martedì 25 dicembre 2018

LE ORBITE DI KEPLERO (ultima parte)


  
                                  
Il riuscito tentativo di Keplero di dare una forma geometrica ai dati raccolti da Tycho Brahe, ratificò il successo del modello copernicano rispetto a quello tolemaico e ticonico. Tuttavia, l’eleganza e la semplicità matematica delle sue tre famose leggi, non risolvono un’antica questione: il mondo è come si pensa, o come si percepisce? In altri termini, le leggi di Keplero possiedono un vero riscontro nella realtà, o sono perfettamente valide solo in ambito teorico, dunque ipotetiche, ma non certe?
Abbiamo infatti più volte evidenziato la contraddizione tra teoria e realtà presente nel modello eliocentrico, circa l’idea del movimento della Terra rispetto al Sole centrale. I sensi e gli effetti fisici dimostrano l'opposto: il movimento del Sole e la quiete della Terra. La prova fisica che la terra è in quiete ed il Sole in movimento è fornita dalla percezione sensibile, quella contraria dalla ragione. Se un tempo, nel processo di acquisizione della conoscenza, si dava preminenza alla logica correlata al cosiddetto senso comune, realtà e ragione combaciavano, poiché quanto si percepisce è vero, oggi non è più così. Vale il principio contrario.
È vero ciò che si pensa, ciò in cui si crede, poiché la percezione della realtà celeste sarebbe illusoria, rispetto alla sua descrizione. Per quale motivo la maggioranza delle persone crede assolutamente alla ragione scientifica ed alla narrazione storica dell’imporsi di una travagliata teoria, piuttosto che alla percezione del reale, direttamente riscontrabile da tutti? La risposta è semplice, e mostra quanto il martellamento operato nel corso dei secoli dalla cultura dominante, sia riuscito ad imporre nell’opinione comune una forma astratta, perfezionata dalla ragione e fortificata da secoli di lavoro scientifico, associato ad una penetrante diffusione che ha investito l’opinione e l’istruzione pubblica, la quale contraddice la percezione dei sensi.
Questa contraddizione comporta una scissione sia nell’ambito della conoscenza, che nella coscienza, le quali non possiedono più un riferimento assolutamente certo e concreto. La realtà tramonta a favore della sua “immagine immaginata”, la quale non sorge come riflesso dal mondo percepito, ma ha radice e sostanza nella ragione dalla quale è stata partorita ed elaborata. All’interno di tale contrasto, il quale determina come una scissura nella coscienza e nella mente, trova giustificazione ogni tipo contraddizione ed illusione. Non ultima, l’allontanamento della ragione dal Dio fattosi carne, poiché la mente viene impegnata ad avvalorare il contrario di quanto la “carne” percepisce. Se si mette in dubbio quanto gli occhi vedono, a maggior ragione si dubita anche di quanto non si vede. La ragione diviene prigioniera di se stessa e del mondo che si è auto costruito, nel quale Dio non è necessario, non è Carne perfetta, ma al più una soluzione teorica pacificante e retorica.
La rappresentazione virtuale del mondo celeste, trasmessa dalla comunicazione sociale mediante immagini, animazioni e simulazioni visualizzabili su pagine di ogni tipo, si è sovrapposta a quella percepita, riuscendo a spogliare quella sensibile di tutti i suoi risvolti trascendenti e sacrali. Il cielo è divenuto una indefinita ed informe mappa astronomica, interpretata esclusivamente da super esperti, sempre molto saccenti ed autocompiacenti, formati secondo le tecniche e gli indirizzi dell’astronomia moderna, inaccessibili ai profani, se non attraverso specifiche e ridondanti divulgazioni. Si è giunti quindi alla conoscenza perfetta dei moti planetari, delle strutture chimiche di stelle e di altri elementi celesti. Si è scandagliato il cielo con strumenti di ogni tipo, ricavando dati sperimentali, diagrammi, modelli, programmi informatici pronti ad indagare ogni ipotesi cosmologica. Eppure, nonostante questa rilevante sapienza enciclopedica, qualcosa non torna qui, sulla Terra.
I risvolti negativi della conoscenza scientifica, al di là dei vantaggi del progresso tecnologico, insieme ai suoi risvolti negativi in ambito sociale, risuonano nell’intimo di molte coscienze insoddisfatte della vita moderna, delle sue contraddizioni e problematiche. La visione del cielo non rasserena più, non rimanda al “altro”, essendo stata spogliata del lato misterioso e trascendente, che costituisce invece a tutti gli effetti la vera sua essenza. Tutto viene fatto rientrare e spiegato alla luce della tecnica astronomica, praticata da astronomi ed astrofili. Un settore molto limitato della popolazione. Se un tempo si cercava di leggere nel cielo i messaggi e la volontà relativi ad una dimensione superiore ed invisibile, oggi i fenomeni atmosferici e celesti interessano alla maggioranza delle persone per lo più in senso meteorologico. Ci si preoccupa del tempo che farà nel prossimo week end o nel periodo di ferie programmato. A parte sentimentali sguardi di ammirazione e di emozione passeggera, il cielo non dice più niente a chi è costretto ed abituato a guardare per terra. Come se stelle e Sole fossero per molti come lampadine, utili solo per far luce e portare il bel tempo, o come un soffitto da guardare fuggevolmente, quando lo si riesca a vedere. La scienza moderna ci ha dato tanto, ma ci ha tolto quel senso del mistero e della trascendenza insito nella stessa natura dell’uomo, con la pretesa di voler spiegare tutto attraverso i suoi canoni standardizzati fatto di numeri e codici.
A scuola abbiamo imparato tutta la storia che ha accompagnato l’imporsi della teoria copernicana, la genialità del rivitalizzatore di tale teoria, Galileo, l’ottusità dei tomisti. I quali, attaccati alla logica aristotelica e quindi privi di aperture intellettuali, credevano il contrario, soltanto perché questo era provato dalla evidente, ma troppo semplice per menti complicate, quiete terrestre. Fortuna che sorsero scienziati eminenti e liberi, Copernico, Galilei, Keplero, tuttavia, come abbiamo detto in precedenza, legati alla stessa matrice sotterranea che agiva in tutt’Europa.
Keplero, anche se semicieco, riuscì a dimostrare “come andava il cielo”. Attestò quale fosse il vero modello celeste, quello composto da orbite ellittiche, dove il Sole occupa uno dei due fuochi. In questo notissimo modello, i pianeti, Terra compresa, rallentano ed accelerano, non solo perché ruotano su se stessi, ma perché orbitano su ellissi più lontani o più vicini al Sole. Le sue tre leggi, di anno in anno insegnate nelle sedi scolastiche, sono divenute più indubitabili di Dio, dei suoi angeli e dei santi. Tutti relegati dalla ragione scientifica nell’ambito della superstizione, come obsoleto folclore insopportabile per l’uomo di scienza.
Tuttavia, la scienza, che ha soppiantato la religione, con il razionalismo e materialismo scientifico, fino a che punto è credibile nelle sue imperiose certezze? Che dire infatti delle leggi di Keplero, le quali a ben vedere indicano proprio il contrario di quello che postulano? Dovendo infatti un pianeta percorrere un’ellissi, nella quale uno dei due fuochi è occupato dal Sole, non potrebbe muoversi senza accelerazioni, ruotando oltre che su di sé, intorno ad uno dei due fuochi. La seconda legge di Keplero mette in rilevo tale aspetto. Essa asserisce che le aree descritte dal raggio vettore che unisce il pianeta al Sole sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle. Ossia, aree uguali vengono coperte in tempi uguali. Quindi i pianeti accelerano quando la distanza dal Sole è minima, e rallentano quando la distanza è massima.
Un’ulteriore conferma di questo moto accelerato e curvilineo è dato dalla terza legge, la quale specifica che i quadrati dei periodi di rivoluzione planetari sono proporzionali ai cubi degli assi maggiori delle loro orbite. Tale legge indica che più ci si allontana dal Sole e più i periodi impiegati dai pianeti a percorrere le loro orbite aumentano. Le velocità di tutti pianeti orbitanti, ed in particolare della Terra, per principio dunque non è costante. Se fosse costante le aree descritte dai pianeti in uguali intervalli di tempo non sarebbero uguali.
Ebbene, questo è del tutto il contrario a quello che si vede nel cielo e sulla Terra, la quale dal punto di vista fisico si presenta come in quiete, senza alcun effetto relativo alla sua velocità variabile prevista da Keplero, alle sue teoriche accelerazioni e decelerazioni intorno al Sole. In realtà, noi percepiamo che il Sole si sposta nel cielo a velocità sempre costante, inverno ed estate, primavera ed autunno, percorrendo spazi di cielo uguali in tempi uguali. Questo suo movimento regolare è infatti un segno per la misura dello scorrere del tempo, come afferma la Genesi, nel quarto giorno della creazione (Gn 1, 16-19). Se fosse la Terra a muoversi su orbita ellittica a velocità variabile, non vedremmo e non sentiremmo altrettanta “pace dinamica”. Dovremmo vedere il Sole accelerare e rallentare rispetto a noi nel suo passaggio nel cielo. Invece, non vediamo questo.
La regolarità, l’ordine dei movimenti celesti, il variare delle stagioni, l’alternarsi delle ore, dei giorni e delle notti sono invece un segno ben chiaro ai nostri occhi. Tutto questo avviene secondo un moto uniforme, con traiettorie rapportabili ad un regolare moto circolare uniforme, più che a linee ellittiche e moti accelerati. Afelio e perielio non corrispondono a variazioni di velocità, né di Terra, né di Sole, riscontrabili da comuni osservatori terrestri. L’orbita corrispondente al movimento del Sole è circolare. Non ellittica. Il Sole compie nel cielo archi di circonferenza, traiettorie corrispondenti ad archi circolari, d’estate e d’inverno, innalzando o abbassando la sua traiettoria in seguito ad equinozi e solstizi. Archi di cerchio e non rapportabili a vertici di ellissi.
Questo appare ai sensi, ed è verificato anche dagli strumenti più semplici: gli occhi. I calendari si basano sulla affidabilissima regolarità e velocità costante del moto solare e lunare. Il versetto del Libro della Sapienza, secondo il quale «Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso», omnia in numero, mensura, pondere disposuisti, (Sap 1, 21), rispecchia proprio questa armonia, regolarità ed inalterabilità dei movimenti celesti, del movimento del Sole. In questo senso, il mondo è ordinato, e seguendo i gradi dell’ordine l’uomo può innalzare la propria mente verso la dimensione trascendente, che sovrasta quella ordinaria, fino a riconoscere in essa la presenza e l’azione del Pantocrator, Signore dell’Universo: «C’è infatti un altro mondo, lontanissimo da questi occhi, che l’intelletto di pochi sani riesce a vedere, come afferma lo stesso Cristo, che non dice: Il mio Regno non è del mondo, ma il mio Regno non è di questo mondo» (Agostino, De ordine 11.32). Ma la realtà di questo mondo ultramondano è stata adombrata nel tempo dalla cosiddetta scienza moderna. Sempre fiera dei suoi proclami, sempre pronta ad irridere ed azzittire chi osa dubitarne.



sabato 15 dicembre 2018

LE ORBITE DI KEPLERO (II parte)




Copernico, Galileo, Keplero, sostenuti da cerchie di aristocratici ed intellettuali di alto bordo, il popolo difatti non contava niente in questo dibattito astruso, guidavano la loro ricerca illuminati dalla loro fede ermetica, di matrice solare, che proprio in quegli anni si stava radicando sottotraccia, sulla scia degli insegnamenti trasmessi specialmente nei trattati, De Triplice vita, De Sole, De Lumine, dell’equivoco sacerdote Marsilio Ficino, volti a divinizzare il Sole, in virtù delle molteplici energie irradiate da esso.
Lo stesso Giacomo Leopardi, scriverà: «Il Sole fu il primo oggetto che attirò a sé gli occhi dell’uomo rivolti verso il cielo. Adamo innocente non tardò ad avvedersi che quest’astro non era che la base del trono di un Essere superiore: penitente, non dimenticò la verità che aveva appresa nello stato della sua innocenza; ma la dimenticarono ben presto i suoi figli. Il Sole era bello, benefico, la sua luce era di una sorprendente vaghezza, la sua attività era mirabile: ciò bastava perché i popoli lo stimassero degno di culto»[1].
Sulla scia di Giuliano l’apostata, che nell’inno ad Helios Re declamava: «Il Sole materiale è l’immagine di un altro Sole, che i nostri occhi non possono afferrare e che illumina le stirpi invisibili e divine degli dei intelligenti dal mondo superiore», gli alchimisti rinascimentali iniziarono a cercare di attirare e condensare i raggi solari nei metalli. Essi cercavano di estrarre dal “sacro fuoco” la famosa quintessenza, in grado di trasmutare la materia grezza in oro, ottenendo l’elisir di lunga vita, la panacea e tutte le altre denominazioni attraverso le quali si è voluto rendere pittoresca una disciplina sconosciuta ai più, in quanto segretamente praticata da pochi. È questa essenza energetica solare, celebrata, ricercata, captata mediante pratiche magiche ed alchemiche, il vero centro e motore dell’eliocentrismo e del movimento esoterico e rivoluzionario ad esso associato, che ritornò ad operare nella storia dell’umanità.
Difatti, dalla corte fiorentina venne celebrata la dottrina eliocentrica, prima ancora che Copernico la rielaborasse, cercando di trasporla in ambito cosmologico nelle paginette del Commentariolus, la prima sua breve opera nella quale, in stile euclideo, esponeva sette postulati circa l’ipotesi eliocentrica della quale, probabilmente, nemmeno l’Autore era convinto. Difatti, in seguito, dovette scomodarsi il Retico, che dalla sede di Wittenberg, venne inviato, forse proprio dallo stesso Melantone, a stimolare energicamente il potente canonico della Warmia, Nicola Copernico, confortato da una vita agiata, trascorsa in more uxorio con una donna sposata, per fargli riprendere l’antico progetto eliocentrico partorito nel giovanile soggiorno italico e che egli stesso, nella «Dedica al Santissimo Signore Paolo III, Sommo Pontefice», del suo famoso libro «Sulle Rivoluzioni», giudicò come «Elucubrazioni che andavano contro lo stesso senso comune, immaginando qualche movimento della terra».
Peraltro, è assai poco considerata la compartecipazione di Copernico all’interpretazione pitagorica del Sole. Poco soppesati i significativi riferimenti alla cultura iniziatica, contenuti nel Libro Primo del De revolutionibus, acquisiti sotto la guida di Domenico Maria Novara, in contatto con la corte medicea. Del tutto sottaciuta, la militanza iniziatica di Copernico (1473-1543), dimostrata dalla sua protezione accordata al giovane tedesco Alexander von Suchten (1520-1590), medico, alchimista, astrologo, a sua volta discepolo del discusso filosofo e mago Paracelso (1493-1541). Il quale, modestamente, dichiarava di sé: «Io sono Teofrasto, e valgo più di coloro con i quali mi mettete al confronto. Io sono io, e sono il monarcha medicorum, e a me è lecito dimostrare a voi quello che voi non potete dimostrare a me»[2]. Tutti questi personaggi bazzicavano nell’area germanica nella quale operavano segretamente gli inafferrabili Rosa-Croce, ai quali era collegato, in analoga modalità sottotraccia, anche l’ex monaco agostiniano, autore delle famose tesi del 1519, affisse sul portale della cattedrale di Wittenberg[3].
Von Suchten, impegnato nella comune missione di diffondere la latria solare, richiamava la stessa immagine ermetica proposta nel De revolutionibus, riguardo alla signoria del Sole ed alla sua eccellenza su tutti gli elementi. Nel trattato, De vera medicina, con toni enfatici scrive: «Il Sole siede come un Re al centro, in mezzo agli altri pianeti, sovrastante tutti in luce, distribuisce a tutti la luce e la vita provenienti da sé. Tutto ciò che abbiamo di buono lo abbiamo dal Sole… così il Sole governa il cielo ed il mondo nello stesso universo, e le cose che sono in lui, poiché ne ha il dominio»[4].
Più o meno, un centinaio di anni dopo, questa celebrazione metafisica del Sole, venne fissata in forma razionale ed astronomica da Johannes Keplero. Il quale, ingabbiando nel modello eliocentrico i dati di Tycho Brahe, uscito di scena, per così dire, provvidenzialmente[5], riuscì a dare una veste formale alla causa eliocentrica, patrocinata dall’invisibile “tempio”, operante in ambito europeo. In tale indefinibile sede, si celebravano segretamente le glorie di un nuovo oriente, iniziatico, alternativo al vero Oriente, Gesù Cristo, «Oriens ex alto» (Lc 1, 78). Questi iniziati, come affermò Robert Fludd, altro esoterista collegato a Paracelso, fanno parte di una «Chiesa sotterranea» che, a seconda delle situazioni, agisce e si manifesta sempre in forme diverse nella storia del mondo.
La strategia adottata da questa gilda di alti intellettuali, prevedeva l’insinuazione surrettizia del dubbio cartesiano, nel Corpo Mistico di Cristo della contraddizione, per insidiarlo attraverso l’ingenuità di suoi ministri e l’ignoranza dei suoi fedeli, facilmente ingannabili dai nobili proclami. Erano gli anni, insomma, nei quali stava prendendo piede lo Spirito di Sintesi, eggregore o idolo, collegato alla Fama Fraternitas Rosacruciana, profetizzato dall’ispiratore dei rosacroce Paracelso[6], al quale come detto era collegato il protetto di Copernico, von Suchten. Paracelso, nel suo trattato De Mineralibus, riguardo alla venuta dell’«Elia artista», scrisse: «Dio permetterà che si faccia una scoperta della maggiore importanza, che deve rimanere nascosta fino alla venuta dell’Elia l’artista»[7]. Il reverendo luterano Valentino Andree (1586-1654), occultista ed alchimista, legato ai Rosacroce, identificò questo Elia artista «con un’associazione fidata di alchimisti impegnata nella ricerca fino allora fallita di scoprire il segreto della trasmutazione dei metalli»[8]. Ed in effetti, l’arte a cui si riferiscono il Teofrasto ed i suoi compagni è proprio quella alchemica, insieme a tutte le pratiche occulte e magiche ad essa collegate, finalizzate a realizzare dietro la trasformazione dei metalli grezzi in oro, quella ben più importante delle anime e della società. Questo Elia avrebbe dovuto aprire le porte all’anticristo, così come Elia ed il Battista le prepararono a Cristo.
Il rifiuto della religione Cattolica, dei suoi riti, delle sue promesse ultraterrene, adombrate da alcuni fattori terreni, i quali tuttavia non rendono inefficaci l’azione della Grazia, si manifestava anche nella ricerca di interazioni dirette con la dimensione invisibile e con le forze oscure, strette nei lacci della divina riprovazione e quindi in cerca di espansione in quella terrena. In questa prospettiva densa di significati reconditi, si può ricondurre il rituale, solo in apparenza pittoresco, che diede avvio, giovedì 25 settembre del 1603, alle 9 e 50, alla famosa Accademia dei Lincei, fondata a Roma dal principe Federico Cesi, insieme a quattro soci. Tra questi, Johannes van Heeck, naturalista olandese che dopo aver ferito a morte uno speziale, l’anno seguente fu costretto ad abbandonare l’Italia, impazzendo infine nel 1616.
Il documento del verbale dell’inconsueta riunione, esposto a Parigi in una mostra sul Seicento in Europa, nel lontano gennaio del 1992, scritto anche con carattere cifrati, rivela che i cinque fondatori scelsero il giorno e l’ora non a caso, ma secondo superstizioni astrologiche, credendo così di propiziare favorevolmente l’ascendente degli spiriti astrali, specialmente quello di Mercurio-Hermes. Il redattore del catalogo spiega che «Il testo redatto dal Cesi appare chiaramente come un’operazione magica, condotta secondo i canoni dell’ermetismo rinascimentale, con la quale si cerca, mediante la manipolazione di metalli e vegetali collegati ai pianeti, di attrarne simpateticamente l’influsso, convogliandolo su di sé dalla sfera superiore del cosmo. Si legge sul documento consunto e ingiallito: “Su fogli di carta di seta predisposti allo scopo venivano trascritti pitagorici misteri”»[9].
Questo cerimoniale, dal quale prese avvio il circolo scientifico italiano, che divenne modello anche per la famosa Royal Society, presieduta anche da Isaak Newton, sembra ricalcare le procedure iniziatiche caldee ed egizie, finalizzate alla creazione ed animazione di quei legami psichici, anche detti eggregori. Tale parola di matrice greca indica un gruppo di persone collegate da ideali, mode, credenze, riti comuni. L’eggregore è una sovrastruttura immateriale che si crea mediante l’unione di persone, in un livello di esistenza non percepibile. Esso si manifesta tramite i componenti che lo rappresentano, e continua ad operare anche quando questi si separano. Richiede di essere regolarmente alimentato, essendo un organismo, anche se di altra natura, per alimentare e difendere a sua volta chi lo alimenta. Sembra un circolo vizioso, inesistente e fantasioso, pur essendo una realtà scontata e ben nota nella cultura magica. È difatti l’entità psichica creata che sceglie e governa i suoi creatori, al fine di consolidarsi ed accrescersi, lottando a tutti i livelli, per dominare su analoghe entità.
Sembra quindi possibile che, nella seconda metà del Quattrocento, la cerchia medicea sia riuscita a produrre l’idolo-eggregore solare, secondo le riscoperte ritualità della magia ermetica, mascherate in dotta erudizione. La forma associata a questa entità psichica richiama quella del plastico ideogramma copernicano del Sole centrale, concepito da Keplero come un’anima dotata di una forza di tipo magnetica. Questa forma energetica si accingeva a richiamare ed assorbire, per essere giustificata e razionalmente fortificata, le migliori intelligenze dell’epoca. Fra le quali, quella del pitagorico Johannes Keplero. Il quale, seguendo idee sconclusionate, come quelle esposte prima nel Mysterium e poi nel suo farneticante Somnium, popolato da demoni, filtri e fantasiosi viaggi lunari, trovò delle soluzioni matematicamente giuste. Dopo un lungo e snervante lavoro di calcolo algebrico, egli ricavò la seconda famosa legge, nata per prima, delle aree percorse in tempi uguali dai pianeti, intorno al Sole. Impiegò altri tre anni, per ricavare la cosiddetta prima legge, la quale afferma che le orbite sono ellittiche ed il Sole occupa uno dei due fuochi.
Keplero, con le sue famose leggi geometriche, ha dato ragione della forma geometrica corrispondente alla metafisica eliocentrica, in grado di insidiare il senso comune, immaginando con la forza della ragione un moto terrestre ideale a discapito della quiete reale. Del resto, la componente fondamentale della magia è la forza dell’immaginazione, in grado di far credere la realtà di quanto immaginato. Attraverso l’immaginazione Keplero, nel suo pitagorico Somnium, sognerà di recarsi sulla Luna, grazie all’azione di un demone, e di lassù immaginare di vedere ruotare la Terra, allo stesso modo in cui dalla Terra si vede girare intorno il suo satellite naturale. Egli in queste pagine, per ovvie ragioni pubblicate postume, ma circolanti sottobanco da tempo, diede spazio all’immaginazione scrivendo, tra l’altro:
«Tutti strepitano che il moto delle stelle intorno alla Terra è evidente agli occhi di chiunque, come pure lo stato di quiete della Terra stessa. Io ribatto che agli occhi dei lunari risultano invece evidenti la rotazione della nostra Terra ed anche l’immobilità della Luna. Se mi si obiettasse che i sensi dei miei lunari si ingannano, con pari diritto potrei obiettare che sono i sensi di noi terreni a ingannarsi, quando sono privi della ragione»[10].
Keplero oppone all’evidenza della realtà l’immaginazione. Difatti, non potendo negare il senso comune, circa la certa percezione del moto e della quiete terrestre, lo relativizza, immaginando che lo stesso ragionamento possa applicarsi sul nostro satellite naturale. Questo come se non fosse possibile stabilire chi effettivamente sia in quiete e chi in rotazione, in base ai relativi effetti. Se noi tutti abbiamo la sensazione di stare fermi, è perché non ci sono effetti rotazionali sensibili che dimostrano il contrario. Il movimento della Terra si dimostra solo con l’immaginazione razionale. Immaginare di andare sulla Luna, supponendo di rilevarvi gli stessi effetti rinvenibili sulla Terra è difatti un argomento persuasivo, ma ipotetico, certamente non fisico. Procedimento simile alla potente campagna di persuasione mediatica, sempre impegnata nel farci credere di essere davvero andati sul nostro satellite naturale.







[1] G. Leopardi, Saggio sugli errori popolari, Capo nono, Del sole.
[2] In E. Garin, L’uomo del Rinascimento, Ed. Laterza, Roma-Bari 1993, p. 196.
[3] Cfr. E. Innocenti, Inimica vis, Roma 1990, p. 10.
[4] In A. Boella e A. Galli, Divo Sole, Ed. Mediterranee, Roma 2011, p. 82.
[5] Cfr. L’altra faccia del Sole, Armando 2013, p. 87.
[6] Zaira Fusco, Il Sapere esoterico dei Rosacroce, Om Edizioni, Bologna 2009, pp. 60-65.
[7] Cfr. J. G. Bennet, Subud – Il contatto con la fonte di vita, Ed. Mediterranee, Roma 1978, presentazione di D. Piantanida, p. 9.
[8] E. Gallo, Maghi, sciamani e stregoni, Piemme, Casale Monferrato 2000, p. 400.
[9] A. Socci, Il lato debole di Giordano e di Galileo, «Il Sabato», 18/1/1992, n. 3.
[10] Cfr. A. M. Lombardi, Il sogno di Keplero, Sironi, Milano 2009.