Un mito orientale narra
di una battaglia così accanita che dopo la morte dei guerrieri le ombre
continuarono a combattere. Questo simbolismo indica che la lotta delle idee si
protrae nel tempo, a prescindere da chi le incarni. In un certo senso, sembrano
essere le stesse idee a “nutrire” coloro che le sostengono e dalle quali sono
come conquistati.
Se così non fosse, non
si spiegherebbe il persistere di polemiche che non si risolvono, che non
sfociano nella verità tutta intera, la quale obbedisce ad una logica sola. Succede
anche che le parti che si contrappongono in questa accanita battaglia, che si
tramanda nelle generazioni, quella dei vincitori e quella dei vinti, spesso scambino
i ruoli nel tempo, a seconda del pensiero dominante, in una sorta di danza
degli opposti che non si risolve in sintesi definitiva.
In questa dinamica
strutturale, sembra rientrare il non ancora sopito contrasto che vide opporsi
Galilei, sostenuto da una parte di figure ecclesiastiche, al resto della Gerarchia
Romana. Ma se allora questa costituiva la fazione vincitrice e dominante, recentemente
come per antitesi sono invece gli epigoni galileiani ad aver conquistato la
quasi totalità del campo della pubblica opinione.
Il logoro cliché
positivista, che eleva Galilei a simbolo della lotta contro l’oscurantismo ed
il dogmatismo della Chiesa dogmatica di un tempo, è entrato a far parte anche della
cultura cattolica, dopo i vari “mea culpa”
che Giovanni Paolo II recitò in vista del Giubileo del 2000 e gli illustri
interventi di vario genere a favore di questa tesi.
La questione galileiana
sembra quindi essere chiusa, se non fosse (al di là di quanto si dice e crede
anche in ambito cattolico) per i dubbi circa la “fede” e l’ortodossia di
Galilei, il cui spirito polemico non indietreggiò, ad esempio, neanche quando
si trattò di disputare con il Papa Urbano VIII, rappresentato nel Dialogo dalla figura caricaturale di
Simplicio.
Dubbi a parte, di certo
sappiamo che il punto critico relativo a questo annoso contrasto è segnato dai
due processi che lo scienziato subì da parte del Tribunale dell’Inquisizione. Il
primo del 1616 si concluse con l’ammonizione rivolta a Galilei dal cardinale
Bellarmino di abbandonare l’interpretazione realistica dell’opinione
eliocentrica e del divieto di insegnarla e difenderla in alcun modo, né per
voce, né per scritto.
Contravvenendo
apertamente a tale “salutifero editto”,
lo scienziato continuò nelle sue ricerche e nelle sue divulgazioni dell’eliocentrismo,
che raccolse nel libro pubblicato nel 1632, Dialogo
dei due massimi sistemi del mondo. In questo testo, scritto in volgare
proprio per diffondere meglio l’opinione, veniva tra l’altro erroneamente portato,
a dimostrazione del presunto movimento della terra, il fenomeno delle maree.
Un anno dopo la
pubblicazione, il Tribunale dell’Inquisizione avviò la seconda procedura contro
l’autore di questo discutibile testo. Il secondo processo a Galilei si concluse
il 22 giugno 1633. La sentenza venne letta nel chiostro domenicano di Santa
Maria sopra Minerva. Essa proibiva il Dialogo
ed obbligava il suo autore, “fortemente
sospettato di eresia”, all’abiura della dottrina eliocentrica. Come penitenza
e segno di purificazione e pentimento, allo scienziato venne imposto che: “per tre anni a venire dichi una volta la
settimana li sette salmi penitenziali”.
Galilei morì nove anni
dopo. Scrive il suo discepolo Vincenzo Viviani che il trapasso avvenne alle
quattro di notte dell’8 gennaio 1642: “in
età di settantasette anni, dieci mesi e giorni 20”. E prosegue affermando
che: “il suo corpo venne condotto dalla
villa d’Arcetri in Firenze, e per commessione del nostro Serenissimo Gran Duca
separatamente fatto custodire nel tempio di S. Croce, dove è l’antica sepoltura
della nobil famiglia de’ Galilei, con pensiero di ereggergli augusto e sontuoso
deposito in luogo più cospicuo di detta chiesa” (Ed. Naz., XIX, pagg. 623 e
624).
Il proposito di erigere
un solenne mausoleo nel duomo di S. Croce, venne prontamente ostacolato dal
Santo Uffizio. Infatti, una quindicina di giorni dopo, il cardinale Barberini
scrisse all’Inquisitore di Firenze: ”Sua
Beatitudine, col parere di questi miei Eminentissimi, ha risoluto che ella, con
la sua solita destrezza, procuri di far passare all’orecchie del Gran Duca che
non è bene fabbricare mausolei al cadavere di colui che è stato penitenziato
nel Tribunale della Santa Inquisizione, et è morto mentre durava la penitenza,
perché si potrebbero scandalizzare i buoni” (Lettera di Francesco Barberini
a Giovanni Muzzarelli, 25 gennaio 1642).
Dobbiamo credere che l’affermazione
riferita a Galilei, “mentre durava la penitenza”, del cardinale Francesco Barberini corrisponda
al vero, per la sua alta posizione ecclesiastica e soprattutto perché, per
poter esprimere un simile giudizio, doveva essere al corrente, direttamente o
indirettamente, della vita spirituale dello scienziato.
Galileo dunque secondo
il Barberini morì “mentre durava la
penitenza” richiesta dal Tribunale dell’Inquisizione. Questo significa che,
a distanza di nove anni, lo scienziato non aveva ancora completato la recita
settimanale dei sette salmi per tre anni. Questa penitenza era del tutto
formale e persino “trasferibile” ad altri. Venne infatti concesso che a
recitare questi salmi fosse la figlia prediletta Virginia, che Galileo ebbe dalla
sua amante Marina Gamba con la quale conviveva in more uxorio, in Padova, il 13 agosto 1600.
Virginia, insieme alla
sorella Livia costretta alla vita religiosa, il 4 ottobre 1616, all’età di
sedici anni, aveva assunto i sacri voti nel monastero di S. Matteo d’Arcetri,
prendendo il nome di suor Maria Celeste. Morì però pochi mesi dopo il rientro
di Galileo nella sua villa “Il Gioiello” di Arcetri, dopo una breve malattia,
nel 1634, quindi non ebbe modo di completare la penitenza a favore del padre.
La scomparsa della
figlia prediletta provocò in Galilei già sfibrato dalle vicende giudiziarie e
dalla salute incerta uno stato di ulteriore prostrazione, al quale tuttavia
reagì immergendosi nel lavoro, che in quel periodo consisteva nella stesura del
libro Discorsi sulle nuove scienze.
Lo stato d’animo dello
scienziato è comprensibile. Condannato dalla Chiesa, sicuro di essere nel
giusto, non riconoscendo la correzione impostagli dagli ecclesiastici avversari,
profondamente offeso ed umiliato per essere stato costretto all’abiura dell’idea
eliocentrica, dovette attaccarsi ancor più radicalmente a tale prospettiva che
si stava diffondendo in tutt’Europa, nella quale credeva con fede assoluta non
solo per motivi scientifici, in verità assai deboli.
Egli scrisse infatti
che: “Quanto all’opinione del Copernico,
io veramente la tendo sicura, e non per le sole osservazioni di Venere, delle
macchie solari e delle Medicee, ma per altre sue ragioni, e per molt’altre mie
particolari che mi paiono concludenti” Lettera a G. B. Baliani, 12 marzo
1614). Per varie ragioni dunque Galilei assunse l’ipotesi pitagorica del sole
centrale e della terra in movimento come ideale della sua vita, al quale dedicò
tutte le sue forze.
Tale amarezza d’animo,
il risentimento verso le gerarchie che lo avevano condannato, l’onta imperdonabile
dell’abiura, il dolore per la perdita della figlia prediletta, l’annebbiamento
dovuto alla vista sempre più debole, le pressioni dei suoi amici sostenitori
antiaristotelici ed antitomisti, la freddezza dell’altra figlia Livia nei suoi
confronti, le preoccupazioni economiche per il figlio Vincenzo. Tutto questo
insomma, dovette incidere nell’animo dello scienziato sempre più immerso nella
ricerca filosofica, inducendolo a trascurare l’adempimento della penitenza richiestagli
dal Tribunale del Santo Uffizio, come mezzo di perdono e riconciliazione con la
Chiesa stessa.
Tuttavia, col tempo la
situazione iniziò a ribaltarsi, secondo le misteriose regole del contrasto
eracliteo. Nonostante le precedenti riserve e divieti, il 12 marzo 1737, grazie
all’intervento decisivo del granduca Gian Gastone e delle logge fiorentine, il
corpo dello scienziato venne finalmente sepolto in pompa magna nella Basilica
di Santa Croce, nella tomba monumentale tuttora esistente.
La sua “ombra” tuttavia
sembra ancora agitarsi, specialmente nelle polemiche sempre pronte a sorgere in
suo nome, in attesa di entrare nel luogo di assoluto riposo (cfr Sal 94) al quale sembra non essere
pervenuta. Forse proprio a causa del suo antico “debito”.