sabato 2 ottobre 2010

NEWTON E LA SCHOLA ITALICA












Newton era profondamente persuaso che l’universo contenesse una sorta di codice segreto, decodificabile attraverso lo sviluppo del pensiero e del linguaggio matematico, attraverso il quale giungere a penetrare le chiavi mistiche della natura. Per tale motivo, fin dagli anni giovanili, per circa venticinque anni, fino alla pubblicazione dei Principia (1687), egli sviluppò in modo parallelo e complementare sia gli studi di matematica ed astronomia, che quelli propri della tradizione ermetica ed iniziatica che il movimento rosacrociano in quel periodo stava diffondendo in tutt’Europa. 

Questa affannosa ed instancabile ricerca a tutto campo, venne perseguita da Newton attraverso una disciplina interiore così rigida da costituire una sorta di pratica ascetica. A riguardo, egli scrisse: <<Coloro che vanno alla ricerca della pietra filosofale [sono] per le loro stesse regole tenuti a [condurre] una vita severa e religiosa>> [Citato in M. White, Newton , l’ultimo mago, Rizzoli, Milano 2001, pagina 171]. Già ombroso di carattere, lo scienziato applicò alla lettera tale regola, non senza conseguenze personali.

John Maynard Keynes, dopo aver letto durante la metà del secolo scorso i manoscritti inediti relativi alle ricerche esoteriche di questo insigne scienziato, lo definì più volte e senza giri di parole come una persona nevrotica, che celava sotto le sembianze dello scienziato quelle di un vero e proprio “mago” rinascimentale che, testualmente, utilizzava: <<un rigoroso metodo nella sua pazzia>> [J. M. Keynes, Isaac Newton, l’uomo, in <<l’Astronomia>>, Milano, aprile 1987, 65, p.9.].

Attribuire a Newton qualità proprie di una persona nevrotica, non è cosa da poco. Consideriamo peraltro l’enorme l’influsso che tale personaggio ha esercitato ed esercita sulle nostre menti. Nessuno infatti al giorno d’oggi non può dirsi newtoniano, dal momento che, già nei corsi di studi secondari, si insegnano le sue leggi del moto, la sua concezione dinamica dell’universo e via dicendo. Non per niente, in una delle ultime statistiche, Newton risulta il secondo personaggio più importante della storia, dopo Maometto, e addirittura prima di Gesù Cristo [M. Hart, Gli uomini che hanno cambiato il mondo, Newton Compton, Roma 1997].


Gli inquietanti spiragli aperti da Keynes, circa gli aspetti oscuri della personalità del famoso scienziato, se opportunamente considerati, portano a conclusioni interessanti alle quali è bene alludere, anche correndo il rischio di essere fraintesi. Sembra probabile infatti che la mentalità fortemente iniziatica di Newton, formatasi in seguito all’intenso studio delle opere dei maghi-sacerdoti egizi e mistagoghi ellenici, abbia influenzato, se non proprio indirizzato, la sua eccellente produzione scientifica consentendogli di perseguire i noti risultati, nonché la nomina a Presidente della Royal Society, che mantenne per ventiquattro anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1727.


Il corpus scientifico newtoniano dunque sembra essere fortemente condizionato da una concezione mitica dell’universo riconducibile, per ammissione dello stesso scienziato, alla tradizione pitagorica. Persino la sua famosa legge di gravitazione universale, più che dalla caduta della fatidica mela, rientra in questa genesi ideologica. È Newton stesso ad affermare che Pitagora aveva scoperto e poi occultato questa legge, trasmettendola segretamente all’interno della sua Schola Italica ai suoi discepoli, i quali la tradussero in formule criptiche <<per sottrarla alle irrisioni del volgo. Le immagini del Sole come Apollo Musagete che suona la lira dalle sette corde, o come Pan che soffia al suo flauto dalle sette canne erano, evidentemente, un’allegoria del sistema eliocentrico con i sette pianeti>> [A cura di P. Casini, I. Newton - Il Sistema del Mondo e gli scolii classici, Edizioni Theoria, Roma 1983, pagina 13].


Se Newton ripropose in rigorosi termini analitici le concezioni dell’universo proprie dei pitagorici, che in sostanza tramandavano la cosmologia e la tradizione magica egizia, allora giustamente il Koyré mette a fuoco il mutamento spirituale determinatosi in seguito alla distruzione del cosmo aristotelico causato dall’imporsi della filosofia newtoniana, di matrice illuministica e massonica. Demolito infatti il cosmo medievale, inteso come un insieme finito ed armonico, fondato su una struttura spaziale ordinata ad una gerarchia di perfezione e valore, prese avvio l’idea di un universo infinito ed “aperto”, di tipo bruniano, unificato dall’identità delle sue leggi interne: <<nonché la sostituzione della concezione aristotelica dello spazio – insieme differenziato di luoghi naturali – con quella della geometria euclidea – mera estensione infinita ed omogenea –, da quel momento considerata identica allo spazio reale del mondo>> [A. Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano1970, p. 8.].


L’influsso dell’ambigua Schola pitagorica nell’opera scientifica di Newton come dicevamo è rilevante. Già a partire dalla fondamentale definizione di “Quantità di materia”, contenuta nei Principia, lo scienziato allude ad un misterioso ente, <<spirito sottilissimo>> comune a tutti i corpi che penetrerebbe in misura diversa: <<attraverso gli intervalli delle parti>>, determinando così il “pieno” ed il “vuoto” della materia.


Sul concetto di “spirito sottilissimo”, assai simile all’alchemico “spirito universale”, Newton si sofferma nel famoso Scolio conclusivo dei Principia. Ed è alquanto singolare che proprio in questo passo, che contiene la celebre affermazione: <<Non formulo ipotesi>>, egli ribadisca l’esistenza di un insensibile e non rilevabile <<sottilissimo spirito che pervade i corpi densi e in essi si nasconde, per la cui forza ed azione le particelle dei corpi si attraggono reciprocamente fra loro a distanze minime e aderiscono, una volta divenute>> [I. Newton, Il sistema del mondo e gli scolii classici, Edizioni TheoriaRoma 1983, p. 161.]


In un altro Scolio classico, Newton allude ad antichi sapienti i quali sarebbero stati in grado di interpretare la natura secondo una <<filosofia mistica>> all’interno della quale si postulava l’esistenza di <<un certo spirito infinito>> interno a tutti i corpi e nel contempo in grado si contenere, vivificandolo, il mondo intero. Lo scienziato illustra ancora questa convinzione affermando che: <<Questo spirito fu generato dal supremo nume, secondo il poeta citato dall’apostolo: in esso viviamo, ci muoviamo e siamo. I filosofi insegnavano che la materia si muove in questo spirito infinito ed è agitata da questo spirito in modo non incostante, ma armonicamente, cioè secondo le precise leggi geometriche della natura>> [Ibidem, pp. 155 e 156].


Lo “spirito sottilissimo”, non del tutto corpo e non del tutto anima, compreso fra la parte immateriale dell’anima e quella materiale del corpo, al quale accenna Newton, costituisce come dicevamo un elemento centrale della tradizione alchemica. Gli alchimisti consideravano infatti questo ente etereo come qualità intermediaria, sintesi ed al tempo stesso “collante” fra materia grezza e puro spirito. Di natura tenue e sottile, lucido e trasparente, esso conterrebbe <<tutte le facoltà degli elementi e dei corpi misti ed elementari: e che altro non fosse che un vero e proprio spirito di questo mondo, che a tutte le cose desse la vita e generasse>>[Da Il discorso sopra il “laphis philosophorum”  di G. T. Cavazza, in Alchimia ( a cura di) A. De Pascalis e M. Marra, Mimesis, Milano 2007, p. 232 e 252.].


La liberazione di questo spirito sottilissimo di matrice solare e dunque assimilabile al metallo “perfetto”, l’oro, costituisce il primo stadio dell’operazione mistica perseguita dagli alchimisti. Il secondo consiste nell’inserire e condensare questa sorta di “etere” in un elemento grezzo di natura inferiore, così da  rendere possibile la trasformazione del metallo vile in oro. Questo simbolismo si realizzerebbe attraverso successive e ripetute liquefazioni e condensazioni operate nella fucina interiore, nel mistico atanor.


Nella simbologia alchemica, sciogliendo e cristallizzando il metallo, attraverso purificazioni successive, vengono fatte sciogliere altresì le rigidità mentali della persona che opera tali operazioni, per ricostruirle in base ai dogmi legati all’iniziazione magica. Ai quale però non corrisponde come millantato la realizzazione dell’uomo edenico, razionalmente emancipato. Bensì, l’involuzione dell’uomo, immagine di Dio, nell’uomo prometeico, nel quale agirebbe il cosiddetto spirito sottilissimo aureo e solare.


L’attaccamento di Newton alla sapientia pitagorica rende ragione al giudizio espresso da T. Doobs: <<Le forze di Newton assomigliano molto alle simpatie ed antipatie segrete che si trovano nella letteratura occultista rinascimentale>> [T. Doobs, in Mircea Eliade, Il mito dell’alchimia, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 36.], ed in un certo senso conferma quanto dicevamo inizialmente. Ossia, che la ricerca scientifica newtoniana venne fortemente influenzata e diretta dalle conoscenze esoteriche che lo scienziato traeva direttamente dal bagaglio del Corpus Hermeticum, sviluppi alchemici e cabalistici compresi. Si può comprendere allora come l’universo-macchina concepito da Newton esprima davvero una visione del mondo del tutto slacciata al dogmatismo religioso ortodosso. Ma strettamente connessa a quello ermetico e naturalistico.


È indiscutibile, che Newton fu abilissimo nel coltivare e sviluppare la ricerca fisica attraverso il linguaggio induttivo e matematico. Così come lo fu, per quanto riguarda l’indagine delle operazioni alchemiche tratte dalla tradizione magica egizia. Queste due abilità, in genere ritenute incompatibili, sono state perseguite dallo stesso illustre personaggio in misura pressoché analoga. Risulta allora difficile separare l’una dall’altra all’interno del corpus newtoniano. E risulta ancora più arduo il voler scindere il pensiero e la mentalità di Newton esaltando una parte, quella razionale, ed ignorando l’altra, quella irrazionale e magica. Infatti, ogni frutto è espressione del nutrimento assorbito dalle radici della stessa pianta.


Dietro la considerevole opera scientifica di Newton sembra dunque celarsi, pur rimanendo ad essa collegato, tutto l’humus irrazionale, magico, pseudo-mistico, alla cui investigazione questo grande scienziato si dedicò con ardore. Conseguendo, è lecito supporre visto l’eccellenza dell’intelletto in questione, risultati altrettanto notevoli di quelli scientifici. D’altra parte, una ragione deve pur esserci, se già il poeta suo conterraneo e quasi coevo, William Blake, definì Newton come: <<uno dei grandi condottieri dell’ateismo, ovvero della dottrina di satana>>.


La rinascita del pitagorismo nell’ambito culturale e sociale venne messa in atto nel settecento inglese dalla cerchia di alchimisti londinesi, ai quali Newton era ben collegato[Cfr. G. Galli, La Magia ed il Potere, Landau, Torino 2004, p. 39]. Nessuno più di lui era convinto di trovare nel pitagorismo l’unità della scienza, della politica e dell’etica, e questa sua convinzione venne dimostrata da suo silenzio <<davvero pitagorico, con cui avvolse i decenni di studi alchemici>>[M. Nicosia, La tradizione pitagorica e la Massoneria, in Le radici esoteriche della massoneria, Atanòr, Roma 2003, p. 73]


Non senza ragione dunque Lord Keynes giudicò Newton come uno <<strano spirito, che nello stesso tempo in cui raggiungeva così alti traguardi, si faceva tentare dal Diavolo a credere di poter svelare “tutti” i segreti di Dio e della Natura con la sola forza della ragione. Era Copernico e Faust, in un’unica persona>>[J. M. Keynes, citato, p. 16]


Un genio ambiguo dunque stando a questo pur autorevole giudizio. Di giorno impegnato nel diffondere il razionalismo scientifico nelle vesti di prestigioso professore del Trinity College. Di notte, <<figlio della perdizione>> (2 Ts 2, 3-4), segretamente dedito alle ricerche alchemiche che si faceva Dio, sotto il superbo e ridondante pseudonimo: <<Jeova Sanctus Unus>> [M. White, citato, p. 197].