Tra i santi apprezzati dalla massoneria, oltre a S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista, festeggiati dalla liturgia cattolica in prossimità dei solstizi estivo ed invernale, segue san Francesco, il poverello di Assisi, il santo che arso dall’amore di Cristo ricevette le stimmate della Passione, la cui festa è celebrata il 4 ottobre. Illustri massoni affermano addirittura l’esistenza di una certa affinità nelle opere e nelle intenzioni di questo Santo con i principi e le finalità perseguite dalla variegata e sfuggente corporazione, fondata come è noto sui principi di libertà, uguaglianza, fraternità. Corporazione iniziatica che postula la formazione dell’individuo su linee laiche, estranee a quelle dogmatiche e gerarchiche proprie del cattolicesimo, utilizza giuramenti di segretezza e che si è posta su posizioni decisamente anticlericali, fin dal suo esordio ufficiale, nel 1717, a Londra. Con
il passare del tempo, la massoneria ha tuttavia cambiato atteggiamento nei
confronti della Chiesa Romana. Non più scontri diretti e polemiche controproducenti,
ma ricerca di eventuali zone di contatto all’interno delle quali elaborare
possibili interazioni. Una di queste riguarda il rapporto della Libera
Muratoria con il Francescanesimo: «Ordine che non si limitò a predicare ma
concretamente visse i principi della fratellanza, della solidarietà, della
Libertà nella ricerca … e concretamente visse altresì l’esperienza, audace
e storicamente mancata, della ordinazione non canonica dei laici, cioè di una “iniziazione”
non filtrata dai poteri della Curia Romana»[1].
SAN FRANCESCO, PERFETTO MURATORE?
La stima che la Framassoneria
nutre per il Santo d’Assisi si è riversata, come di riflesso, anche su Papa
Francesco, al quale il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, in occasione
della sua elezione al soglio Pontificio, ha rivolto un positivo augurio
pubblicato sul sito ufficiale del GOI. Infatti, senza esimersi dall’indicare la
via che il Santo Padre avrebbe dovuto seguire, per non deludere le aspettative
delle maestranze massoniche, Gustavo Raffi auspicava che: «il pontificato di Francesco, il Papa che “viene dalla
fine del mondo” possa segnare il ritorno della Chiesa-Parola rispetto alla
Chiesa-istituzione, promuovendo un confronto aperto con il mondo contemporaneo,
con credenti e non, secondo la primavera del Vaticano II».
Il G. M. Raffi dà per scontato che vi siano due chiese
(istituzionale e carismatica) in opposizione tra loro all’interno della Chiesa
Cattolica, la quale invece è sempre Una, Apostolica e Romana. Come se fosse
possibile all’apostolo San Giovanni opporsi a San Pietro, determinando così la
divisione e la rovina interna del Regno di Cristo, peraltro tanto auspicata
dalle consorterie iniziatiche.
Sulla scia di questo equivoco di antica data, un’analisi
«innovativa e progressista» della figura di S. Francesco, è stata sviluppata
dalla Loggia dell’Antico Rito di Memphis e Misram (GOI), in due convegni
svoltisi ad Assisi, nel 1986 e nel 1998, su «Francescanesimo e Libera
Muratoria». In tale occasione il gran maestro di Loggia, Giancarlo Seri, nella
seconda presentazione degli Atti, ha ribadito una sua opinione, forte e senza
fondamento, riguardo al Santo di Assisi. Ossia, che: «Francesco, sia sul piano
simbolico sia sul piano operativo, fu, indiscutibilmente, un vero e perfetto
Libero Muratore (sic!)».
Quest’assurdità
troverebbe ragione nel fatto che S. Francesco nel riedificare chiese
abbandonate, avrebbe perseguito le stesse finalità, avrebbe utilizzato regole e
strumenti operativi (squadra, compasso, ecc.) tipici dei maestri comacini,
precursori dei Liberi Muratori. Secondo il Gran Maestro, infatti, S. Francesco:
«poté conquistare le più sublimi vette dell'iniziazione e della reintegrazione
spirituale nell'unità divina primigenia. Mai vi fu al mondo un più fulgido
esempio di santità e perfezione laica»[2].
Per
trovare improbabili punti di incontro tra il Poverello e l’istituzione
massonica, il gran Maestro – tralasciando il fatto che Giovanni di Bernardone
non fosse un laico, avendo emesso i tre voti religiosi, vivendo in comunità
religiosa ed essendo diacono –, prosegue la sua esposizione analizzando in
chiave esoterica il simbolo francescano del «Tau».
NUMEROLOGIA
È nota infatti l'affezione
di san Francesco per questa lettera, comune all'antica lingua ebraica ed a
quella greca e che in ambito spirituale assume il significato di salvezza e
salute dell'anima. Tommaso Celano nel «Trattato dei miracoli», del 1225,
scrive che: «fra le tante lettere, gli era familiare la lettera Tau, con la
quale firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle ... con lo stesso
sigillo san Francesco firmava le sue lettere, tutte le volte che per necessità
o per spirito di carità, spediva qualche suo scritto»[3].
Anche
san Bonaventura conferma che «Francesco venerava questo segno e gli era molto
affezionato, lo raccomandava spesso nel parlare, con esso dava inizio alle sue
azioni». Tali asserzioni sono comprovate in modo diretto dallo stesso Santo, il
quale nella cosiddetta «Chartula di Francesco», conservata nel Sacro
Convento di Assisi, impartisce la sua benedizione a frate Leone, per sollevarlo
da una profonda crisi spirituale.
Il
Santo scrisse la Chartula due anni prima della sua morte, dopo il ritiro
sul sacro monte della Verna, sul quale si trattenne nel 1224, dalla festa
dell'Assunzione a quella di S. Michele Arcangelo, ed in occasione del quale
venne insignito delle «stimmate» da parte di un serafino con sei ali, «tanto
luminose quanto infocate». Spiega S. Bonaventura che: «Il verace amore di
Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato»[4].
Ebbene,
il gran maestro di Loggia esperto di simbologia e di esoterismo ricama
riflessioni di stampo iniziatico circa questa "dedica", prendendo
spunto dal fatto che, il Tau segnato da S. Francesco, sembra fuoriuscire dalla
bocca di un viso d'uomo stilizzato. Questo segno attraversa poi il nome di
frate Leone dividendolo in due parti. La prima con la parola frate più due
lettere del nome Leone, cioè «frateLe». la seconda a destra contiene le
rimanenti tre lettere «one».
Dal
punto di vista numerologico, rileva il G. M., la parola “frate” contiene 5
lettere. La parte del nome “Le”, 2. In tutto 7 lettere. Invece le ultime
lettere del nome “one" sono 3. Sommando tutti questi valori si ottiene il
10.
Nell'arte
regia, che secondo Giancarlo Seri il Poverello avrebbe conosciuto ed applicato,
questi numeri trovano i seguenti significati: il 5 rappresenta il pentalfa o
stella fiammeggiante. Il 2 la binarietà del mondo visibile. Il 7 la
realizzazione della cosiddetta grande opera. Il 10 l'irreversibile "salto
nell'abisso" dell'adepto che ha conseguito la «grande opera». Inoltre, il
segno di separazione in due parti del nome, significa esotericamente la
separazione fra il denso e il sottile, l'ordine dal caos, il bianco dal nero.
Senza questa fase non sarebbe possibile avviare alcuna trasmutazione spirituale
iniziatica[5].
TRECENTO CUBITI DI ALTEZZA
A questo punto,
ci permettiamo di osservare che S. Francesco d’Assisi, del tutto rapito
dall’amore in Cristo, avrà certamente sperimentato che «lo Spirito scruta ogni
cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2, 10). Pertanto, la sua conoscenza
derivava dalla scienza infusa dall’alto grado di grazia perseguita, non certo
da discutibili e sotterranee nozioni esoteriche scovate chissà dove. Il
Poverello, attento scrutatore e conoscitore della Parola di Dio, non poteva
ignorare il valore soteriologico che la Bibbia ascrive alla lettera «Tau».
È
il profeta Ezechiele ad attestare, dopo aver visto l’abominio nel Tempio, che
«circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio e la faccia a
oriente che, prostrati, adoravano il sole» (Ez 8, 16), il Signore disse: «Passa
in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna con un tau sulla
fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si
compiono» (9, 4). Questo brano biblico segnerà la tradizione, consentendo il
passaggio dal Tau-croce al 300-croce, poiché Tau=300.
San
Girolamo (+420) affermava che presso gli antichi ebrei, Tau, ultima lettera
dell’alfabeto, ha la forma di quel segno di croce che i cristiani tracciano
sulla loro fronte ed utilizzano come firma manuale. Questo segno veniva
interpretato anche come conclusione e compimento della Parola rivelata.
Origene
riteneva che l’antico modo di scrivere il Tau accentuava la sua forma di croce
e che una profezia risiedeva in questo segno, il quale sarebbe stato perciò
impresso dopo sulla fronte dei cristiani. “Portare la propria croce” secondo le
indicazioni di Gesù, veniva così interpretato anche letteralmente, come il
portare esternamente il carattere interno della Croce[6].
Come
dicevamo, dal punto di vista numerologico, il Tau viene posto in corrispondenza
con il numero 300, ed è inteso come segno di salvezza. Questo numero infatti
compare già nella Genesi (6, 14-15), quando Dio disse a Noè: «Fatti un’arca di
legno di cipresso … Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di
lunghezza».
Origene
spiega ancora che l’arca raffigura la croce redentrice, poiché 300 corrisponde
alla lettera Tau, all’albero della nave col suo pennone, alla croce (Homelia
in Genesin 2, 5). Questa corrispondenza era celebrata liturgicamente nell’Analecta
Hymnica, ove è contenuto l’antico inno cantato anche da S. Francesco: «Ligno
crucis fabricatur / Arca Noe qua salvatur / Mundus a miseria» (Con il
legno della croce venne fabbricata l’arca di Noè che salvò il mondo dalla
miseria).
INTRANSIGENZA FRANCESCANA
Al di là di queste brevi osservazioni,
ci sembra giusto sottolineare che San Francesco, essendo una persona
carismatica, come tutti i fondatori ha vissuto il rapporto carisma-istituzione
non senza problemi e fraintendimenti. Ma come tutti i santi fondatori si è
indirizzato lungo la linea ecclesiale indicata da San Paolo, il quale esorta i
Corinzi ad amministrare i doni dello Spirito Santo per l’edificazione della
Chiesa, senza lasciar spazio a nessuna autonomia. San Giovanni si ferma davanti
al sepolcro vuoto, per fare entrare per primo Pietro, il capo degli Apostoli.
È
comunque certo che il Santo serafico, che ripristinò la stretta osservanza
religiosa, che si spogliò di tutto per amore di Cristo crocifisso, che indicò
la via della penitenza per conseguire la vera pace, esercita ancora oggi un
grande fascino su credenti e non credenti. Sono quindi comprensibili i
tentativi di interpretazione ed “affiliazione” della sua figura che si
sollevano anche da parti estranee alla sua cultura, alla sua religiosità. È
però anche probabile che egli si sarebbe svincolato da molti di questi. Egli
infatti era intransigente circa l’osservanza e la totale sottomissione alla
Curia Romana. Egli non puntò il dito sulla corruzione esistente nel Clero, ma
cercò di ripararla innanzitutto nella sua persona, attraverso la via della
penitenza e della continua conversione a Cristo.
Nella
Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, ad esempio, egli
dichiara di non volere ritenere come cattolici coloro che non dicono l’ufficio
divino o vogliono mutarlo, e perciò rifiuta anche di vederli e di parlare con
loro[7];
così pure di quelli che vanno vagando incuranti della disciplina della Regola.
E nel suo Testamento ribadisce e chiarisce ancora questa sua netta disposizione[8].
Il
“grande Santo” quindi non si sarebbe affatto sentito «in stretta comunione
spirituale con molti di coloro che praticano la Libera Muratoria
Universale», come invece sostiene il G. M. Giancarlo Seri. Francesco infatti
non aveva «come suo unico bagaglio, una sacca contenente gli strumenti dell’Arte
Regia: la squadra, il compasso, la cazzuola, il filo
a piombo, il mazzuolo, la riga e lo scalpello»[9],
ma semplicemente il Vangelo e Cristo crocifisso nel suo corpo.
RESTAURAZIONE DELLA ROMANITÀ
Quando restaurò con le proprie
mani la Chiesa di S. Damiano, fra il 1206 ed il 1208, se anche
utilizzò per necessità strumenti tipici dei muratori, lo fece con tutt’altro
scopo da quello perseguito dai Liberi Muratori. Egli non si atteggiò mai a
capomastro o a direttore dei lavori materiali o spirituali, ma si considerò sino
alla fine un «uomo inutile e indegna creatura del Signore Iddio»[10].
Alla
misteriosa voce che gli disse: «“Francesco, va, ripara la mia casa, che,
come vedi, va tutta in rovina” … dapprima rimase atterrito; poi, colmo di gioia
e ammirazione, prontamente si alzò, e si impegnò totalmente a compiere
l’incarico di riparare l’edificio esterno della chiesa: ma l’intenzione
principale della Voce era diretta alla Chiesa, che Cristo acquistò con lo
scambio prezioso del suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe insegnato ed
egli stesso in seguito avrebbe raccontato ai suoi intimi»[11].
La
missione e l’intenzione che i veri seguaci di San Francesco perseguono è quella
di mantenere viva la sua opera di pacificazione e restaurazione della Romanità,
dai sempre altrettanto vivi tentativi di corruzione provenienti dall’interno e
dall’esterno, proprio ad opera delle consorterie iniziatiche che tanto bramano
di instaurare un dialogo con la Chiesa di Roma. Per realizzare questa missione
ecclesiale, non occorrono strumenti particolari o segreti simbolismi, ma la
grazia che santifica la vita quotidiana e lega sempre più l’anima a Cristo
povero e sofferente. Proprio questa pacificazione dell’anima è espressa come
sintesi e lascito della dottrina spirituale di Francesco d’Assisi al termine
della sua Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, che riportiamo
in conclusione. Se i Liberi Muratori, non essendo più tali, potessero davvero condividere
pienamente questa lode al Dio Trinitario, senza fini occulti ed interpretazioni
raffinate ed originali ordinate ad improbabili accezioni esoteriche del
pensiero e dell’opera del Poverello, allora forse sarebbe possibile un
costruttivo confronto con essi, sempre in vista della comune, totale
conversione e sottomissione di ogni persona, istituzione e dell’intero mondo al
Signore Gesù Cristo:
«Onnipotente,
eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la
forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a
te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi
dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto,
il Signore nostro Gesù Cristo, e, con l’aiuto della tua sola grazia, giungere a
te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni
glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen»[12].
[1] A. A.
Mola, I Francescani in Massoneria e per la Massoneria, in, a cura di G.
Seri, Francescanesimo e Libera Muratoria, Arktos, Carmagnola 1998, p.76.
[2] Ibid. p.
7.
[3] In Fonti Francescane, Ed. Messaggero
Padova, 1990, Sez. Seconda, Cap. II, 827, p. 740.
[4] Ivi, Leggenda maggiore di S. Bonaventura di
Bagnoregio, n. 1228, p. 948.
[5] G. Seri,
a cura di, Francescanesimo e Libera Muratoria, cit., pp. 9-12.
[6]
Cfr. D. Vorreux, Tau simbolo francescano, EMP, Padova 1994.
[7] «Quei frati poi che non vorranno osservare
fedelmente queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati: io non li
voglio vedere, non ci voglio parlare finché non abbiano fatto penitenza», F. F., cit., VI, 229, p. 166.
[8]
«E se si trovassero dei frati che non
recitano l’Ufficio secondo la Regola o volessero comunque variarlo, o non
fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza,
appena trovato uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo dove
l’avessero trovato. E il custode sia tenuto fermamente per obbedienza, a
custodirlo severamente come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non
possa essergli tolto di mano, finché personalmente lo consegni nelle mani del
suo ministro», F. F., cit., 126,
p. 133.
[9] G. Seri,
cit., pp. 94 e 14.
[10] F. F., cit., VI, 229, p. 166.
[11] F. F., cit., L. V, 1334, p. 1022.
[12] F. F., cit., VI, 229, p. 167.