Copernico era
ormai in fin di vita, quando venne pubblicata la sua summa astronomica con il titolo, De Revolutionibus orbium coelestium, Sulle rivoluzioni delle orbite celesti. Inizialmente, ne era stato previsto
un altro, De Revoluzionibus, Sulle Rivoluzioni.
Quando il
Retico, l’enigmatico personaggio che per due anni stette alle costole
dell’astronomo polacco, per incoraggiarlo a pubblicare la sua ipotesi
traballante, si trovò tra le mani il testo con il titolo modificato, si
infuriò.
Due parole innocue,
orbite celesti, aggiunte come
specificazione di un’ipotesi astronomica, bastarono a fare andare in furia questo
personaggio legato ai movimenti riformatori ed iniziatici dell’epoca, il quale
intravedeva nell’opera di Copernico il germe di tutte le future rivoluzioni che
avrebbero determinato la “nuova” immagine del mondo, contrapposta a quella “vecchia”,
legata al cattolicesimo tradizionale.
Mentre tale
dinamica iniziava a realizzarsi con l’imporsi dell’ipotesi eliocentrica, Copernico
stava per concludere una vita apparentemente tranquilla. Come Giovanni Drogo,
il protagonista del Deserto dei tartari
di Buzzati, dopo aver lungamente atteso l’occasione propizia, egli usciva di
scena proprio quando era venuto il momento di salire alla ribalta. Nel 1543,
infatti, all’età di settant’anni, l’astronomo morì in seguito ad un secondo
attacco apoplettico.
La sua vita iniziò
a Thorn (Torún in polacco) il 19 febbraio 1473. All’età di dieci anni, Nicola
rimase orfano di padre e venne cresciuto insieme agli altri tre fratelli più
grandi dallo zio materno, Lucas Watzenrode, il quale nel 1491 venne nominato
vescovo della Warmja. Da quel momento, la vita dei Copernico cambiò in meglio,
come compensata delle precedenti sofferenze. Tutta la famiglia trovò protezione
e privilegi nell’ambito curiale.
Nicola ebbe
così modo di perfezionare i suoi studi in Italia, ben sapendo che lo zio voleva
fargli intraprendere una solida carriera ecclesiastica. Ma egli si sentiva attratto
da altre prospettive.
Il periodo era
molto turbolento. Oltre alla caccia alle streghe, si stavano preparando le
condizioni per la riforma luterana, era stato scoperto un nuovo continente.
L’ermetismo era coltivato nelle corti italiche e la visione religiosa del mondo
stava per essere sconvolta dagli influssi della gnosi alchemico-cabalistica.
Copernico si iscrisse
a Bologna in diritto canonico, nel 1496, divenendo membro della «Natio Germanica», associazione di studenti di lingua madre
tedesca.
Il giovane Copernico
non dichiarò di essere canonico del Capitolo di Warmja, neppure quando un anno
dopo ebbe conferma della sua nomina ufficiale, ottenuta in virtù delle
pressioni dell’illustre parente.
Si dice che
fosse sacerdote. Ma quest’affermazione non corrisponde al vero. Sembra invece
che Copernico mostrasse come un’avversione verso il sacerdozio e gli ordini
maggiori, nonostante le spinte e la strada apertagli dallo zio materno.
Fu il cattolico
Galilei che iniziò a mettere in giro questa diceria, insieme ad altre. Nella
famosa lettera “quasi-pubblica” a Maria Cristina di Lorena, pur sapendo che
sarebbe circolata nelle corti e nelle curie, nonché data in pasto a semplici
fedeli, Galileo affermò vere e proprie bugie riguardo all’astronomo polacco.
Infatti, «Copernico non solo non era sacerdote, ma non
venne mai chiamato a Roma; non scrisse il De
revolutionibus per ordine del Papa; il libro ricevette molte critiche
ostili, particolarmente perché contraddiceva la Bibbia; non costituì la base
del calendario gregoriano» come invece afferma Galileo in un pur breve
passaggio della citata lettera copernicana (E. Rosen in, R Zanin (a cura di), Galileo Galilei – Tre lettere, Pagus
Edizioni, Paese-Treviso 1991, p. 141).
Lo storico
cattolico Lino Sighinolfi (1876–1956) alimentò l’equivoco circa la carica di
sacerdote assunta da Copernico messa in circolo da Galilei, forzando, forse
involontariamente, la traduzione di una delega dell’epoca in modo evidentemente
erroneo.
Egli la
pubblicò infatti nella seguente forma: «Nicola
Copernico, figlio del fu Nicola, canonico di Warmja, studente a Bologna,
aspirante alla laurea in diritto canonico, presbiter
constitutus, in presenza mia, il notaio, e dei due sottoscritti testimoni,
che sono stati citati e convocati appositamente per questo scopo».
Le due parole
in corsivo significano effettivamente “ordinato sacerdote”. Tuttavia, nel
documento originario era scritto “personaliter”
e non “presbiter”. «Ora, personaliter
constitutus significa “comparso in persona”»
non certo “presbitero” (W. Shea, Copernico:
un rivoluzionario prudente, Le Scienze, I grandi della scienza, n° 20,
ottobre 2004, pag. 6).
Il senso
religioso di Nicola doveva essere frammisto di sacro e profano, condito da una
curiosità intellettuale che lo portava ad esplorare i vari aspetti e le
mutazioni della cultura vigente, senza tuttavia approfondirne uno in modo
specifico. Egli studiò diritto canonico e civile a Bologna, ma non completò il
corso di studi, distratto da altri interessi ed attività.
Soggiornando presso
Domenico Maria Novara (1454–1504), matematico legato alla corte medicea, Nicola
ebbe modo di apprendere i primi rudimenti dell’astronomia e della cultura
antiaristotelica ed antitomista. Nel 1500, a Bologna, fece due delle sue rare osservazioni
astronomiche, riguardanti le congiunzioni della Luna con Saturno.
Si recò poi a
Roma insieme ad altri studenti, per l’anno giubilare indetto dal papa
Alessandro VI. Era accompagnato dal fratello Andreas, anch’egli divenuto
canonico del Capitolo di Warmja, nonostante le voci di una sua vita dissoluta.
Si dice che si infettò di una “malattia ripugnante”, probabilmente sifilide, a
causa della quale morì alcuni anni dopo.
Allo scadere
del permesso di studi in Italia, Copernico per non tornare dallo zio in Polonia
senza nulla in mano, chiese una proroga ulteriore di due anni, per studiare
medicina. Questo fu un fatto significativo, poiché come giurista canonico ben
sapeva del divieto ai preti di studiare medicina, in ordine alla norma che ne
spiegava il motivo: «perché i dottori e chirurghi scarseggiano di tenerezza».
Copernico
dunque iscrivendosi alla facoltà di medicina confermava la sua volontà di non
diventare sacerdote di Cristo, pur restando nell’ambito ecclesiale. Questo stato
canonico gli avrebbe consentito una certa libertà di azione ed etica,
rendendolo libero dagli obblighi sacerdotali.
Studiò altri due
anni a Padova, senza conseguire la laurea in medicina, titolo accademico che
richiedeva tre anni di frequenza. Infine, per tornare in Polonia con un “pezzo
di carta” che giustificasse allo zio il suo lungo soggiorno nel bel Paese
(sette anni), in un anno conseguì il dottorato in diritto canonico nella
piccola e più accessibile università di Ferrara, il 31 maggio 1503. Dopo di che
ritornò in Polonia.
Quando nel
1507, lo zio Lucas Watzenrode si ammalò, fu proprio Nicola a curarlo. La sua
perizia fu tale da guadagnargli una sorta di contratto eccezionale per
esercitare la funzione di medico presso l’episcopato. Dopo la morte dello zio,
nel 1510, Nicola si trasferì poco distante, a Frauenburg, sempre nella Warmja.
Come canonico, aveva
diritto ad abitare all’interno delle mura che circondavano la cattedrale di
Frauenburg. Gli fu assegnata una torre su tre livelli, come appartamento. A
piano terra, cucina, stanza da pranzo e camera della perpetua. Primo piano, con
soggiorno, camera da letto, servizi e ripostigli, terzo piano, con studio
illuminato da nove finestre, con ballatoio esterno.
Fu in questo confortevole
appartamento che Copernico, insieme agli impegni canonici, coltivò le sue
passioni, evidentemente non solo intellettuali. Al primo piano, abitava la sua
giovane perpetua, Anna Schillings. La convivenza fra i due diede luogo a voci
di popolo, insinuazioni varie, forse qualche “incidente di percorso”. Tutto
questo venne tollerato, finché la Controriforma si mise in moto per rimediare
ai molti cattivi esempi che stavano squalificando il messaggio di Cristo. Ai
canonici assistiti da giovani perpetue venne raccomandato di sostituirle con
domestiche “vecchie e semplici”, fuori tentazione.
Nell’ottobre
del 1538, durante una visita pastorale del nuovo vescovo di Warmja, Johannes Dantiscus,
Copernico venne da questi sollecitato a congedare la giovane perpetua. La
richiesta dovette addolorare sia Copernico che Anna Schillings, la quale
effettivamente venne allontanata alcuni mesi dopo, nel gennaio 1519, come
testimonia una lettera di risposta di Copernico al Vescovo. Ma le voci non si
spensero.
Infatti, il
prevosto di quel Capitolo, riferiva al Vescovo che «sebbene la perpetua di Copernico, Anna
Schillings, avesse spedito a Danzica le proprie cose, ella stava ancora vivendo
“da sola” in una casa che possedeva a Frauenburg».
Ella cioè continuava ad incontrare furtivamente Copernico. Dantiscus allora si
rivolse a Tiedemann Giese, vescovo molto amico di Copernico, per chiedere di
intervenire in merito alla faccenda:
«Alla sua
veneranda età e quasi al termine dei suoi giorni – scriveva Dantiscus – si dice
che Copernico veda di frequente la sua concubina nel corso di appuntamenti
furtivi». Dantiscus pregava Giese di «ammonirlo in privato nei termini più
amichevoli di desistere dal proprio comportamento scandaloso». Copernico che
allora aveva 66 anni, si spense quattro anni dopo.
Aggiunge
William Shea che «le preoccupazioni di Dantiscus erano accentuate dal fatto che
Anna fosse una donna sposata e separata dal marito e che lo scandalo rischiava
di sconvolgere i suoi sforzi per la riforma del clero» (cit., p. 37).
L’allontanamento,
formale o sostanziale, della perpetua venne tuttavia come compensato
dall’arrivo in casa Copernico di uno strano personaggio: Georg Joachim von
Lauschen, detto il Retico perché proveniva dalla Rezia, regione compresa fra
Svizzera ed Austria, rinomato per la vita licenziosa e per le amicizie
equivoche.
Suo padre,
medico, astrologo ed alchimista, venne giustiziato nel 1524 sotto l’accusa di
stregoneria. Il Retico, che allora aveva dieci anni, intraprese in seguito le
orme paterne, tuttavia con molta prudenza, riuscendo a dissimulare interessi ed
attività iniziatiche, coltivate specialmente a Zurigo, dove conobbe e frequentò
il taumaturgo e mago Paracelso.
Il Retico, ben
collegato alla cerchia di personalità che animavano l’università protestante di
Wittenberg, tra i quali Filippo Melantone, raggiunse dunque Copernico, nel
corso del 1539. L’ingresso nel ducato di Warmja era proibito ai protestanti. Ma
il Retico, che allora aveva venticinque anni, venne accolto calorosamente nel
cattolicissimo capitolo di Frauenburg, evidentemente grazie ad illustri
coperture.
Si insidiò a
casa dell’anziano canonico astronomo, dove in pochi mesi, riuscì a scrivere un
breve resoconto sull’astronomia copernicana, la Narratio Prima, che spedì celermente a Johannes Schoner, prete
cattolico convertito al luteranesimo, nonché collaboratore di Lutero e Melantone.
Nessuna
ammonizione giunse a Copernico da parte del vescovo Dantiscus, in ordine alla
stretta collaborazione con il Retico e le sue amicizie “invisibili”, nonostante
le tendenze romane sollecitassero il contrario.
Più che altro, Dantiscus
si preoccupò di preservare Copernico dalla ricattabilità collegata alle accuse
ed insinuazioni di tipo morale e sessuale che egli stesso aveva subito in prima
persona. Circolava infatti la voce circa una sua presunta figlia illegittima,
frutto di una relazione con una parrocchiana di Toledo, che egli continuava a
mantenere versandole regolari contributi.
Forse, proprio questa
diceria, che la Curia Romana non avrebbe gradito, servì agli amici del Retico, per
indurre Dantiscus ad aprire le porte del suo Capitolo, favorendo la
collaborazione di Copernico con i protestanti.
Un’ingegnosa
ipotesi astronomica venne così gradualmente trasformata in argomento formidabile
per slacciare la scienza dal cattolicesimo. Per determinare il passaggio dalla
visione metafisica a quella dialettica del mondo. Per giungere dal cosmo
definito e strutturato in Dio alle aperture razionali sfocianti nell’indefinito
divenire. Dalle intelligenze celesti a quelle ctonie.