Galilei
nel 1634, scrisse ad Elia Diodati, che in quel tempo soggiornava in Parigi, tutto
il suo rammarico circa la netta disapprovazione della tesi del movimento della
terra, che il Collegio Romano aveva sollevato in modo autorevole attraverso il
libro «Tractatus syllepticus» del gesuita Melchiorre Inchofer.
Lo
scienziato in tale lettera comunica che: «ultimamente un Padre
Gesuita ha stampato in Roma che tale opinione (la mobilità della terra) è tanto
orribile, perniciosa e scandalosa, che se anche si permette nelle cattedre, nei
circoli, nelle pubbliche dispute e nelle stampe si portino argomenti contro ai
principalissimi articoli della fede, come contro l’immortalità dell’anima, la
creazione, l’Incarnazione etc., non però si deve permettere che si disputi, né
si argomenti contro la stabilità della terra; poiché solo quest’articolo sopra
a tutti ha talmente a tener per sicuro, che in modo alcuno si abbia, neanche
per modo di disputa e per sua maggior corroborazione, a instargli contro».
Oltre
a far luce all’interno dell’animo dello scienziato, questa breve citazione
sfata ulteriormente il luogo comune, circa la presunta intolleranza ed
oscurantismo della Chiesa post-Tridentina. Infatti, la censura messa in atto da
quest’ultima, nonostante i proclami ed un linguaggio spesso assai duro, in
effetti era alquanto morbida e tollerante, visto che arrivava al punto, come
scrive lo scienziato, di consentire la messa in discussione dei principali articoli
della fede cattolica. Diffondere dubbi circa l’immortalità dell’anima, la
creazione, l’Incarnazione stessa con pubblicazioni libere, e persino nelle
scuole, non significava quindi, come si crede, incorrere automaticamente nelle
catene e nelle torture del tribunale dell’Inquisizione.
Del
resto, la nostra fede ha sempre tratto edificazione dalle contestazioni
ereticali che si sono levate contro di essa nel corso dei secoli, dimostrandone
l’infondatezza alla luce della verità rivelata. Si pensi al movimento dei
catari, che determinò la formazione dell’Ordine di San Domenico per la difesa
della dottrina e la condanna dell’eresie. Proprio quest’Ordine intervenne
sollevando le prime critiche agli argomenti eliocentrici sostenuti da Galilei, innescando
così il meccanismo che sfociò nel primo processo dell’Inquisizione del 1616 e
nel divieto emesso dal cardinale Bellarmino, e comunque trasgredito da Galilei,
di non insegnare e diffondere la teoria eliocentrica.
Certo,
può stupire che una ipotesi di carattere astronomico come quella del moto della
terra, fosse ritenuta più deleteria di argomenti strettamente teologici, che
pur avevano segnato la Chiesa di Roma in modo profondo un centinaio di anni
prima. Come se in Galilei, il gesuita Inchofer avesse individuato un pericolo
analogo a quello che si levò nel 1517, alla vigilia di Ognissanti, oggi festa
di Halloween, quando Lutero affisse
le 95 tesi alla porta della chiesa del castello di Wittenberg.
Perché
allora una tesi di ordine cosmologico e filosofico era ritenuta tanto “orribile, perniciosa e scandalosa”, non
solo dai Domenicani, ma successivamente anche dai Gesuiti? In fondo, il presunto
movimento della terra era un argomento che interessava un ambito molto
ristretto della popolazione di allora, quello degli astronomi-astrologi e
quello dei filosofi della natura. Le problematiche che segnavano la società a
cavallo dei secoli XVI-XVII erano molto più gravi e stringenti delle
discussioni e delle polemiche circa la disposizione dinamica celeste. Si pensi
alla guerra dei cent’anni, il conflitto fra Chiesa ed Impero, le carestie, le
epidemie ecc. Inoltre, questa stessa tesi era già nota perché portata avanti da
esponenti della chiesa ed accettata senza problemi, vedi il Cusano, Nicola di
Oresme, ultimo il canonico Copernico che dedicò lo sviluppo di tale ipotesi a
Paolo III.
Oggi
non possiamo che sorridere di fronte alle preoccupazioni che si sollevarono
dagli ambienti ecclesiastici verso questa tesi astronomica, in vista di chissà
quali mali e pericoli. Al giorno d’oggi, forse nessuno, pur non avendo cognizioni
scientifiche sufficienti per dimostrare secondo i tecnicismi della scienza il
moto della terra, sarebbe disposto a negare questo assunto divenuto ormai una
radicatissima certezza della scienza, per esclamare con l’ingenuità del bambino
della favola di Andersen «Il re è nudo». Ci fidiamo delle conclusioni della
scienza e degli scienziati che in coro da tutto il mondo, da cinquecento anni,
proclamano quest’idea dalla quale hanno preso avvio l’astronomia e la fisica
moderne.
Per
fede scientifica, ma in questo caso sarebbe meglio dire pitagorica o filo
massonica, ad occhi chiusi ripetiamo quindi che il sole è fermo e la terra
ruota, nonostante percepiamo il contrario. Abbiamo imparato fin troppo bene la
lezione che ci è giunta dal rinascimento magico. Ogni dubbio in proposito è
considerato e spazzato via come un retaggio della Chiesa medievale oscurantista,
antiscientifica. Quindi, così è: la terra ruota e trasla pur senza provocare
effetti evidenti, come se fosse un sistema inerziale, anche se non può esserlo.
Lo sarebbe infatti se non ruotasse e non traslasse, ma se ruota e trasla non può
esserlo di principio.
Siamo
così convinti che la terra ruoti, che persino se scendesse un angelo del
Signore ad annunciare il contrario, saremmo convinti di trovarci di fronte ad
un diavolo ingannatore, perché non può essere che Dio insegni menzogne
piuttosto che la verità scoperta da Galilei, grazie alla quale la ragione
dell’uomo si è emancipata dai retaggi della cultura e delle superstizioni dei
secoli oscuri, ecc.
Come
una nuova ed infallibile religione quindi la scienza moderna, sulla base delle
sue scoperte e teorie elaborate con linguaggio raffinato ed esclusivo, ha
impresso nella mente di tutti il “sigillo” eliocentrico, come un indubitabile
dogma. Del resto, le scoperte astronomiche dello stesso Galilei: i pianeti di
Giove, le fasi di Venere, l’irregolarità del suolo lunare, ecc., hanno oscurato
i suoi clamorosi errori, legittimando così la metafisica connessa al modello
eliocentrico. Metafisica conciliabile con la religiosità pagana, non con quella
cristiana.
Certo,
nel Vangelo non ci sono informazioni scientifiche, Gesù non ha mai affermato
argomenti o avvalorato teorie astronomiche quando parlava del regno dei cieli. I
suoi molteplici riferimenti alla dimensione naturale sono ordinati a quella
trascendente, come per dilatare l’intelligenza fino alla percezione ed
acquisizione delle realtà invisibili. Egli intende così evidenziare che il termine
ultimo della conoscenza, e della nostra residenza, è l’al di là e non l’al di
qua, l’eterno più del transitorio.
Gesù
Cristo tuttavia ci ha fornito la “chiave della scienza”, insegnandoci la logica
semplice e concreta del “si e del no”, «il resto viene dal
maligno» (Mt 5, 37).
Sulla base di questo semplice metodo di lettura, S. Tommaso, come indica S.
Paolo nell’incipit della Lettera ai
Romani, ha attestato che l’uomo possiede la facoltà conoscitiva razionale,
in base alla quale può penetrare le cose sensibili per astrarre da esse l’idea,
o essenza intellegibile, fino a giungere alla conoscenza dell’Essere di per sé
sussistente.
Quando
invece la ragione rivolge il dubbio su ciò che è indubitabile, il principio
primo, negando il passaggio della conoscenza dal senso all’intelletto, apre le
porte a realtà immaginarie ed ideali che modificano la base dalla quale sono
scaturite. Queste realtà artificiali si nutrono della stessa sostanza che le
produce, il pensiero, che le sostiene e fortifica, espandendosi nel contempo di
mente in mente, come una catena unificante il pensiero comune, fino a “consolidarsi”
in esso.
Gli
antiaristotelici e gli umanisti iniziati alla filosofia occulta ed alla
religiosità e licenziosità classica, sapevano bene che per scardinare la
visione della realtà derivante dalla metafisica scolastica, per aprire quindi varchi
nella ragione e nella morale e manipolare l’immaginazione comune, occorreva
mettere in dubbio il principio primo, la percezione del reale, la logica
elementare del si si e no no, emancipando altresì l’uomo dal dogmatismo religioso
e dalla morale ad esso conseguente.
Essi
trovarono in questo programma un alleato formidabile in Galilei, il quale
postulava “il far violenza ai sensi” per dar luogo alla fantasia razionale, barattando
così il vero con il vero-simile, opponendo la ragione alla percezione, nel caso
del presunto moto della terra, ma riabilitando la percezione quando veniva a
conforto della sua ragione, come nel caso del telescopio.
Gli
stessi sensi che si ingannavano infatti quando vedevano il sole e le stelle
muoversi nel cielo da oriente ad occidente, non si ingannavano quando vedevano
attraverso rozzi filtri oculari i monti della Luna, le fasi di Venere, i
satelliti di Giove ecc. A queste visioni sensibili filtrate da strumenti
rudimentali occorreva prestar fede ed asservire la ragione. Invece, nel caso
del movimento del sole, bisognava far violenza alla visione percepita, in modo
inequivocabile da tutti, perché ritenuta illusoria. “Coerenza” galileiana,
sulla quale si glissa volentieri, spostando i termini del discorso su argomenti
meno scivolosi ed aperti alla polemica.
Del
resto, Galilei fu un maestro nel suscitare contrasti verso quanti mettevano in
dubbio i suoi argomenti a favore del moto terrestre, di norma erronei,
riuscendo ad invertire le parti in causa. I protestanti che prima avevano
condannato Copernico e l’eliocentrismo rivalutarono questa dottrina, nel
momento in cui Galilei tirò in ballo l’interpretazione delle Scritture. I
cattolici che avevano utilizzato la tesi eliocentrica per la riforma del
calendario e non avevano nulla contro il De
revolutionibus di Copernico, iniziarono a nutrire verso quest’ipotesi, strumentalizzata
teologicamente ed assolutizzata dal Pisano, forti sospetti.
La
dottrina eliocentrica assumeva infatti agli occhi degli avversari di Galileo tutti
i caratteri di una nuova e sottile eresia che, sotto l’aspetto di scienza
induttiva espressa in linguaggio asettico, quantitativo e formale, avrebbe reso
fredda e formale la conoscenza, escludendo la teologia dall’indagine
scientifica, e mantenendo in se stessa l’aspetto irrazionale collegato alla
filosofia pitagorica ed alla magia ermetica, dalle quali aveva preso avvio e fondamento
quella rivoluzione cosmologica.
Oggi
pertanto non crediamo più alle sfere celesti, alle gerarchie angeliche,
all’azione delle intelligenze celesti. Pervasi da tutt’altro spirito, fondato
sulla illogica identità fra essere e nulla, di matrice eraclitea, tutti noi crediamo
ad altre cose, ordinando la fede alla scienza, la Scrittura alla fisica.
Crediamo quindi senza indugio, che la terra si muova. Sosteniamo
quest’argomento, senza sospettare della negatività che gli veniva attribuito,
perché fondato sulla negazione del principio primo della conoscenza: la realtà
percepita e, per quanto abbiamo più volte rilevato, perché collegato sottobanco
alla eliolatria egizia. Questo legame non doveva essere sconosciuto
specialmente ai Domenicani, ex confratelli di Giordano Bruno, fautore di un
ritorno alla religiosità, ed alla cattività, egizia.
Crediamo
a tutto questo per un atto di fede verso la nuova religione, la scienza, anche
se non vi sono effetti fisici evidenti che rivelano il presunto moto della
terra, attraverso accelerazioni palesi su di essa. Se la terra ruotasse come
una giostra, vi sarebbero effetti fisici percepibili in modo evidente. Un
sistema in rotazione e traslazione, come una trottola che ruota e che avanza,
non può essere considerato apparentemente fermo come si considera sia la terra,
a meno che si consegua una laurea in fisica e come in un gioco di prestigio si
trasformi la realtà in astrazione matematica e questa in realtà.
Per
dimostrare la tesi già convalidata a priori del presunto moto terrestre, si
utilizzano le prove del pendolo di Foucault, le forze di Gaspard Gustave Coriolis, Parigi 1792-1843 (l’esperienza di Guglielmini è
stata tolta di mezzo perché non affidabile). Il pendolo di Foucault dimostra sì
che qualcosa si muove tra cielo e terra, ma non chiarisce quale dei due
elementi effettivamente si muova. Il suo piano inoltre non ruota nel senso
previsto, da ovest verso est, ossia come dovrebbe ruotare la terra, ma da est
verso ovest, come ruotano i cieli e le stelle, cioè in senso opposto a quello attribuito
alla terra.
Oggi
quindi non crediamo più che siano gli angeli a disporre e mantenere l’ordine
del cosmo visibile e di quello invisibile. Non crediamo nei cori e nelle
gerarchie disposti armonicamente che ci sovrastano e collegano il visibile
all’invisibile, fino al trono di Dio. Crediamo però nelle fantomatiche particelle-onde,
nei quark, nei buchi neri ed in altri prodotti della fantasia razionale, come
se esistessero davvero al pari di tavoli e sedie.
Ovviamente
crediamo anche che un punto dell'equatore terrestre ruoti insieme a noi alla
velocità di 1.668 Km/h (460 m/s), che la rivoluzione terrestre avvenga alla
velocità di 107.280 Km/h (30 km/s), e che la rotazione del nostro sistema
solare rispetto al centro della galassia si compia alla velocità di circa 2,6
milioni di Km/h (720 km/s). Velocità di roto-traslazione sbalorditive ed
incredibili che tuttavia, misteriosamente non producono effetti conseguenti su
di noi e nell’atmosfera. La quale, invece, nonostante tutto, continua a
trasmettere all’animo sentimenti di pace e di armonia, nonché intense
sensazioni di stabilità ed equilibrio che rimandano alla Trascendenza ed alla
perfezione divina, essendo pur sempre il cielo “trono di Dio”, e la terra “sgabello
dei suoi piedi” (cfr. Mt 5, 34-35).