domenica 20 aprile 2014

IL “DEBITO” DI GALILEI



Un mito orientale narra di una battaglia così accanita che dopo la morte dei guerrieri le ombre continuarono a combattere. Questo simbolismo indica che la lotta delle idee si protrae nel tempo, a prescindere da chi le incarni. In un certo senso, sembrano essere le stesse idee a “nutrire” coloro che le sostengono e dalle quali sono come conquistati.
Se così non fosse, non si spiegherebbe il persistere di polemiche che non si risolvono, che non sfociano nella verità tutta intera, la quale obbedisce ad una logica sola. Succede anche che le parti che si contrappongono in questa accanita battaglia, che si tramanda nelle generazioni, quella dei vincitori e quella dei vinti, spesso scambino i ruoli nel tempo, a seconda del pensiero dominante, in una sorta di danza degli opposti che non si risolve in sintesi definitiva.
In questa dinamica strutturale, sembra rientrare il non ancora sopito contrasto che vide opporsi Galilei, sostenuto da una parte di figure ecclesiastiche, al resto della Gerarchia Romana. Ma se allora questa costituiva la fazione vincitrice e dominante, recentemente come per antitesi sono invece gli epigoni galileiani ad aver conquistato la quasi totalità del campo della pubblica opinione.
Il logoro cliché positivista, che eleva Galilei a simbolo della lotta contro l’oscurantismo ed il dogmatismo della Chiesa dogmatica di un tempo, è entrato a far parte anche della cultura cattolica, dopo i vari “mea culpa” che Giovanni Paolo II recitò in vista del Giubileo del 2000 e gli illustri interventi di vario genere a favore di questa tesi.
La questione galileiana sembra quindi essere chiusa, se non fosse (al di là di quanto si dice e crede anche in ambito cattolico) per i dubbi circa la “fede” e l’ortodossia di Galilei, il cui spirito polemico non indietreggiò, ad esempio, neanche quando si trattò di disputare con il Papa Urbano VIII, rappresentato nel Dialogo dalla figura caricaturale di Simplicio.
Dubbi a parte, di certo sappiamo che il punto critico relativo a questo annoso contrasto è segnato dai due processi che lo scienziato subì da parte del Tribunale dell’Inquisizione. Il primo del 1616 si concluse con l’ammonizione rivolta a Galilei dal cardinale Bellarmino di abbandonare l’interpretazione realistica dell’opinione eliocentrica e del divieto di insegnarla e difenderla in alcun modo, né per voce, né per scritto.
Contravvenendo apertamente a tale “salutifero editto”, lo scienziato continuò nelle sue ricerche e nelle sue divulgazioni dell’eliocentrismo, che raccolse nel libro pubblicato nel 1632, Dialogo dei due massimi sistemi del mondo. In questo testo, scritto in volgare proprio per diffondere meglio l’opinione, veniva tra l’altro erroneamente portato, a dimostrazione del presunto movimento della terra, il fenomeno delle maree.
Un anno dopo la pubblicazione, il Tribunale dell’Inquisizione avviò la seconda procedura contro l’autore di questo discutibile testo. Il secondo processo a Galilei si concluse il 22 giugno 1633. La sentenza venne letta nel chiostro domenicano di Santa Maria sopra Minerva. Essa proibiva il Dialogo ed obbligava il suo autore, “fortemente sospettato di eresia”, all’abiura della dottrina eliocentrica. Come penitenza e segno di purificazione e pentimento, allo scienziato venne imposto che: “per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette salmi penitenziali”.  
Galilei morì nove anni dopo. Scrive il suo discepolo Vincenzo Viviani che il trapasso avvenne alle quattro di notte dell’8 gennaio 1642: “in età di settantasette anni, dieci mesi e giorni 20”. E prosegue affermando che: “il suo corpo venne condotto dalla villa d’Arcetri in Firenze, e per commessione del nostro Serenissimo Gran Duca separatamente fatto custodire nel tempio di S. Croce, dove è l’antica sepoltura della nobil famiglia de’ Galilei, con pensiero di ereggergli augusto e sontuoso deposito in luogo più cospicuo di detta chiesa” (Ed. Naz., XIX, pagg. 623 e 624).
Il proposito di erigere un solenne mausoleo nel duomo di S. Croce, venne prontamente ostacolato dal Santo Uffizio. Infatti, una quindicina di giorni dopo, il cardinale Barberini scrisse all’Inquisitore di Firenze: ”Sua Beatitudine, col parere di questi miei Eminentissimi, ha risoluto che ella, con la sua solita destrezza, procuri di far passare all’orecchie del Gran Duca che non è bene fabbricare mausolei al cadavere di colui che è stato penitenziato nel Tribunale della Santa Inquisizione, et è morto mentre durava la penitenza, perché si potrebbero scandalizzare i buoni” (Lettera di Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli, 25 gennaio 1642).
Dobbiamo credere che l’affermazione riferita a Galilei, “mentre durava la penitenza, del cardinale Francesco Barberini corrisponda al vero, per la sua alta posizione ecclesiastica e soprattutto perché, per poter esprimere un simile giudizio, doveva essere al corrente, direttamente o indirettamente, della vita spirituale dello scienziato.  
Galileo dunque secondo il Barberini morì “mentre durava la penitenza” richiesta dal Tribunale dell’Inquisizione. Questo significa che, a distanza di nove anni, lo scienziato non aveva ancora completato la recita settimanale dei sette salmi per tre anni. Questa penitenza era del tutto formale e persino “trasferibile” ad altri. Venne infatti concesso che a recitare questi salmi fosse la figlia prediletta Virginia, che Galileo ebbe dalla sua amante Marina Gamba con la quale conviveva in more uxorio, in Padova, il 13 agosto 1600.
Virginia, insieme alla sorella Livia costretta alla vita religiosa, il 4 ottobre 1616, all’età di sedici anni, aveva assunto i sacri voti nel monastero di S. Matteo d’Arcetri, prendendo il nome di suor Maria Celeste. Morì però pochi mesi dopo il rientro di Galileo nella sua villa “Il Gioiello” di Arcetri, dopo una breve malattia, nel 1634, quindi non ebbe modo di completare la penitenza a favore del padre.
La scomparsa della figlia prediletta provocò in Galilei già sfibrato dalle vicende giudiziarie e dalla salute incerta uno stato di ulteriore prostrazione, al quale tuttavia reagì immergendosi nel lavoro, che in quel periodo consisteva nella stesura del libro Discorsi sulle nuove scienze.
Lo stato d’animo dello scienziato è comprensibile. Condannato dalla Chiesa, sicuro di essere nel giusto, non riconoscendo la correzione impostagli dagli ecclesiastici avversari, profondamente offeso ed umiliato per essere stato costretto all’abiura dell’idea eliocentrica, dovette attaccarsi ancor più radicalmente a tale prospettiva che si stava diffondendo in tutt’Europa, nella quale credeva con fede assoluta non solo per motivi scientifici, in verità assai deboli.
Egli scrisse infatti che: “Quanto all’opinione del Copernico, io veramente la tendo sicura, e non per le sole osservazioni di Venere, delle macchie solari e delle Medicee, ma per altre sue ragioni, e per molt’altre mie particolari che mi paiono concludenti” Lettera a G. B. Baliani, 12 marzo 1614). Per varie ragioni dunque Galilei assunse l’ipotesi pitagorica del sole centrale e della terra in movimento come ideale della sua vita, al quale dedicò tutte le sue forze.
Tale amarezza d’animo, il risentimento verso le gerarchie che lo avevano condannato, l’onta imperdonabile dell’abiura, il dolore per la perdita della figlia prediletta, l’annebbiamento dovuto alla vista sempre più debole, le pressioni dei suoi amici sostenitori antiaristotelici ed antitomisti, la freddezza dell’altra figlia Livia nei suoi confronti, le preoccupazioni economiche per il figlio Vincenzo. Tutto questo insomma, dovette incidere nell’animo dello scienziato sempre più immerso nella ricerca filosofica, inducendolo a trascurare l’adempimento della penitenza richiestagli dal Tribunale del Santo Uffizio, come mezzo di perdono e riconciliazione con la Chiesa stessa.
Tuttavia, col tempo la situazione iniziò a ribaltarsi, secondo le misteriose regole del contrasto eracliteo. Nonostante le precedenti riserve e divieti, il 12 marzo 1737, grazie all’intervento decisivo del granduca Gian Gastone e delle logge fiorentine, il corpo dello scienziato venne finalmente sepolto in pompa magna nella Basilica di Santa Croce, nella tomba monumentale tuttora esistente.
La sua “ombra” tuttavia sembra ancora agitarsi, specialmente nelle polemiche sempre pronte a sorgere in suo nome, in attesa di entrare nel luogo di assoluto riposo (cfr Sal 94) al quale sembra non essere pervenuta. Forse proprio a causa del suo antico “debito”.