I miracoli confermano la verità di ciò
che uno insegna e manifestano la presenza di Dio in chi insegna, afferma san
Tommaso d’Aquino (S. T., III, q. 43). Essi possono essere compiuti solo per potenza
divina, in quanto solo Dio può mutare l’ordine della natura e l’umano potere,
per aiutare gli uomini a crescere nella fede. Per questo, Cristo operò miracoli
di ogni genere. Come quando alla sua morte fece oscurare il sole (S. T. III, q.
44, 2), dimostrando così il suo potere anche sui corpi celesti a cominciare dal
centurione fermo come la terra ai suoi piedi, il quale credette.
Meno visibile, ma ancor più
portentoso, il miracolo che si ripete durante ogni Messa, al momento della
consacrazione del pane e del vino. Miracolo che nessun’altra religione può
vantare, nessuna magia può imitare e contro il quale le forze degli inferi non
potranno mai prevalere. Esso si ripete a prescindere dalla santità del
sacerdote che attua la transustanziazione, ossia la
trasformazione della sostanza del pane e del vino nella sostanza di Gesù,
morente sulla Croce, pronunciando le antiche parole stabilite dal rito.
L’ultimo miracolo eucaristico
riconosciuto dalla Chiesa si è svolto pochi anni fa. Ed assume un significato
particolare perché si svolse in una chiesa di Buenos Aires, ove era insediato
l’allora cardinale Bergoglio. Il resoconto dei fatti è reperibile in un
articolo di Fr. M. Piotrowski SChr, riportato
in diversi siti.
Il 18 agosto 1996, in una chiesa di
Buenos Aires, una donna avvertì il sacerdote celebrante, don Alejandro Pezet,
di aver visto gettare un’ostia consacrata per terra, in un angolo della chiesa.
Il sacerdote corse a raccogliere l’Eucarestia profanata, la depose in un
contenitore con dell’acqua, come per lavarla, e chiuse il tutto nel
Tabernacolo.
Dopo otto giorni, il 26 agosto, aprendo
il Tabernacolo scoprì che l’Ostia non si era decomposta, ma si era macchiata di
sangue. Informò il cardinale Bergoglio, il quale inviò prontamente un fotografo
per effettuare un accurato rilievo fotografico. Le fotografie mostravano che
l’Eucarestia si era trasformata in un pezzo di carne sanguinolenta. Ed era
inoltre cresciuta nelle dimensioni. Questo fenomeno venne tuttavia tenuto sotto
riserbo, per diverso tempo.
Dopo tre anni,
poiché l’Ostia sanguinolenta non si decomponeva, il Cardinale, peraltro esperto
in chimica, pensò di farla esaminare scientificamente. Nell’ottobre del 1999,
tramite il dottor Castanon, decise di inviare un frammento di particola
insanguinata in un famoso laboratorio di analisi di New York. Bergoglio, pensò
bene anche di non rivelare agli scienziati la provenienza del Reperto da
analizzare, per non influenzare in un senso o nell’altro le indagini.
Il dottor
Frederic Zubiga, noto cardiologo e medico legale, incaricato di effettuare le
analisi, in breve tempo emise i risultati. Oltre a stabilire che il campione
analizzato conteneva DNA umano, emise il responso nel quale si leggeva:
«Il materiale
analizzato è un frammento del muscolo cardiaco trovato nella parete del
ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile
della contrazione del cuore. Va ricordato che il ventricolo cardiaco sinistro
pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco in esame è in una
condizione infiammatoria e contiene un gran numero di globuli bianchi. Ciò
indica che il cuore era vivo al momento del prelievo».
Proseguiva il dott. Zubiga: «La mia tesi è
che il cuore era vivo, dal momento che i globuli bianchi, al di fuori di un
organismo vivente, muoiono, perché hanno bisogno di un organismo vivente per
sostenerli. Quindi la loro presenza indica che il cuore era ancora vivo quando
il campione è stato preso. Per di più, questi globuli bianchi sono penetrati
nel tessuto, ciò indica che il cuore aveva subito un grave stress, come
se il proprietario fosse stato picchiato duramente sul petto». Egli infine confessò che mentre lo
stava analizzando, il pezzo di cuore pulsava, proprio come se fosse vivo.
Lo scienziato venne interpellato dai consulenti
inviati da Bergoglio a controllare lo svolgimento delle analisi circa il tempo
di sopravvivenza dei globuli bianchi di sangue di tessuto umano in acqua.
Rispose che il tempo di sopravvivenza in acqua di cellule bianche di tessuto
umano è solamente di pochi minuti.
Solo allora venne informato della natura
del reperto. Ossia, che il campione da lui analizzato era una particola
consacrata, raccolta dalla terra, tenuta per un mese in acqua naturale, ed
altri tre anni in un contenitore di acqua distillata. Di fronte a questa
dichiarazione, lo sconcerto del dottor Zubiga aumentò, ed egli fu costretto ad
ammettere:
«Come e perché
un’Ostia consacrata avrebbe cambiato il suo carattere per diventare carne viva
e sangue umano rimarrà un mistero inspiegabile per la scienza, un mistero del
tutto al di là della mia competenza».
Quanto deve essere costata questa
ammissione al molto illustre dottor Zubiga, scienziato di primo livello! Egli
porterà imperituro ricordo del clamoroso insuccesso suo e della scienza in cui è
tanto preparato. Come un povero studente umiliato dal professore, egli
abbasserà lo sguardo ricordando il fatto al quale non seppe fornire adeguata
spiegazione scientifica.
Può darsi che egli fosse agnostico o non
credente, come gran parte dei grandi luminari della scienza, prima del “fatto”.
E che qualcosa nel suo cuore sia mutato di fronte a questa palese violazione
delle leggi chimiche. Un tremolio della sua intelligenza, un varco nella sua
preparazione, nella sua professionalità tanto riconosciuta, di fronte alla
constatazione dell’ignoranza umana, che facilmente si gonfia al vento di una
ragione avulsa dalla fede.
Certamente, il dottor Zubiga sarà
rimasto ancora più scosso sapendo che era stato eletto come nuovo papa il
cardinal Bergoglio, proprio colui che gli aveva commissionato l’insolita
indagine. Questo evento gli suonerà come un’attestazione dei prodigi che la
Trascendenza opera tra gli uomini, per portarli alla conoscenza della Verità. Anch’egli
si sentirà sempre più partecipe del disegno della Provvidenza, che non esclude
nessuno, quale attendibile certificatore di quel miracolo eucaristico.
Cose da medioevo, pensava infatti di
queste “superstizioni” il razionalista scientifico, l’esperto manipolatore
della materia, il conoscitore dei più sofisticati processi chimici, prima di sperimentare
tra le sue mani il prodigioso potere di Dio, prima di sentire un tessuto di cuore
umano pulsare vita dove all'opposto avrebbe dovuto essere soltanto farina
putrefatta.
Invece proprio lui, scienziato moderno,
direttore di uno dei più prestigiosi centri di analisi americani, nell’era
tecnologica e computerizzata, dovette riconoscere la presenza reale di Gesù
Cristo nell’Eucarestia e condividere, forse anche solo per un attimo segreto, l’atto
di fede dell’apostolo più freddo e incredulo, Tommaso, il quale, solo dopo aver
messo le dita nelle ferite di Gesù risorto, esclamò con tutta la forza del suo
cuore: «Mio Signore,
mio Dio» (Gv 20, 28).
Noi speriamo che proprio questo semplice
atto di fede nella misteriosa presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, che
abbiamo immaginato emergere tra i profondi solchi della sua ragione, diventi
per questo ed altri uomini di scienza come quel «granellino di
senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi,
ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami
tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Mr 4, 21).