Avvicinandosi
con i suoi discepoli
a Gerusalemme, per celebrare l’ultima Pasqua del tempo antico e la prima del
tempo nuovo, Gesù profetizzò l’abominio della desolazione sedersi nel “luogo
santo” (Mt 24, 15) e la caduta del Tempio, come simboli premonitori della fine
del mondo. Risuonavano in quei passi, nella campagna rinascente, parole
incredibili a credersi: «Dio manderà i suoi angeli con una grande tromba
e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro
dei cieli» (Mt 24, 31).
I discepoli sapevano benissimo che
Gesù non parlava a vuoto, tanto per dire qualcosa durante il viaggio. Ma tutto
quanto diceva avveniva, in quanto parola di Dio. Eppure doveva sembrare
impossibile che quel mondo che si presentava davanti ai loro occhi in tutta la
sua bellezza, in quella giornata di primavera, sarebbe stato sconvolto e
distrutto, Tempio compreso.
Nel maestoso Tempio che svettava su
Gerusalemme, ricostruito da Erode nel 37-34, era contenuto l’inviolabile tabernacolo,
il Sancta Sanctorum, nel quale era
presente la Shekinah, la presenza
reale del Dio vivente. In quel luogo santo per eccellenza, «entra solo il Sommo Sacerdote, una volta
all’anno, e non senza sangue (non sine sanguine), che egli offre per i peccati di ignoranza suoi e del popolo»,
scrive san Paolo agli Ebrei (Eb 9, 7).
La distruzione del Tempio materiale
avvenne puntualmente per opera delle truppe di Tito, nel 70 d. C. Sulle macerie
di quel luogo, i Romani issarono una figura dell’abominio della desolazione, la
statua dell’idolo Giove Capitolino. Il quale, scrive Macrobio (Saturnalia 1, 17-23), come tutti gli dei
del paganesimo era espressione, sotto nomi di diversi di un’unica divinità, il
Sole. Macrobio fornisce una lista significativa, peraltro non esaustiva perché
priva di Mitra, di divinità correlate al Sole: Apollo, Liber Pater, Marte,
Mercurio (Hermes), Esculapio, Ercole, Serapide, Adone, Osiride, Horus, Pan
(Inuus), Saturno, Giove, l’Adad degli assiri.
L’evangelista Matteo lascia intendere
che fine di Gerusalemme costituisce la punizione divina per il rifiuto di Gesù
e degli apostoli da parte degli Ebrei (Mt 23, 36-38). Giuseppe Flavio, che
dedicò alla conquista e distruzione del Tempio da parte dei Romani l’opera De Bello Judaico, confermò tale
indicazione: «A mio avviso, Dio si
allontanò dalla nostra città e giudicando che il Tempio non era più una
residenza pura, incitò contro di noi i Romani e lanciò sulla città la fiamma
purificatrice, infliggendo la servitù ai suoi abitanti, alle loro donne ed ai
loro bambini, per renderci più saggi attraverso queste calamità».
La storia sacra insegna che ogni
qualvolta gli Israeliti si allontanavano da Dio subivano sistematicamente
sconfitte, invasioni, deportazioni. Questo si è ripetuto dai tempi di Noè, fino
ai nostri giorni. La fede in Dio è infatti garanzia di protezione, sviluppo,
benessere individuale e collettivo. Ma se la fede vacilla, le mura crollano, il
livello delle acque si innalza, l’anomia corrompe l’ordine interno che discende
dall'Onnipotente. Il tempio va in rovina, perché Dio si ritira e lo abbandona
alle sorti del mondo.
Quando
Cristo venne accusato
di scacciare i demoni in nome di Beelzebul,
principe dei demoni, anch’esso espressione pagana della divinità solare, rispose
che un regno diviso in se stesso cade in desolazione: «Omne regnum divisus contra se desolatur, et omins civitas vel domus
divisa contra se non stabit» (Mt 12, 25). Ben sapeva infatti Gesù che la tattica
del maligno per dominare sugli uomini è proprio quella del divide et impera, scindere l’unità, raccolta dall’Amore, in parti
che, se unite, lo sconfiggerebbero rapidamente.
Con questa stessa logica, il fumus satanae è penetrato nella Chiesa, producendo
in essa una manifesta divisione, a partire dal Vaticano II. Il Concilio che
segnò un punto di svolta epocale all’interno del corpo ecclesiale. Lo stesso
Ratzinger lo dichiarò in un ciclo di conferenze radiofoniche nel 1969: «Siamo a un enorme punto di svolta
nell’evoluzione del genere umano. Un momento rispetto al quale il passaggio dal
Medioevo ai tempi moderni sembra quasi insignificante …la Chiesa non sarà più
in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il
diminuire dei suoi fedeli perderà anche gran parte dei privilegi sociali» (http://www.segnideitempi.org/la-profezia-dimenticata-di-ratzinger-sul-futuro-della-chiesa/chiesa/la-profezia-dimenticata-di-ratzinger-sul-futuro-della-chiesa/).
Dopo il 1960, all’interno del corpo
mistico di Cristo, si sono consolidate due tendenze assai difficilmente
conciliabili, alle quali corrispondono due gruppi opposti di fedeli, quelli
legati alla Tradizione ed i sostenitori della modernizzazione ecclesiale. Nel
frattempo, la Chiesa ha perso credibilità, prima ancora che privilegi. La
società riflette questa crisi di fede religiosa nel segno della corruzione,
violenza, confusione registrate nelle cronache quotidiane. Ed «a causa del dilagare dell’iniquità», l’amore di molti si sta raffreddando (Mt
24, 12).
Per tale ragione, forse, il Santo
Padre ha sconvolto una prassi millenaria, rassegnando irrevocabili dimissioni
dal soglio pontificio, divenendo così il primo Papa emerito. Questo suo gesto è
interpretabile come un “divorzio” (consensuale) dall’eletta Sposa, che è una
sola cosa con Cristo. Divorzio segnato dalle stesse raccomandazioni sussurrate ai
figli da genitori che dolorosamente si separano e si preoccupano di rassicurarli
che comunque continueranno ad amarli e ad operare meglio per loro.
Analogamente, il Papa, “divorziato” dal
suo ruolo, ha cercato di rassicurare i fedeli promettendo (se ce ne fosse
bisogno) che continuerà a pregare per la Chiesa. Lo farà persino meglio,
finalmente libero di concentrarsi nei suoi diletti studi, nel proficuo ora et labora che ha segnato e segna la
vita di santi monaci ed eremiti.
Un Pontefice che a differenza dei suoi
illustri Predecessori, altrettanto travagliati e perseguitati, spesso
martirizzati, abbandona il mandato divino, segna davvero un “enorme punto dio
svolta” non privo di risvolti escatologici. Difatti, questo gesto del tutto
inconsueto e “moderno”, annunciato nell’anno della Fede proprio dal Papa che lo
ha indetto, deve gradevolmente risuonare nei fondi dei pestilenziali abissi, ove
è relegato «colui che seduce tutta la
terra» (Ap 12, 9), il fatidico mysterium
iniquitatis.
Spiegava l’Apostolo alla comunità dei
Tessalonicesi che il mysterium
iniquitatis era già in atto. Tuttavia, la sua piena manifestazione sarebbe
avvenuta solo in seguito alla caduta del katecon,
l’ostacolo che lo trattiene (tantum qui
tenet). Prima di questo, dovrà avvenire l’apostasia. Ossia, la rottura, l’abbandono:
nisi venerit discessio primum (2 Tess
2, 7). La parola “apostasia” è tradotta in latino con il termine discessio, che significa allontanamento,
separazione, divorzio.
Per San Tommaso, ciò che trattiene
l’anticristo, e che costituisce come una barriera di fronte al male, è l’unione
e la sottomissione alla Chiesa Romana, sede e centro della fede cattolica e
apostolica. Fino a quando la società rimarrà sottomessa all’impero spirituale
romano, trasformazione dell’antico impero temporale, l’anticristo non potrà
comparire: «Qui tenet, scilicet, romanum imperium, teneat illud
donec ipsum fiat de medio. Quia medium est dum universiscircumquaque imperat,
quibus ab ipso recedentibus, de medio anferetur, et tunc ille iniquus opportuno
sibi tempore revelabitur»
(S. Thomas, Opusc. LXVIII, De Antichrist.).
Il Vicario di Cristo in terra, con le
sue schiere di sacerdoti, religiosi, consacrati, christifideles ha tenuto saldamente nei secoli la “grande catena”, catenam magnam, (Ap 20) che
trattiene l’anticristo. Il quale, fino a quando il Custode dell’ortodossia e
della Tradizione Apostolica sarà ascoltato ed obbedito dalle sue milizie, non
potrà fuoriuscire dagli abissi che lo contengono. Al contrario, il disordine
fra le schiere dei religiosi, la disunione della base con il Vertice, la lotta
interna delle fazioni segnerà l’allentamento della presa, l’apertura
dell’abisso, la liberazione (in ogni caso transitoria) del maligno: solvetur satanas de carcere suo (Ap 20,
7).
Il sole divino, la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1, 9), oscurata nel cuore
di molti fedeli emancipati ed adulti, inconsapevoli della loro presunzione. La
Chiesa tradizionale, gerarchica e militante, eclissata e surclassata da quella
moderna, democraticamente aperta verso un mondo che di principio la rifiuta.
L’antica Liturgia stravolta e combattuta da quella imposta dal Vaticano II. Gerarchie
ecclesiastiche implicate in scandali mondani, cadute sotto i colpi di coda del
“drago rosso”, cauda eius trahit tertiam
partem stellarum cieli et misit eas in terra (Ap 12, 4). Un Papa, come una nuova “star mediatica”, accerchiato da
moltitudini di credenti a “modo loro” gestiti da giornali laicisti, incalzato
da lupi più avvezzi ad usare la lingua che i denti, che abbandona il suo divino
mandato.
Tutte queste rovine, nonché il
“piccolo gregge” rimastogli fedele ed obbediente nei tempi più oscuri, vedeva il
Signore in quel radioso giorno di primavera, avvicinandosi con i discepoli a
Gerusalemme per offrire la sua vita al Padre. Segnando con il suo divino sacrificio
la perfetta unità fra Dio e la Chiesa Romana: la Roccia contro la quale «portae inferi non prevalebunt» (Mt 16, 18).