato alla setta dei Fedeli dell’Amore nonché ai Templari, nel suo grandioso Poema aveva codificato il processo avviatosi fin da allora, tutto teso a togliere di mezzo il <<katécon>>, l’impero rappresentato dalla vera Chiesa. Ossia, ciò che trattiene la manifestazione del <<mistero dell’iniquità>>. Tutto questo, al fine di realizzare il cosiddetto “paradiso in terra”. Utopia tanto cara e tanto evocata in forme diverse dagli esoteristi rinascimentali, i quali si attivarono per attuarla soprattutto nell’ambito culturale, cercando in ogni modo, soprattutto sotto le istanze della ricerca filosofica e scientifica, di oscurare la logica ferrea che permea il realismo moderato di san Tommaso. La catena iniziatica formata da più che insospettabili personaggi, Galileo, Cartesio, Leibniz, Newton, ecc.,  diede spazio invece alla dialettica di tipo eraclitea che non distingue, ma ammette la conciliazione degli opposti, il “si e no”. Dialettica che legittima altresì la contraddizione, dando spazio al vero ed anche al falso, collegando il pensabile con l’impensabile, la scienza con la magia.


Proprio nel Rinascimento infatti prese avvio l’attacco più efficace alla Chiesa ed al suo sistema logico e metafisico che rese possibile quell’infiltrazione al suo interno del fumus satanicus che si è protratta fino ai nostri giorni. Cominciava così ad attuarsi fin da allora, in modo insospettabile, il piano di distruzione della società cristiana in vista di una prossima, oggi tanto vicina, ricostruzione su “nuove” basi, che riproporrebbero in forme attuali lo stesso ethos vigente negli antichi imperi, ove il sangue ed il sesso costituivano il fulcro della pseudo-religiosità solare, nonché le due colonne portanti della sinagoga satanae.