Dionigi l’areopagita per molto
tempo è stato ritenuto quel discepolo che si convertì al cristianesimo, dopo
aver ascoltato il discorso di san Paolo nell’areopago di Atene. Si è creduto
che egli avesse sviluppato i suoi scritti sulla base delle rivelazioni ottenute
dall’Apostolo delle genti. Il quale in modo straordinario era diventato
partecipe dei misteri divini, essendo stato rapito fino al terzo cielo, ove
aveva udito parole sublimi ed irripetibili, cioè non trasmissibili (2 Cor 12,
2).
L’equivoco si basa sul fatto che,
verso la fine del V secolo, comparvero alcune opere che riportavano come firma Dionysius. Esse facevano spesso
riferimento a san Paolo ed a Timoteo “confratello nel sacerdozio”. Inoltre, in
alcuni passi delle Lettere, indirizzate a nomi di personaggi che risalgono al
tempo degli apostoli, questo Autore scriveva di essere stato testimone
dell’oscuramento del Sole che si manifestò alla morte di Gesù Cristo. Tutto
questo fece pensare che egli fosse proprio quel Dionigi membro dell’Areopago,
la conversione del quale è affermata negli Atti degli Apostoli (17, 34).
Secondo un’altra versione, fu l’abate Ilduino (circa 815) che, per accrescere
il prestigio dell’abbazia dedicata a san Dionigi martire, utilizzò le opere dell’autore
mistico che si celava dietro lo pseudonimo di Dionigi, donate a Ludovico il Pio
nell’ 827 dall’imperatore bizantino.
Tuttavia, le contraddizioni
emerse dalla lettura di questi importanti scritti fecero dubitare
dell’autenticità di tale attribuzione. Oggi si ritiene che vennero redatti da
un filosofo neoplatonico nello stesso secolo nel quale comparvero: il V. Per
tale ragione, tale autore viene comunemente denominato lo Pseudo-Dionigi. Edith
Stein nel suo saggio: “La Simbologia
Teologica dell’Areopagita e i suoi reali presupposti”, elaborato nel
Carmelo di Echt, nel 1941, raccomanda come premessa di superare pregiudizi e
giudizi negativi riguardo a questo pseudo autore, per poter rilevare nonostante
tutto la presenza di “uno spirito superiore” all’interno del corpus dionisiano, composto come è noto da
quattro trattati maggiori e dieci lettere.
Tale ulteriore apprezzamento
rivolto ad un autore che in ogni modo ingannò la buona fede di molti
spacciandosi per altri, lascia supporre che il vero Dionigi abbia
effettivamente redatto degli scritti originali relativi alle gerarchie
angeliche, ritrovati ed integrati con parti spurie dall’anonimo neoplatonico
che in seguito li diffuse senza segnalare il suo contributo, generando così
l’equivoco. In queste opere dunque ci sarebbe una parte originaria ed un’altra
fittizia. Questa possibilità potrebbe spiegare perché autorevolissimi Padri e
dottori della Chiesa abbiano ritenuto autentici i libri di tale autore, traendo
da essi ispirazione per approfondire soprattutto la dottrina angelica. San
Gregorio Magno, sant’Alberto Magno, san Tommaso d’Aquino hanno infatti
rielaborato le definizioni delle schiere angeliche presenti nel libro Gerarchia Celeste, che ritenevano sicuramente
essere stato redatto nel I secolo proprio da san Dionigi l’Areopagita, primo
vescovo di Parigi e martire a Montmartre.
Il Doctor Angelicus, che ottenne molte rivelazioni per grazia divina
ed investigò i passi più oscuri delle Scritture, ripetutamente, a partire dal
capitolo XVIII della sua opera sugli angeli, “Sostanze Separate”, cita le opere di Dionigi per definire l’origine
delle sostanze spirituali secondo la fede cattolica. Possibile quindi che un
personaggio così eminente in santità e dottrina possa essere incorso nell’errore
grossolano di considerare vere affermazioni false, di confermare ed
approfondire attestazioni di un autore fittizio, credendo risalissero ad un
santo ammaestrato dall’Apostolo delle Genti, se in esse non ci fossero verità
effettivamente ottenute per rivelazione divina, semmai mescolate ad altre di
natura incerta, che peraltro San Tommaso non considerò?
L’Aquinate infatti rilevò la
parte positiva dell’opera dionisiana, per elaborare la sua dottrina angelica,
divenuta parte integrante della dottrina cattolica. I contenuti negativi della
dottrina dello pseudo-Dionigi vennero invece sviluppati da speculatori divenuti
autorevoli nell’ambito della cultura moderna, per essere andati contro il senso
comune e l’ordinaria interpretazione della realtà. Come ad esempio il cardinale
Cusano, il quale, come abbiamo visto, trasse spunto da Dionigi per affermare la
via negativa per giungere a Dio, la dotta ignoranza, il tema della coincidenza
degli opposti comune alla magia, fino a supporre il movimento della Terra e la
relatività dello spazio, alterando così il senso della realtà percepita dai
sensi a favore di quella immaginata. Su questa linea si introdusse anche Marsilio
Ficino, estimatore del Cusano, propugnatore della metafisica solare, il quale fece
altrettanto spesso riferimento a Dionigi per dare fondamento teologico al suo
tentativo di interpretare in chiave ermetica le tre gerarchie angeliche, al
fine di conciliare Cristianesimo e Platonismo.
Come è noto, le principali idee
contenute nell’opera dello Pseudo-Dionigi riguardano l’assoluta inaccessibilità
di Dio, il principio di emanazione e ritorno a Dio di ogni ente e la concezione
gerarchica del mondo, “l’intero ordine
delle cose create e che esistono” (Gerarchia
Ecclesiastica 1, 3). Poiché la gerarchia ha il compito di ricondurre al
Creatore tutto il creato, Dio manifesta il suo Essere innanzitutto ai puri
spiriti a Lui più vicini, dotati di un’intelligenza superiore a quella degli
uomini e nei quali la luce divina non incontra resistenze interiori. Ad essi spetta il compito di trasmettere l’illuminazione
ricevuta agli spiriti di grado inferiore, fino agli ordini umani. Alla
gerarchia angelica corrisponde la gerarchia Ecclesiastica, i cui membri sono
chiamati al servizio liturgico. Per Dionigi infatti la rivelazione giunge agli
uomini per mezzo degli angeli, ma anche attraverso gli uomini chiamati al
sacerdozio ed alla celebrazione della sacra liturgia. Afferma la Stein nell’opera
citata: “Soltanto gli spiriti celesti e
gli ordini consacrati della Chiesa trasmettono la potenza gerarchica: sono
infatti messaggeri di Dio invitati a portare la luce divina della creazione”
.
Come abbiamo detto, San Tommaso non
segue ciecamente la dottrina angelica dionisiana, ma ne trae solo gli argomenti
centrali, quali il principio della gerarchia universale e l’immaterialità degli
angeli, i quali possiedono un maggior grado di conoscenza di Dio dovuta alla
loro perfetta separazione dalla materialità. Proprio da questo concetto san
Tommaso prenderà spunto per stabilire l’influsso delle sostanze separate
sull’uomo, in quanto la loro natura spirituale le rende in grado di conoscere
in modo semplice e diretto le idee divine in Dio stesso, assumendo così la
missione divina di illuminare e guidare gli uomini verso la salvezza eterna.
S. Tommaso definì i rispettivi
compiti delle gerarchie, che non comparivano nell’opera dello Pseudo Dionigi. Il
Santo afferma che le tre gerarchie angeliche, a loro volta suddivise in tre
cori, sono state tratte dal tesoro della Sapienza dall’ineffabile Creatore ad
immagine e lode della Santissima Trinità. Nella sua famosa Summa il Dottore Angelico specifica il concetto di gerarchia, interpretandola
innanzitutto come “principato sacro”. Angeli ed uomini non appartengono alla
stessa gerarchia ed anche tra gli angeli esistono tre diversi gradi gerarchici.
E come in ogni genere vi sono tre livelli, il supremo, il medio e l’infimo,
così ogni gerarchia è costituita da tre ordini. San Tommaso, dopo aver
affermato che la Scrittura distingue gli ordini degli angeli in funzione dei
loro compiti e delle loro perfezioni spirituali, cita direttamente
l’Areopagita:
“Ecco la distinzione degli ordini angelici secondo San Dionigi: I Gerarchia: Serafini, Cherubini,
Troni. II Gerarchia: Dominazioni,
Virtù, Potestà. III Gerarchia:
Principati, Arcangeli, Angeli” (S. T. p. I, q. 108, art. 6).
Questa è dunque la struttura
gerarchica relativa agli angeli confermata da san Tommaso e da tutti i dottori
della Chiesa e divenuta parte integrante della dottrina cattolica alla luce di
quanto stabilito dal Concili Laterano IV e Vaticano I. L’Aquinate afferma
questa verità anche in una sua famosa preghiera che inizia proprio con una lode
cosmologica: “Creatore ineffabile, che
dai tesori della tua Sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli e le hai
collocate con mirabile ordine sopra l’Empireo ed hai disposto con grandissima
precisione tutto l’universo …”. L’Empireo corrisponde al cielo più alto,
luogo di residenza degli angeli e delle anime sante. La cosmologia medievale
postulava infatti la Terra circondata da sette sfere nelle quali dimoravano
rispettivamente i pianeti Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno.
Sopra queste sfere era posizionata l’ottava sfera, che comprendeva le stelle
fisse. Sopra le otto sfere, era posizionato il nono cielo, il Primum Mobile, dal quale scaturiva e
veniva mantenuto il movimento dei cieli sottostanti. Sopra questi nove cieli
stazionava la sfera dell’Empireo immateriale ed infinito a differenza dei cieli
sottostanti, materiali ed in perpetuo moto, fuori dallo spazio e dal tempo,
eternamente immobile.
Anche Dante negli ultimi canti
del Paradiso, afferma l’esistenza dell’Empireo, ove si troverebbero nove
tribune a forma di anfiteatro, i petali della “candida rosa”, nelle quali
risiederebbero i beati. Il poeta dispone
inoltre le gerarchie dei nove angeli su nove cerchi concentrici, ad immagine
dei nove cieli planetari. Il centro di questa visione è riservato al luogo
luminosissimo che rappresenta Dio. Il Cosmo Angelico postulato da Dante è un
cosmo centrato in Dio, sorgente e fine del tutto universale. È infatti proprio
l’inaccessibile luogo divino, il Centro Supremo, dal quale inizia, prende vita
ed intorno al quale ruota la totalità della creazione. Esso costituisce il Fattore
unico, fondamentale ed assolutamente non trascurabile al fine di comprendere la
struttura degli enti creati. Una cosmologia che rispecchi la fede in Dio
creatore non può certamente trascurare la Fonte suprema dalla quale tutto
discende, prende vita ed al quale tutto ritorna.
I cristiani non sembrano aver
abbastanza considerato dal punto di vista cosmologico l’importanza di questo
Elemento centrale, dal quale l’Essere autosussistente comunica concretamente agli
enti l’esistenza. Ultimamente essi hanno delegato l’indagine del settore
cosmologico agli scienziati, sminuendo ed irridendo le rivelazioni e
speculazioni dei Santi, alle luce delle conclusioni scientifiche, le quali
inondando il cielo di dati, diagrammi, teorie, leggi, hanno offuscato l’immagine
di Dio che si riflette nel mondo e nelle Scritture a partire dal Trono della
sua Gloria.
Anche la cosmologia convalidata
nei lunghi secoli medievali non ha valorizzato il Centro del Mondo e
dell’Esistenza, attribuendo il luogo centrale alla Terra e ponendo l’Empireo sulla
circonferenza esterna che sovrasta il tutto, seguendo le indicazioni cosmologiche
di Aristotele in senso lineare. Questo è comprensibile perché non si sapeva che
esoteristi, gnostici, pitagorici e forse Aristotele stesso, autore di opere
acroamatiche, intendessero il modello omocentrico in altro senso, non secondo
l’immagine comune presentata ai non iniziati. I Pitagorici, infatti, adoratori
del Sole centrale, utilizzavano un doppio linguaggio, lasciando trasparire
all’esterno l’opposto di quanto celebravano all’interno delle loro cerchie
occulte, sigillate dall’inviolabile segreto iniziatico. È possibile dunque che Pitagorici
ed affini intendessero il modello geocentrico in senso inverso rispetto alla
circonferenza ed al centro, ponendo cioè il Sole al centro della Terra, intesa
come circonferenza universale cava al suo interno.
I maghi, sacerdoti del
paganesimo, erano invece ben consapevoli dell’importanza del luogo centrale. In
esso avevano posizionato il sacro fuoco, il dio Sole-Eros, “il principe delle
potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2,
2), al fine di sfruttare al meglio con evocazioni e riti i favori degli angeli-demoni
e le sfuggevoli energie psichiche che circolano nel cosmo racchiuso nella sfera
del mondo. A questa categoria di adoratori di Eros, attorno al quale gravitano
le cerchie degli “spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,
12), faceva capo i personaggi enigmatici venuti alla ribalta a partire dal
tardi Medioevo, ai quali abbiamo accennato in articoli precedenti, i quali
riuscirono a far penetrare nell’ambito della Tradizione elementi spuri tratti
dalle dottrine gnostiche e naturalistiche attraverso la loro ingannevole dialettica.
Lo stesso Apostolo ben sapendo le
insidie celate dietro il culto ai falsi angeli che operano nel cosmo, mise in
guardia i credenti in Cristo dalla venerazione ai demoni travestiti da angeli,
molto diffusa già ai suoi tempi da parte di quei settari gnostici che
praticavano la falsa ascesi secondo gli “elementi del mondo”. A questi
personaggi contraddittori, che celebrano al tempo stesso Cristo ed Ermes-Eros,
non risparmia la sua netta condanna: “Nessuno
vi impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e
nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di
vano orgoglio nella sua mente carnale” (Col 2, 18).