Prima ancora di
Galilei, S. Tommaso comprese l’essenza del moto di caduta dei gravi. Al di là
delle goffe caricature e dei luoghi comuni generosamente diffusi circa i
teologi e la filosofia medievale, l’oscurantismo, la fine del mondo, la terra
piatta e via dicendo, S. Tommaso affermò che i corpi si muovono più
velocemente, quanto più procedono nella caduta, anticipando quindi nella
sostanza la legge di caduta libera dei gravi, sulla quale Galilei dissertò nei Discorsi e dimostrazioni matematiche,
scritti nel biennio 1633-1635.
San Tommaso attesta infatti
che un grave lasciato libero di cadere accelera in progressione al tempo,
mentre decelera se lanciato verso l’alto. Egli utilizza questo principio di
fisica di passaggio, come esempio rivolto ad edificazione della fede, riconducendo
la fisica alla teologia, per spiegare il perché coloro che sono in stato di
grazia debbono tanto crescere in carità quanto più si avvicinano al loro fine
ultimo.
Commentando infatti il
passo della Lettera agli Ebrei: “Esortiamoci
a vicenda sempre più, in misura che avanza il giorno”, il Santo scrive: “Perché dobbiamo progredire nella fede e
nell’amore? Perché il moto naturale diventa tanto più rapido, quanto più si
avvicina al suo termine; mentre per un moto violento avviene il contrario” (S.
Tommaso, in Ep. Ad Haebr. X 25”).
Questo concetto fisico
venne ripreso dal dottor angelico nel commento al De Coelo (q. I, VIII, 17) con i seguenti termini: “Terra (vel corpus grave) velocius movetur,
quanto magis descendit”, un corpo si muove più velocemente, quanto più
cade. La velocità di caduta dei gravi quindi aumenta con il trascorrere del
tempo e con l’approssimarsi del termine della caduta stessa (cfr. Garrigou –
Lagrange, Le tre età della vita interiore,
vol. I, Ed. Viverein, Monopoli 2011, pp. 169-170).
Ricordiamo che nella
fisica aristotelica, il moto naturale è quello dei gravi lasciati liberi di
cadere o di salire nel caso della loro leggerezza. Il moto violento può
avvenire nelle altre direzioni, ad esempio un corpo che viene lanciato secondo
una traiettoria parabolica. Questo perché la posizione dei corpi era legata
alle loro proprietà: il grave tende al suo luogo naturale posto al centro della
Terra, i corpi leggeri salgono perché tendono al loro luogo naturale, l’alto.
Tutti i moti che si
discostano da questo tipo erano considerati ”violenti” ed intesi come composizioni
del moto naturale e di quello circolare. I moti circolari venivano ritenuti
perfetti, in quanto ogni punto dell’orbita circolare è al tempo stesso l’inizio
e la fine dei moti. I moti perfetti erano idealmente attribuiti ai corpi
perfetti, quelli celesti, perpetui ed immutabili.
San Tommaso, come
dicevamo, considera il moto di caduta dei corpi come un caso particolare e
addirittura banale del movimento in generale, inteso come passaggio dalla
potenza all’atto, per il conseguimento di un fine. Difatti, l’avvicinamento
dell’uomo a Dio avviene nella dimensione del tempo e dovrebbe aumentare con il
procedere della vita. Il progresso è chiaramente l’elemento indispensabile alla
vita spirituale, la quale si compie in misura dell’unione intima dell’uomo con
Dio.
La proprietà dei corpi
di accelerare nel loro moto di caduta verso il basso, era quindi ben nota nella
metafisica tomista, prima ancora che Galilei cercasse di definire attraverso le
discutibili esperienze del piano inclinato le proprietà di tale movimento.
Esperienze che vennero messe in dubbio da diversi critici, ad esempio dal
Koyrè, in quanto alquanto difficoltose da realizzare e ripetere nei termini
espressi dallo scienziato pisano. I famosi esperimenti ideali, “immaginiamo
che”, posti alla base della scienza induttiva.
Peraltro, Galilei nei Dialoghi considera i moti inerziali
quelli effettuati su di un’orbita curvilinea e non su ina traiettoria
rettilinea, in linea con la tradizione aristotelico-tomista. Galilei, con
scarso intuito fisico, non accetta infatti l’idea kepleriana delle orbite
ellittiche e l’accelerazione del moto dei pianeti. Egli non considera nel moto periodico
dei corpi celesti la componente d’inerzia diretta lungo la tangente, né
l’accelerazione centripeta, diretta verso il centro in quanto ancora legato
all’immagine aristotelica del cosmo.
Nella cosmologia
aristotelica, la caduta di un grave è legata a due concetti: la tendenza dei
corpi verso i loro luoghi naturali, e la quiete dei corpi perseguita quando li raggiungono.
I corpi o si trovano nel loro luogo naturale o non si trovano. In questo caso si determina il movimento
naturale. Da questa dinamica deriva un’immagine “pacificata” del cosmo, perché soggetto
ad un movimento ordinato e finalizzato . Lo spazio viene così inteso come un
sistema di luoghi naturali in quiete, una sorta di pace progressiva. Essi si
distinguono per la loro distanza dal “centro del mondo”, che è il luogo
privilegiato e naturale per eccellenza.
Ai moti naturali ed
alla composizione di questi, si aggiungono i moti circolari sulle superfici
concentriche che circondano la Terra: i cosiddetti moti perfetti propri dei
corpi perfetti. La perfezione quindi non
corrisponde solo a quiete, ma anche a movimento circolare attorno ad un centro
perfetto.
I corpi leggeri che
“salgono” ed i corpi pesanti che “scendono”, insieme ai corpi perfetti che si
muovono su traiettorie circolari, mossi dall’etere o quintessenza,
costituiscono dunque i principi essenziali della dinamica cosmica, secondo la
cosmologia medievale. Dinamica che come dicevamo riconduce anche il moto ad un
senso metafisico di pace universale correlata a Dio. Il finalismo spiega inoltre
che la ragione di ogni movimento, il suo compimento, è il raggiungimento della
quiete e dei luoghi naturali.
S. Tommaso tuttavia paragonando
il moto naturale alla risalita dell’anima verso Dio, risalita sempre più rapida
quanto più si colma il rapporto tra uomo e Dio, in un certo senso ha ribaltato
l’immagine cosmologica geocentrica e delle sfere omocentriche di Tolomeo ed
Aristotele. Infatti, la leggerezza che spinge verso l’alto ed il peso che attira
in basso, rapportati allo stato di grazia dell’anima, suggeriscono un’immagine capovolta
del mondo. Un’inversione fra centro e sfera. Infatti, dopo la morte, l’anima
“sale” verso il cielo, il corpo “scende” nella terra.
Aristotele ed il
geocentrismo pongono la terra al centro del mondo. Nell’immagine teologica “capovolta”,
suggerita dal paragone del moto dei gravi ed al progresso, o risalita, dell’anima
di S. Tommaso, il centro-terra diventa circonferenza, e la circonferenza-cielo
diviene centro. Nel centro, considerato come “alto”, salgono le essenze
leggere, come l’anima. Sulla circonferenza, considerata come “basso”, cadono le
essenze pesanti. Anche Simone Weil nel testo Le pesanteur et la grace, riconosce che il peccato spinge verso il
basso mentre la grazia attira verso l’alto.
A questo centro etereo
ed insensibile tendono le anime in proporzione allo stato di grazia perseguito
come verso una porta che introduce nel Regno di Dio. La Terra come limite
materiale, dal quale tutti gli uomini iniziano il loro viaggio verso la
dimensione spirituale, la risalita verso l’alto teologico.
Uomini posti agli
antipodi, a “testa in giù”, metafisicamente tutti rivolti verso l’Alto-Cielo, o
centro della sfera cosmica, intorno al quale gravitano gli astri in spazi
sempre più eterei, sempre più esclusivi. Le energie del cosmo così racchiuse, sono
raccolte e conservate in questo contenitore universale nel quale il movimento
circolare degli astri si mantiene immutato nei secoli.
Il moto circolare ed
etereo, che i medievali ritenevano immagine della perfezione, perché avveniva
per “inerzia”, senza perdita di energia, diviene immagine della perfezione
delle anime che giungono a Dio, e che continuano a ruotare intorno alla sua
divina essenza, partecipando e celebrando “liturgicamente” la sua Gloria, in
pace perfetta, in gaudio perfetto.
La pace non è solo immobilità.
La pace è gravitazione continua intorno ad un centro. Il tempo non lineare, ma perfettamente
centrato in Gesù Cristo, è l’immagine del tempo assoluto teologico. Tempo
liturgico che si ripete identicamente e ciclicamente, avvicinando già in questa
vita la “periferia” del mondo al Centro, verso il quale tutto è rivolto.
“Esortiamoci a vicenda sempre più, in misura che avanza il giorno”,
come insegna S. Tommaso, spiega quindi la ragione del movimento progressivo
necessario alla fede ed all’amore per conseguire felicemente il fine, l’Alto, l’entrata
nel Paradiso attraverso Gesù Maestro, Re e Porta dell’Universo (cfr Gv 10 1, 21).