Secondo Roland Barthes, Einstein sarebbe riuscito a trovare la parola magica che nasconde il segreto del mondo. Da qui, le ragioni del suo mito, nel quale è possibile ritrovare i temi classici dello gnosticismo, quali l’unità della natura, la possibilità ideale di una riduzione fondamentale del mondo, l’idea che il sapere totale possa svelarsi solo d’un colpo, come una struttura che ceda bruscamente.
Sempre Barthes ribadisce che nel mito einsteiniano confluiscono tutti i contrasti e le contraddizioni possibili, dal momento che egli viene reputato nel contempo mago e macchina, cercatore permanente e scopritore inappagato, scatenatore del meglio e del peggio, cervello e coscienza. Per Barthes, Einstein esaudisce i sogni più contraddittori, riconcilia miticamente la potenza infinita dell’uomo sulla natura e la “fatalità” di un sacro a cui questi non può ancora sottrarsi.
Non si può negare peraltro che già dall’aspetto di questo eccentrico scienziato, traspare un che di strano. Capelli al vento, occhi fissi, persi nel vuoto. Insomma, un “qualcosa” di diverso sul quale sono state costruite leggende, forse neanche del tutto infondate. Leo Talamonti ad esempio attribuisce ad Einstein addirittura doti medianiche, dal momento che nel corso di una memorabile seduta medianica, fece sollevare un tavolo. Benché convinto pacifista ed antimilitarista, e fin dagli anni giovanili insofferente a qualunque disciplina, tranne, forse, quella delle logge iniziatiche, è arcinoto che Einstein nel 1939 sollecitò Roosevelt a promuovere quegli esperimenti nucleari che culminarono il 6 agosto 1945, con l’esplosione atomica che distrusse Hiroshima. Uno spiacevole incidente di percorso nel progresso della scienza (bellica). Progresso del quale migliaia di vittime innocenti avrebbero volentieri fatto a meno, potendo. Nella Russia di Stalin, dopo un primo rifiuto “ideologico” nei confronti della teoria di Einstein, considerato esponente di una <<scienza borghese ed idealista>>, toccò a Lavrentij Berija, ombra oscura di Stalin, capo della polizia segreta e responsabile del progetto atomico sovietico, ribaltare dialetticamente questa teoria per un fine “nobile”: <<dotare l’URSS dell’arma nucleare di cui l’America già disponeva>>.
Giulietto Chiesa ha scritto che il ribaltamento dialettico dell’interpretazione della relatività venne operato dai due futuri premi Nobel per la fisica, Sakharov e Landau. I quali inviarono a Berija una lettera, ove si afferma che la teoria di Einstein: <<ha svolto un ruolo rivoluzionario nello sviluppo della fisica, individuando nuove caratteristiche fisiche dello spazio e del tempo e stabilendo le leggi di movimento delle particelle veloci. Si tratta di una teoria profondamente materialistica nella sua sostanza>> (G. Chiesa, Il boia e lo scienziato, <<La Stampa>>, Torino 13 novembre 1994, p. 22).
Non intendiamo tirare la coperta né da una parte, né dall’altra, all’interno di una dialettica che contrappone l’idealismo al materialismo, in vista di una sintesi superiore. Ma solo rimarcare la presenza di un fondo ideologico all’interno delle principali teorie scientifiche. Le quali apparentemente interpretano il mondo dei fenomeni secondo leggi matematiche, mentre sostanzialmente lo fanno rientrare all’interno della ideologia che le ha ispirate.
Proprio per questa implicita carica ideologica, alcune teorie, e non altre, vengono riprese ed amplificate dalla propaganda mediatica, per trasmettere le loro specifiche conclusioni, in genere rivoluzionarie, ad un pubblico generico e spesso sprovveduto, che risulta così sollecitato a ribaltare, l’interpretazione comune della realtà. A prezzo di una grande confusione. Questa particolare sorte è toccata alla relatività ed al suo famoso Autore. Mentre invece teorie altrettanto importanti, come la meccanica quantistica e le idee di Bohr ed Heisemberg, ancora oggi sono quasi del tutto trascurate dalla propaganda mediatica, e pressoché sconosciute al di fuori della cerchia degli specialisti.
Di certo, alcune conclusioni della teoria di Einstein così suggestive e così paradossali non potevano che essere rilanciate, e travisate, da una stampa già allora interessata a notizie sensazionali e scandalistiche. La contrazione degli intervalli spazio-temporali, i fantastici effetti attribuiti alla velocità della luce, il paradosso dei gemelli, tanto per citare alcune idee einsteiniane, sono state riprese nel corso di questo secolo in ogni ambito ed in ogni settore. Persino dai Beatles, nel loro film musicale, Yellow submarine. Fino a far confondere nella mentalità comune, erroneamente, la relatività scientifica con il relativismo. Infatti, l’ipse dixit: “tutto è relativo”, per molti sprovveduti, costituisce ormai una verità evidente, dimostrata perfino dalla scienza.
D’altra parte, non è che Einstein abbia fatto molto per arginare l’ondata di equivoci e confusione creata dalla stampa e dai media nell’opinione pubblica, più incuriosita che interessata a tali spettacolari conclusioni. Come Galileo che, a differenza dell’altezzoso Newton, rese non solo pubbliche, ma anche saporite ed accattivanti le sue riflessioni scientifiche, anche Einstein si preoccupò di fornire una versione divulgativa della propria teoria.
Nel tentativo di rendere gradevole e accessibile la sua formalizzazione teorica circa il continuum spazio-temporale, a volte con tinte persino ironiche, Einstein sembra quasi indurre a credere che le conclusioni valide per le particelle che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce, siano estensibili anche ai corpi macroscopici inseriti nella dimensione reale. Dove invece la fisica di Einstein si riduce a quella di Newton.
Einstein crea questo equivoco, utilizzando treni, banchine, osservatori ideali, ovvero elementi tipici della dimensione quotidiana, per dimostrare la validità di una teoria straordinaria. Valida cioè solo per velocità prossime a quella della luce, e dunque interdette a quegli stessi corpi utilizzati nei suoi famosi esperimenti ideali.
Un esempio ci è dato quando egli raffronta la velocità della luce con quella di un treno che: <<si muove rapidamente verso il raggio di luce che proviene da B, mentre corre avanti al raggio di luce che proviene da A>> (A. Einstein, Relatività – Esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1964, p. 44). Come se la velocità di qualunque treno non fosse irrilevante e trascurabile se rapportata a quella della luce, che lo stesso Einstein altrove ha definito: <<praticamente infinita dal punto di vista dell’esperienza quotidiana>> (A. Einstein, Pensieri degli anni difficili, p. 235).
Il linguaggio utilizzato da Einstein in questo opuscolo divulgativo, quando la situazione lo rende possibile, diventa attraente e lieve. Addirittura spiritoso. Che dire infatti quando, nelle pagine iniziali, per cercare di spiegare cosa debba intendersi per “sistema inerziale”, scrive: <<Se una nuvola ozia su Piazza Colonna, potremo determinare la posizione relativa alla superficie della terra innalzando una pertica (!), perpendicolarmente alla piazza, fino a raggiungere la nuvola>> (A. Einstein, Relatività …, citato, p. 24 e sgg).
È evidente che il pretendere di misurare l’altezza di una evanescente nuvola nel bel mezzo di una piazza mediante l’ausilio di una ingombrante e rigida pertica, costituisce un esempio alquanto bizzarro di divulgazione scientifica.
Ma ci sono altri aspetti curiosi di quest’opera da mettere in evidenza. Ad esempio quando, per chiarire cosa debba intendersi per “Concetto di tempo nella fisica”, lo scienziato mette in scena un vero e proprio “fumetto”. Che inizia con la seguente asserzione: <<Il fulmine ha colpito le rotaie della nostra linea ferroviaria in due punti A e B molto lontani l’uno dall’altro. Aggiungo l’affermazione che i due fulmini sono avvenuti simultaneamente>>.
Trascuriamo la banale osservazione che non si capisce se i fulmini siano due o uno. Ma notiamo che, a parte questo “cavillo”, Einstein, oltre ad aver già stabilito i punti A e B dove il fulmine è caduto, afferma anche che i due fulmini sono simultanei.
Egli dunque pone come condizione iniziale che i due lampi siano simultanei, anche se non ha ancora chiarito cosa debba intendersi per simultaneità. Ma se stabilisce in precedenza che i fulmini cadano simultaneamente, che senso può avere il tentativo successivo di definire un metodo operativo in base al quale stabilire la verità di un’ipotesi già data per vera, e di una realtà ormai dissolta?
Come rendendosi conto dell’insidiosità del gorgo creato, lo scienziato sembra voler correre ai ripari. Rendendo però l’evento dei fulmini ancora più paradossale e divertente. Egli infatti inserisce la fantastica figura di <<un abile meteorologo [in grado di prevedere] dopo ingegnose considerazioni, che il fulmine deve sempre colpire simultaneamente i due punti A e B>>.
Le carte devono quadrare in tutti i modi, anche a costo di ricorrere ad ipotesi davvero incredibili. Infatti, se è già molto improbabile che un fulmine si sdoppi e colpisca sempre simultaneamente due stessi punti molto distanti fra loro, è addirittura inverosimile pensare che il fulmine cada sempre, a ripetizione, in questi punti, sulla base delle previsioni di un tanto abile quanto fantascientifico meteorologo.
Ma giungiamo al cuore del “fumetto scientifico” escogitato dal famoso fisico. Che così conclude la sua esperienza ideale: <<Dopo una certa riflessione, il lettore farà la seguente proposta, per verificare la simultaneità. Con una misura effettuata lungo le rotaie, verrà calcolato l’intervallo che collega i punti A e B, e verrà messo un osservatore nel punto di mezzo M dell’intervallo A e B. Quest’osservatore verrà fornito di un dispositivo (per esempio due specchi inclinati a 90°) che gli permetta di osservare visualmente i due punti A e B contemporaneamente>>.
Il metodo geometrico proposto da Einstein sembra del tutto valido. Ma solo sulla carta. Infatti, solo trasformando gli eventi fisici in punti di un segmento, tutto rientra nel suo discorso. Tuttavia, l’ambiguità del precedente enunciato emerge chiaramente quando l’Autore, dopo aver suggerito l’uso del dispositivo a specchi, finalmente afferma che: <<Se l’osservatore percepisce i due bagliori del fulmine nel medesimo istante, essi saranno allora simultanei>>.
Sembra un risultato lampante, che non lascia spazio a nessuna replica. Mentre invece, Einstein ha creato una situazione del tutto circolare ed inverosimile. Infatti, l’osservatore, in conclusione, non potrà osservare i bagliori del fulmine, per il semplice fatto che il lampo è caduto all’inizio del suggestivo esempio. A meno che si sia disposti a credere che davvero un lampo possa cadere e ricadere a volontà sempre negli stessi due punti lontani fra loro, così come prospettato da Einstein nelle sue fantasie razionali. Nelle quali la realtà diviene visione, e la visione realtà. Per poi dissolversi insieme, all’ombra di uno slancio prometeico, sfociante nelle contraddizioni tipiche dei miti pitagorici. Dai quali scienziati ed "iniziati" consuetamente attingono.