domenica 23 ottobre 2011

A PROPOSITO DEL TEMPO NATURALE




La cultura scientifica ha in un certo modo fatto prevalere l’immagine misurabile del tempo, rispetto al significato trascendente ed al finalismo naturale implicito in esso. A cominciare da Newton, che ne diede definizione famosa, ma incompleta e indimostrata: “Il tempo assoluto, matematico scorre uniformemente …. Il tempo relativo, apparente, volgare …“. Siamo d’accordo che questa definizione sia sintetica <<ma che tale espressione sia chiara e, dal punto di vista del fisico, anche soddisfacente, è questione differente>>, afferma R. De Ritis.
Newton definì il tempo assoluto, che scorre uniformemente senza alcuna relazione con alcunché di esterno, e che viene generalmente denominato durata, senza preoccuparsi di completare e di rendere più esplicita la sua definizione, dando così luogo alla contraddizione. Se infatti il tempo assoluto newtoniano non è in relazione con alcunché di esterno, esso non solo è indefinibile, ma anche inconoscibile e non misurabile. Dunque, inesistente.
Newton sorvola inoltre sulla definizione da attribuire alla durata, che di per sé è legata alla misurazione. Ma se è legata alla misurazione il tempo assoluto è in relazione con la misurabilità e con i misuratori. Dunque, in relazione con l’esterno.
Le contraddizioni implicite alla definizione di tempo fornitaci da Newton si riversano anche nel fondamentale “principio di inerzia”: “Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse”.
Osserva in proposito Cassirer: <<Ma l’aporia che il sistema complessivo della meccanica mantiene nella formulazione del principio di inerzia, finisce con l’esprimersi in un circolo gnoseologico da cui per essa non sembra esservi scampo>>.
Infatti, per definire il significato del principio d’inerzia, è necessario ricorrere al concetto di “tempi uguali”. Ma una misurazione fisica di “tempi uguali” è ricavabile solo se si sia accettato la validità del principio di inerzia. Infatti, la meccanica definisce “tempi uguali” quegli intervalli di tempo nei quali un corpo abbandonato a se stesso percorre spazi uguali.
L’analisi delle tecniche della misurazione degli intervalli di tempo effettuata da Neumann, lo portò a considerare la legge di Galilei e gli stessi “intervalli uguali di tempo” alla base di questa legge, in modo alquanto critico e circolare. La legge di Galilei infatti stabilisce che un punto materiale lasciato a sé stesso si muove non solo lungo una linea diritta, ma anche che esso percorre una stessa distanza in eguali intervalli di tempo. Tuttavia, noi non sappiamo cosa significhi “eguali intervalli di tempo”, se non in relazione alla valutazione e misurazione dei segmenti temporali.

Fu Einstein ad insistere sul carattere relativo della misurazione del tempo. In particolare, nell’articolo che gli diede fama internazionale, egli diede un’interpretazione del fenomeno della contemporaneità, dimostrando come il valore della misurazione della contemporaneità non costituisca un assoluto, dal momento che questo valore dipende dalle condizioni dinamiche del misuratore.
A tale proposito, è interessante citare un’affermazione di W. L. Craig: <<Trovo sorprendente che la lettura del saggio di Einstein del 1905 possa indurre qualcuno a pensare che Einstein abbia dimostrato che la simultaneità assoluta non esiste e che, perciò, il tempo è relativo a una struttura di riferimento. Infatti, tutta la teoria dipende dal fatto di accettare la definizione arbitraria di simultaneità data da Einstein – in verità assai anti-intuitiva –, insieme a un positivismo filosofico di origine machiana secondo cui la simultaneità assoluta è priva di significato se non è empiricamente rilevabile … Chi non è positivista, e quindi non accetta la definizione di Einstein, considererebbe questi osservatori che si muovono con moto relativo come ingannati dalla natura delle loro misurazioni, inadatte a scoprire il tempo vero. Costui non considererebbe affatto, in senso vero e proprio la teoria di Einstein come una teoria sul tempo e sullo spazio, ma, al modo di Frank, “come un sistema di ipotesi sul comportamento di raggi luminosi, corpi rigidi e meccanismi, da cui si possono ricavare nuove inferenze su tale comportamento”>>.
 La fisica contemporanea si è soffermata in modo particolare sul concetto di contemporaneità. Einstein edificò su tale nozione il suo edificio relativistico. È noto che egli propose una definizione operativa della simultaneità, attraverso un’enunciazione di rigorose sequenze che rendessero possibile stabilire attraverso i canoni della misura ciò che è contemporaneo e ciò che non lo è.
Per trovare il criterio corretto che rispondesse a tali esigenze, postulò l’indimostrato secondo principio di relatività, anche detto della costanza della velocità della luce. La velocità della luce, così elevata a costante universale, unica, insuperabile, rendeva possibile stabilire se due o più eventi fossero o meno contemporanei.
Nondimeno, è evidente che se la velocità possedesse davvero un limite, allora il fenomeno stesso della contemporaneità sarebbe come negato, perché reso funzione della distanza. Col crescere della distanza infatti non potrebbe che aumentare il tempo di propagazione del segnale emesso al verificarsi del fenomeno supposto contemporaneo. Dunque, gli eventi non sarebbero più coesistenti. Il cielo stellato sarebbe più un’illusione che una realtà. Infatti, quando un segnale luminoso di una stella giunge ai nostri occhi, la stella non è più presente. Il suo tempo non è come il nostro tempo, ma appartiene al passato. Ossia ad uno spazio non reale.
Perché invece la contemporaneità sia un fenomeno fisico universale, e non solo locale, e l’universo stesso sia reale, è necessaria una velocità di trasmissione dei segnali immediata. Ovvero, che la luce sia istantanea nella sua propagazione da due punti distanti a piacere nell’universo. Se questo non avviene, le varie parti che compongono l’universo non possono considerarsi compresenti, ma per quanto più lontane, tanto più non contemporanee, ed appartenenti al passato, a spazi non reali.
Il tempo razionalizzato insomma oltre che sfuggire alle gabbie mentali che tentano di imbrigliarlo, non può che comportare l’allontanamento dal fluire della stessa temporalità reale, che Bergson chiamava “durata”, nella quale sono immerse inevitabilmente, e senza via d’uscita, tutte le cose.
Il “qui adesso”, l’essenza del reale, dunque non corrisponde né all’<<illud tempore>> proprio del mito, né all’astratta struttura del <<continuum>> spazio-temporale della fisica relativistica, che riduce il tutto ad espressioni numeriche. Il “qui adesso” continua ad essere in fondo quell’incomprensibile mistero che sant’Agostino diceva di conoscere se non doveva spiegarlo. Ma di non conoscere nel momento stesso in cui cercava di darne ragione.




venerdì 14 ottobre 2011

“OFFICINE” SCOLASTICHE



Uno dei motivi che stanno alla base del contrasto fra la Chiesa e la Massoneria riguarda la finalità pedagogica che entrambe rivendicano circa la formazione dell’individuo. Il suo “ammaestramento” verso acquisizioni superiori. Un’iniziazione ai misteri, da una parte ordinata ai sacramenti ed alla vita di grazia, dall’altra collegata alle conquiste della ragione emancipata da dogmi correlati alla trascendenza.
Il Signore in persona affidò agli apostoli la missione di ammaestrare le nazioni alla luce del Vangelo <<battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato >>, assicurando il suo sostegno quotidiano fino alla fine del mondo (Mt 28, 19).
La clamorosa conversione di Saulo di Tarso anticipò in modo emblematico quella che nel giro di tre secoli sarebbe toccata all’impero romano, che da persecutore del cristianesimo ne divenne seguace e difensore nel 323, a partire dall’editto di Milano.
Dopo questa data, i cristiani si inserirono nei cardini del potere politico diffondendo ad ogni livello sociale i valori propri della nuova religione, occupandosi soprattutto dell’educazione della gioventù, istituendo scuole monastiche, seminari e centri di cultura, dai quali derivarono le Università medievali sparse in tutt’Europa.
Sul finire del 1600, questa realtà che in tinte chiare e scure aveva comunque accomunato e formato gli stati europei nel corso di lunghi secoli sulla base dei principi evangelici, iniziò a trasformarsi in modo evidente sotto la spinta propulsiva delle istanze umanistiche e razionalistiche contrarie alla dottrina cristiana.
Nel 1746, compare nelle logge massoniche di carattere razionalista sorte in Francia, il famoso motto <<libertà, uguaglianza, fraternità>> che aprì le porte all’illuminismo ed all’<<enciclopedia>>. Le dottrine politiche si indirizzano sempre più in senso laico e moderno, prospettando all’uomo un ruolo nuovo ed attivo all’interno della vita sociale, non più riferita ai valori cristiani della trascendenza. Tutto questo secondo un disegno che si delinea gerarchicamente dall’alto verso il basso, come spiega il massone S. R. de La Ferrière:
<<Al di sopra delle nostre Logge, dei nostri Templi, dei nostri Grandi Orienti e dei nostri Riti, è sempre esistita una Direzione Iniziatica Universale, una Massoneria ed un Grande Oriente Universale di carattere esoterico, il cui Cons:. Sup:., composto di veri Iniziati, riceve la linea direttiva dai propri Santi Santuari Esoterici, per subito trasmetterla, attraverso intermediari, ad Organismi sempre più exoterici. Siamo certi che la maggior parte dei nostri Fr:. M:. si stupirà di questo, non avendo mai sentito parlare di tale Direzione Superiore>> (Il libro nero della Framassoneria, Palermo 2009, p. 19).
Alla luce di tale direzione occulta, nel periodo illuminista Joseph De Maistre, affiliato alla loggia di Chambéry, rivendicò alla massoneria la missione di costruire <<la scienza dell’uomo per eccellenza, cioè la conoscenza della sua origine e del suo destino>> non disgiunta da una religiosità aperta a più credi perché improntata sui cardini della tolleranza e fratellanza universali. La divinità a cui questa filosofia faceva capo era impersonale, adatta a molti confessioni, concepita simbolicamente come “grande mente”, o Grande Architetto dell’Universo (GADU).
Oltre a Comenio, in rapporto con la setta dei Rosacroce, la propaganda della pedagogia massonica fu assegnata ad affiliati di prim’ordine. Tra i quali, Goethe, Fichte. Ma fu specialmente Herder ad indirizzare la libera muratoria verso la diffusione di un sincretismo religioso universale. Goethe da parte sua non nascose la sua affiliazione all’opera muratoria, attribuendo ad essa il compito di formare l’individuo attraverso un indefinito processo di perfezionamento personale e sociale. Fitche, affiliato nel 1793, svolse la sua attività a Berlino, impegnandosi nella ricerca e nell’insegnamento della filosofia elaborata in spirito massonico.
Anche il famoso pedagogista J. H. Pestalozzi prese contatto fin dalla giovinezza con gli Illuminati di Baviera, associazione para (o super) massonica impegnata a conseguire il perfezionamento dell’individuo e dell’umanità attraverso la diffusione di una religiosità universale di tipo razionalistica, senza dogmi, che non escludeva una sorta di messa in comune dei beni. Pestalozzi inserì nella sua opera pedagogica questi ideali trans-nazionali, ordinati alla formazione di una nuova società basata sugli ideali cosmopoliti e filantropici, che si contrapponevano a quelli propri della filosofia morale di matrice tomista.
In Italia le prime logge sorsero nel centro-nord a partire dal 1731, sviluppandosi secondo i tipici due indirizzi. Quello mistico esoterico-occultistico coltivato prevalentemente nelle logge anglosassoni e preferite dall’aristocrazia. E quello di stampo razionalistico ed illuministico tipico delle logge francesi, frequentate genericamente dalla borghesia progressista ben organizzata politicamente.
Bisognò tuttavia attendere un centinaio di anni, prima che la massoneria italica iniziasse il tentativo di statalizzazione della sua azione pedagogica. Una circolare del 31 agosto 1867 dispiega le linee programmatiche comune a tutte le logge, finalizzate <<all’apostolato della verità, all’azione benefica e docente, moralizzatrice del popolo e protettrice benefica dei suoi diritti>>. Le officine dovevano così impegnarsi per contrastare la trasmissione dei dogmi cattolici attraverso una martellante propaganda <<del dogma della Scienza, della Libertà, della Fratellanza, della Solidarietà>>.
Il 31 luglio 1870, l’alto dignitario Federico Campanella diramò a tutte le logge italiane una circolare nella quale si afferma il fine pedagogico della massoneria, la quale <<deve preparare la via alla rigenerazione dell’umanità, e porgere al popolo i mezzi di ammaestrarsi nei suoi doveri e diritti>>, per migliorare lo sviluppo della vita sociale e politica. La massoneria <<deve quindi concentrare tutti i suoi sforzi nel promuovere la fondazione di scuole popolari, di asili infantili, di società cooperative e di mutuo soccorso fra operai e contadini, di librerie circolanti, di giornali e di tutto quanto può servire all’educazione ed al benessere sociale delle classi diseredate>>.
In questo contesto, la Chiesa non poteva che essere considerata come il baluardo della reazione e la principale avversaria di un progresso rapportato ai tempi, dispensiera di un messaggio sempre meno attuale ed estraneo alle esigenze dell’uomo moderno. Per tale motivo, l’organizzazione dello stato laico dovette essere bene attenta a non concedere la benché minima apertura a questo sorpassato oppositore sempre pronto a recuperare rapidamente il terreno perduto.
Secondo le nuove linee pedagogico-massoniche, la scuola laica doveva impegnarsi a formare innanzitutto il cittadino, più che il devoto, il “genio” più che il “santo”. Occorreva pertanto definire e trasmettere una religione razionale in grado di smussare particolarismi e dogmi, per essere in grado di estendersi a tutti i popoli che avrebbero costituito gli stati moderni e laici.
La reazione cattolica a questa manovra “pedagogica” che insidiava il cuore stesso della missione ecclesiale, che è quella di trasmettere e di difendere la Verità identificata con lo stesso Cristo, venne esplicitata principalmente attraverso il periodico dei gesuiti, Civiltà Cattolica, secondo linee d’azione riferibili alla seconda settimana degli Esercizi igniaziani.
Il fronte cattolico si impegnò a dimostrare che il fine di formazione umana prospettato dalla massoneria non si concilia con gli ideali evangelici. Che accordo può esserci fra Cristo e Beliar?, scriveva Paolo ai Corinti. Pertanto, nessuna conciliazione era ritenuta possibile da parte della Chiesa con la libera muratoria e con la sua pedagogia espressa in senso laico, cosmopolita ed aconfessionale.
Contro la massoneria accusata di corrompere le coscienze con false istruzioni si schierò Pio IX il quale durante i trentadue anni di pontificato promulgò 116 documenti. Nel <<Singulari quidam>> del 9 dicembre 1854 definì la massoneria come un’istituzione soggetta ad una <<visione illuministica della realtà>> che propone all’uomo nessun’altra autorità al di fuori della propria coscienza, esaltando così il relativismo etico e morale.
Nel Sillabo del 1864 il Pontefice afferma come un gravissimo errore: <<l’approvarsi dei cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto, o per lo meno primariamente, ai fini della vita sociale>>. Questo monito rispecchia quanto afferma il profeta Malachia: <<Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, poiché egli è messaggero del Signore degli Eserciti>> (Ml 2, 7).
Il successore Leone XIII durante il suo lungo pontificato, dal 1870 al 1903, non solo appoggiò il congresso antimassonico svoltosi a Trento nel 1896, ma emanò contro le officine massoniche ben 226 documenti ufficiali, dei quali il più famoso e rilevante è l’ <<Humanus Genus>> del 1884.
In questa enciclica Leone XIII individua nella consorteria massonica la causa prima di tutti i mali della società, poiché da essa proviene lo slancio verso un neopaganesimo naturalistico fondato sulla <<sovranità ed il magistero assoluto dell’umana ragione>>. A questo presupposto si collega la negazione del principio d’autorità, la liceità del divorzio e quindi la disgregazione della famiglia e la corruzione della società.
Nell’enciclica <<Inimica Vis>> dell’8 dicembre 1892, lo stesso Pontefice definisce la massoneria <<setta nemica al tempio di Dio, della Chiesa e della nostra patria … trattandosi di una setta che tutto ha invaso, non basta tener conto di lei nelle difese, ma bisogna coraggiosamente uscire in campo ed affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, opponendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione, congresso a congresso, azione ad azione>>.
L’episcopato lombardo fa propri questi temi in una lettera diffusa la vigilia dell’Immacolata 1896, titolata <<La massoneria ed il socialismo>>, nella quale la libera muratoria viene indicata come la matrice dalla quale si propaga l’insidia della sovversione sociale che agisce in modo particolarmente efficace perché coperta dal segreto iniziatico. Questa setta <<ha invaso i parlamenti, la scuola, tutte le pubbliche amministrazioni, si è assoldata la stampa … ed è responsabile dell’immoralità che dilaga in alto e in basso; calcati e dimentichi i buoni e sollevati i tristi; la gioventù senza ideali, senza carattere, senza pudore, guasta fino alle ossa, ribelle fino dai banchi della scuola, paralizzata l’autorità, scossa la pubblica fiducia, irritate le masse>>.
Civiltà Cattolica rinforza la reazione antimassonica ammonendo che con i massoni al potere <<si avvelenano tutte le sorgenti a cui la gioventù deve attingere l’istruzione e l’educazione>>, che gli affiliati a questa setta sono impegnati a promuovere in ogni modo, ottenendo così <<lo snervamento del popolo per mezzo della licenza e del vizio>>. Per poi concludere: <<Lo scopo del liberalismo, ossia della massoneria, non è politico, è religioso. Vogliono servirsi della libertà per togliere la libertà religiosa>>.
Le pur ferme prese di posizione delle gerarchie cattoliche non riuscirono tuttavia a fermare l’azione intrapresa dalle logge per diffondere quegli ideali che avrebbero dovuto costituire la base della nuova Italia liberale ed anticlericale, in relazione al nuovo ordine mondiale che si sarebbe dovuto perseguire nel corso dei secoli seguenti.
Dopo l’unità d’Italia e gli eventi correlati alla breccia di Porta Pia, logge, officine ed obbedienze varie superando contrasti e divergenze interne si concentrarono per favorire il progresso dell’istruzione popolare attraverso la riforma dei programmi scolastici. Questo per riuscire ad espungere quelli che venivano considerati come residui superstiziosi propri delle precedenti linee pedagogiche correlate al Magistero ecclesiastico.
I promotori di questo “laicismo” che si dichiaravano contrari a crocifissi e rosari, in realtà dovevano ben temerli continuando a portarseli nel cuore. Lo dimostra un fatto, altrimenti inspiegabile. In occasione della breccia di Porta Pia, Pio IX aveva minacciato la scomunica a chi avesse avuto l’ardire di sparare la prima cannonata contro le mura pontificie. Così, il 20 settembre 1870, nessun ufficiale nostrano dei bersaglieri se la sentì di aprire il fuoco. Per aggirare l’evidentemente temuta minaccia di scomunica, venne infine scelto un ufficiale ebreo, Giacomo Segre, già non cristiano di fatto, il quale diede l’ordine di sparare contro Porta Pia.

Contraddizioni a parte, in quanto forza laica e progressista, la massoneria ha perseguito nel tempo la lotta contro il presunto oscurantismo clericale, cercando di mettersi alla guida del governo della nuova Italia, specialmente nel campo dell’istruzione pubblica. Attraverso l’azione pedagogica liberale, i giovani avrebbero dovuto essere formati sull’ideale di laicità di uno Stato non fondato su Dio, ma sull’uomo. Non sulla Croce di Cristo, ma su stelle a cinque punte, tetractis, squadra e compasso e simboli affini.
Già il Gran Maestro Adriano Lemmi (1885-1895) dopo aver dichiarato che nessuna religione doveva essere insegnata nelle scuole: <<ciascuno si faccia il culto a suo modo; lo stato formi il cittadino e non il devoto>>, in una tavola del 1886 dichiarò: <<È necessario che gli uomini messi al governo degli stati siano nostri fratelli o perdano il potere … Le logge massoniche debbono anzitutto scendere in campo ed apertamente lavorare per il più rapido conseguimento dei nostri ideali>>.
Si pensi allora a quanto dovette operare in funzione di tali ideali Michele Coppino (1822 – 1901) membro della Loggia ”Ausonia” dal 1860, che fu ministro della pubblica istruzione per ben cinque volte e che rimase in Parlamento quarant’anni, dal 1860 al 1900. La sua opera al Ministero dell’Istruzione si concentrò sul programma di scolarizzazione di massa, che coronò il precedente sforzo legislativo di personalità quali De Sanctis e Scialoia.
Attorno alla persona di Coppino si radunarono figure di primo piano della Massoneria, fra le quali il Gran Maestro Ernesto Nathan (1895-1904), tutte impegnate ad espungere quelli che venivano considerati ritorni integralistici e contrapposizioni clerico-reazionarie contenuti nei programmi della scuola statale. Tra i parlamentari liberi muratori attivi nel rivendicare il primato della scuola pubblica in materia di istruzione, oltre a Bertani, Aporti e Macchi, si distinse per la forza dell’eloquenza Giovanni Bovio, che tra l’altro declamava: <<La scuola per l’Italia è letteratura, è politica, è religione, è terra, è tutto. Dobbiamo vigilarla, laicizzarla>>.
Nel febbraio 1908, il deputato della sinistra e massone Bissolati presentò una richiesta formale per abolire l’insegnamento religioso nelle scuole. La sua mozione venne tuttavia respinta dopo accesa discussione, nonostante Ferrari, il Gran Maestro del Grande Oriente, avesse sollecitato il centinaio di deputati massoni, ministro della pubblica Istruzione Luigi Rava compreso, ad appoggiarla incondizionatamente. Questo “incidente” fu talmente grave da provocare la storica fuoriuscita dal Grande Oriente d’Italia di palazzo Giustiniani, del Luogotenente del Rito S..A..A.., Saverio Fera, insieme a 21 massoni fregiati del 33° grado, i quali fondarono la Gran Loggia d’Italia, di piazza del Gesù.
Anche dopo la scissione del Grande Oriente, la polemica con i cattolici continuò comunque nel corso degli anni. Nel 1945, la massoneria di Piazza del Gesù cominciò tuttavia a smorzare i toni. Il Gran Maestro Palermi dichiarava infatti di accettare e rispettare le condizioni che consentono alla Chiesa un ruolo di preminenza nella vita della nazione. La massoneria di Palazzo Giustiniani, invece, attraverso il Gran Maestro Lay, notificava di non poter dimenticare il legame che unì la Chiesa cattolica con il fascismo il cui frutto, il concordato lateranense, era ancora in atto.
In toni tiepidi o accesi, la controversia tra scuola statale e privata (cristiana) non si è ancora conclusa. Non sono pochi infatti a credere ancora che la religione cattolica posta a fondamento dell’istruzione di base possa ledere i diritti delle minoranze religiose e rendere la scuola sempre meno libera perché confessionale. Come se il discorso non valesse al contrario. Se infatti non si formano le persone secondo i canoni della dottrina morale e sociale cristiana, si formano secondo le linee fondamentali del laicismo massonico che ledono i diritti della maggioranza religiosa cattolica.
Non sembra tuttavia che le nuove generazioni abbiano tratto beneficio dalle moderne linee pedagogiche. Esse manifestano spesso disorientamento e sfiducia nei confronti di un futuro senza prospettive, che rimanda al disagio di una “assenza” che non può essere ignorata. La città terrena infatti eretta su principi espressi dalla ragione umana traballa sempre più, in assenza di fondamenta piantate sulla Roccia. In mancanza di un riferimento assoluto identificabile con la persona divina del Cristo, anziché sull’autorità impersonale dello Stato. Non per niente <<Senza di me non potrete fare nulla>>, è il monito cristiano che continuerà a risuonare fino alla fine dei tempi.