L’entusiasmo e l’ottimismo con i quali il sacerdote paolino don Rosario Esposito ed altri religiosi si impegnarono, a partire dal 1960, per stabilire un dialogo con i
massoni, derivano dagli aspetti
esteriori che la propaganda muratoria trasmette, dissimulando le zone oscure
del suo retroterra iniziatico. Ossia, il significato relativo ai riti ed ai
simboli, il giuramento segreto e l’attività delle logge coperte, i rimandi alla
misteriosofia egizia, i collegamenti con la magia, la finanza occulta, i
riferimenti rituali all’attività del sole, etc.
Anche in virtù di tali zone d’ombra,
l’atteggiamento ufficiale della Chiesa nei confronti della Libera Muratoria
rimane sostanzialmente lo stesso, nonostante le effettive aperture del Concilio
circa il dialogo con il mondo. Continua infatti ad essere valida
l’incompatibilità fra le due appartenenze. Nella Dichiarazione sulla
Massoneria, emanata il 26 novembre 1983 dal Cardinale Ratzinger, allora
Prefetto della Congregazione per la Dottrina e per la Fede, si legge che:
«Rimane pertanto immutato il giudizio
negativo della Chiesa nei riguardi delle associazione massoniche, poiché i loro
principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della
Chiesa e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono
alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono
accedere alla Santa Comunione».
Alla luce di tale giudizio, provocarono
sconcerto alcune dichiarazioni filomassoniche rilasciate da don Esposito. Il
quale, intervistato dal periodico massonico Corriere Partenopeo (anno
XIII, n° 5, luglio 1991), affermò
senza remore di sentirsi «massone fino al profondo dello spirito … solidale
con loro (i massoni), condivido tutto: le costituzioni, i
landmarks, gli antichi doveri. Sono totalmente con loro».
Queste pubbliche ed incondizionate prese
di posizioni a favore della massoneria, confortate dall’apprezzato lavoro
svolto al fine di conciliarla con il Sacro Palazzo, indussero i massoni a
pronunciare un importante riconoscimento di stima a tale sacerdote. Il 2 dicembre
2006, infatti, don Rosario Esposito, ormai minato nella salute, venne nominato
“Maestro Libero Muratore Onorario” della Gran Loggia d’Italia, in pomposa
cerimonia di fronte a 400 massoni.
Quest’episodio fece scalpore. Si rese
necessario l’imbarazzato chiarimento del superiore della Famiglia Paolina, don
Silvio Sassi, il quale precisò che «la
cerimonia alla quale ha partecipato il suddetto sacerdote con l’attribuzione
del titolo, non richiesto, di Maestro Libero Muratore Onorario, non riveste in
alcun modo il significato di un rito di iniziazione né di pubblica
appartenenza. Si tratta, infatti, di una libera iniziativa della Massoneria
della Gran Loggia d’Italia per esprimere apprezzamento e gratitudine
all’attenzione manifestata da don Rosario Esposito in tanti anni di contatti e
di dialogo. Ciononostante non si può non deplorare che il sacerdote, sia pur in
situazione di grave malattia, abbia accettato tale onorificenza».
Don Esposito senz’altro
agiva in totale buona fede. Solo Dio sa se il suo impegno di studioso e di
scrittore abbia fornito, come speriamo, frutti di conversione in quelli che
definiva suoi “parrocchiani”, i massoni. Se uno solo di essi si fosse
convertito alla vera fede, l’audace opera di don Esposito troverebbe conferma
di ragione. Sempre scongiurando che non sia avvenuto il contrario.
Deve essere tuttavia
ben chiaro che la Famiglia Paolina, fin dagli esordi, si è sempre opposta alla
Libera Muratoria, assecondando pienamente i documenti rilasciati dai Papi sotto
i quali si consolidò questa Istituzione. A partire da Leone XIII. Il quale non
perdeva occasione per ribadire che «il Cristianesimo e la Massoneria sono
essenzialmente inconciliabili così che iscriversi all’una significa separarsi
dall’altra» (Lettera al popolo italiano, 8 dicembre 1892).
Don Esposito conferma
che don Alberione «parla spesso della Massoneria, sempre per denunciarne la
posizione fondamentalmente anticristiana e la pericolosità» (in Ecumenismo
e dialogo Chiesa-Mondo nell’insegnamento di d. Giacomo Alberione, in
Palestra Clero, 1989, pp. 331-358). L’Alberione scrupoloso com’era non poteva
trascurare «che tutti i documenti ecclesiali sulla Massoneria sono
radicalmente avversi ad essa, e le addebitano tutti i mali che hanno colpito la
Chiesa e la società dal secolo XVIII ad oggi» (ib.).
Ricordando le tappe
della formazione della Famiglia Paolina, il beato Alberione afferma infatti di
aver sentito la «necessità di scuotere il gioco della dominante massoneria,
con sistemi, organizzazioni, azioni aggiornate … L’opera vigile e risoluta di
Pio X aveva illuminato e richiamato gli uomini di buona volontà … Queste cose
ed esperienze, meditate innanzi al Santissimo Sacramento, maturarono la
persuasione: sempre, solo ed in tutto, la Romanità. Tutto era stato scuola ed
orientamento. Non vi è salute fuori di essa; non occorrono altre prove per
dimostrare che il Papa è il gran faro acceso da Gesù all’umanità, per ogni
secolo» (G. Alberione, «Abundantes divitiae …»,
punti 49-57).
I tempi sono molto cambiati da allora,
rispetto alla “Romanità”. Le aperture conciliari e la stessa opera
filomassonica di don Esposito devono avere influenzato molti religiosi, oggi
più che mai ottimisticamente lanciati verso la determinazione di una Chiesa
nuova, in rottura con il passato ed in continuo dialogo con un mondo che si sta
globalizzando ed omologando sempre più, in prospettiva mondialistica più che
cattolica.
Questa apertura verso la modernità
interna al corpo ecclesiale è stata confermata dal direttore di Famiglia
Cristiana, don Antonio Sciortino, in una recente intervista, nel corso della
quale ha dichiarato: «Dobbiamo uscire dalla vecchia (sic!) visione
preconciliare della Chiesa identificata nei preti, nei vescovi e nel Vaticano.
Bisogna tornare alla concezione dove i laici hanno la stessa dignità e la
stessa vocazione all’interno della Chiesa, come popolo di Dio, dove tutti siamo
uguali in forza del battesimo con diversità di ruoli e di funzioni. Dopo di
che, la Chiesa nella storia ha sempre avuto i suoi problemi. È divina come
costituzione, ma è formata da uomini con tutte le loro pecche. Non è questa la
cosa che deve preoccupare» («Il Paradiso non è una nuvoletta dorata –
Intervista a don Antonio Sciortino», Prima.it n. 427, aprile 2012).
Viene così espressa l’insofferenza di
molti sacerdoti e teologi circa la Chiesa preconciliare, definita “vecchia”
rispetto alla sua immagine restaurata ed aperta alle esigenze del mondo moderno
e di altri “palazzi”. Duemila anni di storia cortocircuitati da questa
concezione ecclesiale storicistica ed antigerarchica che, nel tentativo di
unificare, moltiplica le voci interne, creando un clima di confusione più
conforme a Babilonia che a Roma.
Don Sciortino svolge un ruolo di grande
influenza e responsabilità all’interno della Chiesa, proporzionato peraltro al
suo indubbio valore personale e professionale. Sembra persino impossibile che
un personaggio tanto capace e preparato sia così autolesionista da non rendersi
conto di colpire, con interventi di questo tipo, l’albero nel quale egli stesso
è cresciuto fino alle sommità, e nel quale ha trovato modo di formare e
influenzare le coscienze di molti fedeli. Ricordiamo peraltro che se
qualcuno dicesse che la Chiesa Cattolica non è gerarchica, istituita da
ordinazione divina, composta da vescovi, presbiteri e ministri: «anathema
sit» (DS 1776).
In
effetti, i problemi dei Paolini, crisi economico-editoriale e vocazionale compresa,
sembrano essere correlati al prevalere di questa tendenza dottrinale
“innovativa”, in rottura con il passato, che si esprime anche in ambito
liturgico. Del resto, lex orandi lex credendi.
È certo che Don Alberione, il Giaccardo, il canonico Chiesa, che con scrupolosa osservanza e fede sincera hanno legato la loro opera a Dio religiosamente, mediante “cambiali”, “patti”, “contratti” ben accetti al Signore, non avrebbero acconsentito a procedure ed interpretazioni liturgiche che, come una cartina di tornasole teologica, dimostrano dubbia ortodossia in chi le attua.
Le celebrazioni dei primi paolini erano all’antica, in latino della volgata, con l’altare rivolto verso Dio. Il loro breviario era quello romano e veniva da essi scrupolosamente recitato quotidianamente, malgrado tutti i comprensibili impegni di una congregazione nascente. Essi appartenevano alla tanto vituperata Chiesa “preconciliare”, che però servivano con somma devozione ed obbedienza, senza accusare di vecchiaia (perché non si accusa di vecchiaia la propria mamma), senza sentirsi migliori di quanti li avevano preceduti, per quanto forse anche allora i tempi cambiassero rispetto al passato.
Probabilmente i beati Paolini, riposti sugli altari come belle figure da omaggiare, oggi si sentirebbero a disagio nella loro Famiglia, così moderna ed aperta verso quel mondo che essi fuggivano, per convertire. Ad essi forse toccherebbe la stessa sorte dei fratelli che amano la Tradizione e che per questo vengono guardati con sospetto dalla Chiesa dialogante con la modernità e la mondialità.
Questi
fratelli, innamorati come l’Alberione del mondo alla luce della Romanità,
trovano tuttavia consolazione e premio nel campo disertato e disprezzato dagli
altri, ove è rimasto sepolto l’antico “tesoro” (la Messa in latino, la salmodia gregoriana, il Breviarium Romanum),
oggi in disuso e tristemente disertato proprio da quelli che, grazie ad esso, si trovano dove
sono.