Nel gennaio del 1600,
il giovane e semisconosciuto Johannes Keplero giunse a Praga, per iniziare la
sua collaborazione con il matematico imperiale e grande astronomo danese Tycho
Brahe, in quel periodo a servizio di Rodolfo II d’Asburgo, Imperatore del Sacro
Romano Impero, grande estimatore della cultura esoterica.
Tycho
aveva raccolto migliaia di nuovi dati osservativi relativi ai moti planetari. La
sua abilità osservativa lo aveva reso il massimo esperto nell’astronomia
dell’epoca, oltre che un validissimo filosofo naturale. Infatti, in base ai
dati raccolti, dopo aver dimostrato la non solidità delle sfere aristoteliche e
confutato il sistema geocentrico tolemaico, elaborò un sistema geostazionario,
detto appunto ticonico, in cui i pianeti ruotano intorno al Sole, il quale, allo
stesso tempo ruota con essi, intorno alla Terra ferma.
Questo
modello, nonostante sia stato frettolosamente abbandonato, perché
ideologicamente poco rivoluzionario, aveva un vantaggio rispetto a quelli
copernicano e tolemaico: quello di essere fedele ai dati dell’osservazione. Il
movimento del cielo, da est ad ovest, la quiete della terra ed il moto dei
pianeti si rispecchiavano infatti pienamente nel modello ticonico, tranne il
movimento di Marte. La questione dell’orbita di Marte era alquanto complicata,
addirittura inspiegabile, volendo rinunciare agli epicicli ed equanti di
Tolomeo, per la sua imprevedibilità e per i suoi moti retrogradi. Tycho pensò
bene di affidare la soluzione di questo enigma, in ordine al proprio sistema,
al nuovo assistente, Keplero, considerando anche la sua inabilità ad osservare
il cielo, poiché era debole di vista. Strano a dirsi, colui che elaborò le
leggi che oggi descrivono il moto dei pianeti, lo fece da euclideo, guardando
la terra più che il cielo.
Keplero,
nel 1596, aveva presentato nel suo primo libro, Mysterium cosmographicum, un astruso modello del sistema solare, inteso
come una struttura composta di sei sfere solide, associate rispettivamente ai
sei pianeti, tra le quali erano inseriti i cinque solidi platonici. Tale modello,
compilato a priori, secondo lo stile di Platone circa l’iperuranio, pur se
centrato nel Sole, si accordava tuttavia malamente con quello copernicano. Johannes
se la prese con Copernico, effettivamente colpevole di aver trascritto misure
del passato, senza verificarle, preoccupandosi solo che dessero ragione al suo
traballante modello eliocentrico. Inoltre, proprio lui, Keplero, che si
ispirava alle forme platoniche per far rientrare in esse la realtà, accusò
l’astronomo di Torun, di fare della geometria, invece della fisica. Keplero in
effetti si occupò più della matematica che dell’osservazione celeste, peraltro
a lui impedita, come detto, per difetto naturale.
Dopo
aver stampato il Mysterium, con
l’aiuto del suo precettore e amico Michael Maestlin, cercò di diffonderlo a
quelli che contavano in Europa, inviandone due copie anche a Galileo. Il grande
Brhae venne a sapere del lavoro dell’allora sconosciuto matematico ed
astronomo, nato a Weil, settimino, il 27 dicembre, festa di S. Giovanni
apostolo, nell’allora ducato di Württemberg, nel sud ovest della Germania, con capitale
Praga. La madre, Katharina, allevata da una zia che poi venne bruciata sotto
l’accusa di stregoneria, venne ella stessa in seguito accusata dello stesso
delitto, ma riuscì a salvarsi a malapena, grazie all’intervento del figlio
ormai famoso, Johannes, anch’egli in odore di eresia. Il padre, Heinrich, mezzo
mercenario e vagabondo, era sparito da tempo, senza lasciare traccia, dopo aver
malmenato durissimamente la moglie e forse anche i figli.
Brahe
partecipò, cum grano salis, alcune
delle sue preziose misure a questo suo collaboratore, con il quale diverse
volte entrò in conflitto, per farle inquadrare nel suo sistema planetario.
Keplero, invece, li valutò in senso eliocentrico. Egli infatti, come il suo
mentore Maestlin, era un tenace assertore dell’eliocentrismo, essendo peraltro ben
collegato al gruppo di studiosi antiaristotelici che circolavano nelle corti
dell’aristocrazia europea, insieme ai grandi esponenti del pensiero magico.
Tutti dediti ad una ricerca fondata sulla base del misticismo geometrico, delle
armonie e delle sue aperture creative, facendo così prevalere l’immaginazione razionale
sulla realtà. Stesso procedimento utilizzato dagli illusionisti e dai maghi, i
quali presentano con forza le loro visioni, fino a farle credere reali.
L’insanabile
difformità di concezione cosmologica, che opponeva Brahe a Keplero, dipendeva
anche dalla differenza dei loro metodi di indagine. Secondo Tycho, l’astronomia
è una scienza che si costruisce a posteriori, ricavando dai dati osservativi il
modello che li raffiguri, come l’immagine dallo specchio. Keplero, invece,
costruiva la sua indagine a priori, cercando di fare rientrare i dati
dell’osservazione in modelli razionali precostituiti. Egli riuscì quindi a
trovare la soluzione geometrica in chiave eliocentrica dei dati di Brahe,
pubblicando nel 1609, nel testo Astronomia
nova, le prime due famose leggi sulle orbite ellittiche dei pianeti e della
Terra, rispetto ad un fuoco occupato dal Sole.
I
risultati dell’osservazione costituiscono i fattori immutabili e certi, il firmamentum della scienza. La loro
interpretazione tuttavia può variare a seconda della teoria adottata. Difatti, le
osservazioni relative ai passaggi planetari rientravano analogamente nei tre
modelli tolemaico, copernicano, tychonico. Ognuno di essi dava ragione secondo
prospettive diverse al moto planetario: «Nonostante le importanti differenze
concettuali, dal punto di vista predittivo è possibile dimostrare una loro
sostanziale equivalenza; i risultati forniti utilizzando gli strumenti previsti
dai tre astronomi differiscono, come scrive Keplero, “per meno di un capello”»[1].
È
quanto sosteneva San Tommaso, secondo il quale gli stessi fenomeni naturali
possono essere spiegati in modo diverso. La conoscenza assoluta infatti si
determina solo quando un effetto si spiega con la sua causa o principio ad esso
primo. Una spiegazione che faccia risalire la causa dagli effetti non è che
ipotetica (Summa Theologica I, q. 32,
art. 1 ad 2) e possibile di altra interpretazione. L’astronomia, la fisica,
quindi, sono scienze ipotetiche, mentre la metafisica è la scienza della
certezza ed inalterabilità, perché parte sui principi primi indubitabili,
fondati sull’identità dell’Essere.
Questo
per dire che le leggi di Keplero, con modifiche tecniche, potrebbero funzionare
anche secondo la concezione di Tycho Brahe, nella quale la Terra è considerata
in quiete, così come si manifesta ai sensi. Ma poiché questa concezione sensata
è, dal punto di vista speculativo, affine alla cosmologia tomista, venne da
subito combattuta ed accantonata. Al contrario dell’idea del movimento fisico
della Terra. A tale idea, altrettanto plausibile, corrisponde tuttavia una
forza sovversiva intrinseca, in grado di destabilizzare il senso comune e
giungere persino ad intaccare la fede nel Dio che si manifesta nell’opera delle
sue mani. Difatti, se quanto si percepisce è illusorio, perché dovrebbe essere
reale e certo Colui dal quale il tutto deriva?
Del
resto, Cristo fondò la sua Chiesa sulla Pietra, perché, come l’ elemento Terra,
è segno e simbolo della stabilità, della fermezza, della quiete rispetto alle
forze della natura. Cristo soffrì la sua passione in pace, imperturbabile,
nell’ingiusta sofferenza che gli veniva inflitta dagli accusatori, dimostrando
fino in fondo la certezza ed il valore delle sue promesse. Mettendo il moto la Pietra,
rispetto al Sole, ribaltando cioè i dati della percezione, si relativizza e si
ribalta tutto. Anche il mandato di chi interpreta e diffonde legittimamente la
Parola, mediante l’autorità della Chiesa Romana, alla luce della Tradizione
Apostolica. Come fece Lutero, influenzato dalla metafisica solare rinata nella
corte medicea, che scelse come simbolo della sua riforma una croce nera nel
cuore di una rosa bianca, con cinque petali, come la massonica stella
fiammeggiante.
Probabilmente,
per questo tipo di ragione, il gesuita Melchiorre Inchofer, nel Tractatus syllepticus, considerò
l’opinione della mobilità della terra, come scrisse Galilei, «tanto orribile,
perniciosa e scandalosa»,
che se anche si permettesse di mettere in dubbio i fondamentali articoli della
fede, come «l’immortalità
dell’anima, la creazione, l’Incarnazione, non si deve però permettere che si
disputi o si argomenti contro la stabilità della terra», poiché solo questo principio
sopra a tutti deve essere ritenuto talmente sicuro, da impedire «in alcun modo» che qualcuno gli
argomenti contro, mettendolo in discussione[2].
[1] A. M.
Lombardi, Keplero – una biografia
scientifica, Codice Edizioni, Torino 2008, p. 8.
[2]
A cura di I. Del Longo e A. Favaro, Galileo,
Dal carteggio e dai documenti – pagine di vita, Sansoni, Firenze 1984, p.
382.