martedì 25 marzo 2014

San Tommaso e la “caduta dei gravi”


Prima ancora di Galilei, S. Tommaso comprese l’essenza del moto di caduta dei gravi. Al di là delle goffe caricature e dei luoghi comuni generosamente diffusi circa i teologi e la filosofia medievale, l’oscurantismo, la fine del mondo, la terra piatta e via dicendo, S. Tommaso affermò che i corpi si muovono più velocemente, quanto più procedono nella caduta, anticipando quindi nella sostanza la legge di caduta libera dei gravi, sulla quale Galilei dissertò nei Discorsi e dimostrazioni matematiche, scritti nel biennio 1633-1635.
San Tommaso attesta infatti che un grave lasciato libero di cadere accelera in progressione al tempo, mentre decelera se lanciato verso l’alto. Egli utilizza questo principio di fisica di passaggio, come esempio rivolto ad edificazione della fede, riconducendo la fisica alla teologia, per spiegare il perché coloro che sono in stato di grazia debbono tanto crescere in carità quanto più si avvicinano al loro fine ultimo.
Commentando infatti il passo della Lettera agli Ebrei: “Esortiamoci a vicenda sempre più, in misura che avanza il giorno”, il Santo scrive: “Perché dobbiamo progredire nella fede e nell’amore? Perché il moto naturale diventa tanto più rapido, quanto più si avvicina al suo termine; mentre per un moto violento avviene il contrario” (S. Tommaso, in Ep. Ad Haebr. X 25”).
Questo concetto fisico venne ripreso dal dottor angelico nel commento al De Coelo (q. I, VIII, 17) con i seguenti termini: “Terra (vel corpus grave) velocius movetur, quanto magis descendit”, un corpo si muove più velocemente, quanto più cade. La velocità di caduta dei gravi quindi aumenta con il trascorrere del tempo e con l’approssimarsi del termine della caduta stessa (cfr. Garrigou – Lagrange, Le tre età della vita interiore, vol. I, Ed. Viverein, Monopoli 2011, pp. 169-170).
Ricordiamo che nella fisica aristotelica, il moto naturale è quello dei gravi lasciati liberi di cadere o di salire nel caso della loro leggerezza. Il moto violento può avvenire nelle altre direzioni, ad esempio un corpo che viene lanciato secondo una traiettoria parabolica. Questo perché la posizione dei corpi era legata alle loro proprietà: il grave tende al suo luogo naturale posto al centro della Terra, i corpi leggeri salgono perché tendono al loro luogo naturale, l’alto.
Tutti i moti che si discostano da questo tipo erano considerati ”violenti” ed intesi come composizioni del moto naturale e di quello circolare. I moti circolari venivano ritenuti perfetti, in quanto ogni punto dell’orbita circolare è al tempo stesso l’inizio e la fine dei moti. I moti perfetti erano idealmente attribuiti ai corpi perfetti, quelli celesti, perpetui ed immutabili.
San Tommaso, come dicevamo, considera il moto di caduta dei corpi come un caso particolare e addirittura banale del movimento in generale, inteso come passaggio dalla potenza all’atto, per il conseguimento di un fine. Difatti, l’avvicinamento dell’uomo a Dio avviene nella dimensione del tempo e dovrebbe aumentare con il procedere della vita. Il progresso è chiaramente l’elemento indispensabile alla vita spirituale, la quale si compie in misura dell’unione intima dell’uomo con Dio.
La proprietà dei corpi di accelerare nel loro moto di caduta verso il basso, era quindi ben nota nella metafisica tomista, prima ancora che Galilei cercasse di definire attraverso le discutibili esperienze del piano inclinato le proprietà di tale movimento. Esperienze che vennero messe in dubbio da diversi critici, ad esempio dal Koyrè, in quanto alquanto difficoltose da realizzare e ripetere nei termini espressi dallo scienziato pisano. I famosi esperimenti ideali, “immaginiamo che”, posti alla base della scienza induttiva.
Peraltro, Galilei nei Dialoghi considera i moti inerziali quelli effettuati su di un’orbita curvilinea e non su ina traiettoria rettilinea, in linea con la tradizione aristotelico-tomista. Galilei, con scarso intuito fisico, non accetta infatti l’idea kepleriana delle orbite ellittiche e l’accelerazione del moto dei pianeti. Egli non considera nel moto periodico dei corpi celesti la componente d’inerzia diretta lungo la tangente, né l’accelerazione centripeta, diretta verso il centro in quanto ancora legato all’immagine aristotelica del cosmo.
Nella cosmologia aristotelica, la caduta di un grave è legata a due concetti: la tendenza dei corpi verso i loro luoghi naturali, e la quiete dei corpi perseguita quando li raggiungono. I corpi o si trovano nel loro luogo naturale o non si trovano.  In questo caso si determina il movimento naturale. Da questa dinamica deriva un’immagine “pacificata” del cosmo, perché soggetto ad un movimento ordinato e finalizzato . Lo spazio viene così inteso come un sistema di luoghi naturali in quiete, una sorta di pace progressiva. Essi si distinguono per la loro distanza dal “centro del mondo”, che è il luogo privilegiato e naturale per eccellenza.
Ai moti naturali ed alla composizione di questi, si aggiungono i moti circolari sulle superfici concentriche che circondano la Terra: i cosiddetti moti perfetti propri dei corpi perfetti.  La perfezione quindi non corrisponde solo a quiete, ma anche a movimento circolare attorno ad un centro perfetto.
I corpi leggeri che “salgono” ed i corpi pesanti che “scendono”, insieme ai corpi perfetti che si muovono su traiettorie circolari, mossi dall’etere o quintessenza, costituiscono dunque i principi essenziali della dinamica cosmica, secondo la cosmologia medievale. Dinamica che come dicevamo riconduce anche il moto ad un senso metafisico di pace universale correlata a Dio. Il finalismo spiega inoltre che la ragione di ogni movimento, il suo compimento, è il raggiungimento della quiete e dei luoghi naturali.
S. Tommaso tuttavia paragonando il moto naturale alla risalita dell’anima verso Dio, risalita sempre più rapida quanto più si colma il rapporto tra uomo e Dio, in un certo senso ha ribaltato l’immagine cosmologica geocentrica e delle sfere omocentriche di Tolomeo ed Aristotele. Infatti, la leggerezza che spinge verso l’alto ed il peso che attira in basso, rapportati allo stato di grazia dell’anima, suggeriscono un’immagine capovolta del mondo. Un’inversione fra centro e sfera. Infatti, dopo la morte, l’anima “sale” verso il cielo, il corpo “scende” nella terra.
Aristotele ed il geocentrismo pongono la terra al centro del mondo. Nell’immagine teologica “capovolta”, suggerita dal paragone del moto dei gravi ed al progresso, o risalita, dell’anima di S. Tommaso, il centro-terra diventa circonferenza, e la circonferenza-cielo diviene centro. Nel centro, considerato come “alto”, salgono le essenze leggere, come l’anima. Sulla circonferenza, considerata come “basso”, cadono le essenze pesanti. Anche Simone Weil nel testo Le pesanteur et la grace, riconosce che il peccato spinge verso il basso mentre la grazia attira verso l’alto.
A questo centro etereo ed insensibile tendono le anime in proporzione allo stato di grazia perseguito come verso una porta che introduce nel Regno di Dio. La Terra come limite materiale, dal quale tutti gli uomini iniziano il loro viaggio verso la dimensione spirituale, la risalita verso l’alto teologico.
Uomini posti agli antipodi, a “testa in giù”, metafisicamente tutti rivolti verso l’Alto-Cielo, o centro della sfera cosmica, intorno al quale gravitano gli astri in spazi sempre più eterei, sempre più esclusivi. Le energie del cosmo così racchiuse, sono raccolte e conservate in questo contenitore universale nel quale il movimento circolare degli astri si mantiene immutato nei secoli.
Il moto circolare ed etereo, che i medievali ritenevano immagine della perfezione, perché avveniva per “inerzia”, senza perdita di energia, diviene immagine della perfezione delle anime che giungono a Dio, e che continuano a ruotare intorno alla sua divina essenza, partecipando e celebrando “liturgicamente” la sua Gloria, in pace perfetta, in gaudio perfetto.
La pace non è solo immobilità. La pace è gravitazione continua intorno ad un centro. Il tempo non lineare, ma perfettamente centrato in Gesù Cristo, è l’immagine del tempo assoluto teologico. Tempo liturgico che si ripete identicamente e ciclicamente, avvicinando già in questa vita la “periferia” del mondo al Centro, verso il quale tutto è rivolto.
Esortiamoci a vicenda sempre più, in misura che avanza il giorno”, come insegna S. Tommaso, spiega quindi la ragione del movimento progressivo necessario alla fede ed all’amore per conseguire felicemente il fine, l’Alto, l’entrata nel Paradiso attraverso Gesù Maestro, Re e Porta dell’Universo (cfr Gv 10 1, 21).