Prassi consolidata
nelle società tradizionali il sacrificio propiziatorio offerto alle divinità
della natura. Dai prodotti dell’agricoltura, agli animali allevati o prede della
caccia. Questo ed altro veniva offerto o bruciato sulle are per attirare il
favore degli dei, stabilendo così come una sorta di alleanza fra i celebranti e
le forze invisibili celebrate.
Non sempre tuttavia
il prezzo richiesto per tale alleanza si limitava a questo aspetto, persino
comprensibile. Il passo successivo ed aberrante dell’alleanza con gli idoli, o
demoni, comprendeva l’offerta di sangue umano. Il potere di “intercessione” di
questo elemento era decisamente più alto e gradito dalle potenze evocate
rispetto a quello delle galline, capretti, ortaggi di vario tipo.
Le lotte fra
i popoli rappresentavano dal punto di vista metastorico gli scontri fra gli
idoli protettori per estendere il loro potere anche sui vinti. La divinità
maggiormente fortificata dalle offerte rispondeva dando forza e vittoria al
popolo protetto. Il prezzo invariabile richiesto per questa protezione e forza psichica
espressa in aggressività era dunque alto e terribile.
Il filosofo
Foucault interpreta il ruolo dei re pagani come il potere di disporre del
sangue dei propri sudditi, oltre che delle vittime e prigionieri di guerra. Nelle
religioni precristiane, erano infatti le celebrazioni e le connessioni del
sesso e del sangue a caratterizzare il succedersi delle monarchie e delle
politiche aggressive delle popolazioni. La guerra diveniva così occasione per
procurare vittime alle divinità venerate, attraverso la logica del “do ut des”.
Evidenti tracce
di questa usanza sono state individuate nelle società precolombiane dell’America
centrale. Le piramidi scoperte dai conquistatori spagnoli fungevano anche da
altare per immolare migliaia di vittime al dio sole, il quale così traeva la
forza per risalire quotidianamente dalle oscurità notturne. Ma non bastava che
il sole risorgesse ogni giorno. Era anche necessario che il nuovo giorno fosse
propizio e non funesto.
Si
designavano allora oltre ai prigionieri di guerra, bambini sani e di
bell’aspetto che fin dalla nascita venivano allevati e preparati per quanto
possibile alla morte rituale. Nel momento cruciale di tali cerimonie, essi
venivano colpiti al seno dal boia-sacerdote con pugnali acuminati consacrati a
tale uso. Il cuore trafitto, ancora palpitante e grondante di sangue veniva poi
strappato e offerto al cielo, sulle terrazze delle piramidi tronche.
Anche sulle
sponde del Mediterraneo avvenivano omicidi rituali a sfondo propiziatorio. Lucano
ad esempio, nel Pharsalia III,
specifica che in un bosco sacro vicino all’attuale Marsiglia i Druidi in
candide vesti sacrificavano vittime umane e marchiavano ogni albero con il
sangue delle stesse. Diodoro Siculo (V 31, 2-5) riferisce dell’usanza druidica
di pugnalare le loro vittime e di fornire previsioni sul futuro sulla base dei
loro spasmi. Anche Tacito, negli Annali
XIV, racconta di un bosco sacro posto nell’isola di Anglesey dove i druidi
seviziavano i prigionieri.
Giulio
Cesare, nel De bello gallico, Libro VI, afferma che tutta la
popolazione dei Galli era molto dedita alle “pratiche
religiose”. In caso di malattie o in prossimità di battaglie essi <<sacrificano
degli uomini invece delle solite vittime o fanno voti di immolare se stessi e
prendono i Druidi come assistenti a quei sacrifici, perché se non si offre la
vita dell'uomo in cambio della vita dell'uomo, essi ritengono non si possa
placare la volontà degli dei immortali e sacrifici di questo genere li fanno
anche pubblicamente. Altri hanno simulacri si straordinaria grandezza, le cui
membra intrecciate con vimini essi riempiono di uomini vivi, accesi i quali gli
uomini che vi sono dentro circondati dalle fiamme sono arsi. Essi ritengono
siano più graditi agli dei immortali i supplizi di coloro che siano stati sorpresi
nell'atto di rubare o nel furto a mano armata o in qualche altra colpa; ma
quando sia venuta a mancare una disponibilità di vittime di questo genere,
ricorrono persino a sacrificare innocenti>>.
In virtù
della loro innocenza e “freschezza” i bambini erano molto richiesti nella
pratica del sacrificio rituale. Spesso venivano sepolti nella fondamenta di
santuari come offerte propiziatorie. Lo testimonia ad esempio un ritrovamento
di una sepoltura di tarda epoca romano-celtica, ad Alcester (Warwickshire), di
dieci bambini e di una bambina a cui era stata tagliata la testa e deposta tra
le gambe.
Questo tipo di
reperti richiama il valore magico e propiziatorio attribuito alle vittime
innocenti, specialmente nei riti segreti correlati alla fondazione di un tempio,
di un’associazione o di una città. Si spiega così la necessità della presenza
di un sacerdote nelle cerimonie istitutive come per definire la zona
d’influenza e l’efficacia spirituale dell’edificio, del gruppo o della futura
città, prima ancora che iniziasse l’opera dell’agrimensore che doveva in
pratica realizzarne il confine e la struttura.
Anche per tale
ragione occulta connessa al sacrificio da perpetuare sistematicamente con nuove
e significative offerte, più o meno mascherate, le città avevano più nomi:
quello pubblico, quello sacrale e appunto quello segreto. Roma stessa possedeva
il nome sacrale di Flora e quello occulto
di Amor. E si sa che il parlare al
contrario è proprio del demonio, come a simboleggiare la sua dialettica
depistante, che inverte e confonde il vero volto del reale, contraria alla
logica del si e del no raccomandata da Cristo (Mt 5, 37).
È
interessante peraltro una considerazione lasciataci da Orazio. Nel quinto Epodi, il poeta narra del rapimento di
un fanciullo effettuato da un gruppo di streghe intenzionate a sacrificarlo, per
estrargli le viscere ed il fegato necessari alla preparazione di un filtro
d’amore. Dopo aver cercato di impietosire per distogliere le megere dalle loro
intenzioni, il ragazzo ritrovatosi inesorabilmente interrato fino al mento e
destinato a morire di inedia, lancia alle sue seviziatrici imprecazioni e
minacce: <<Vi maledirò; e questa
maledizione nessun sacrificio potrà espiarla. Quando messo a morte sarò
spirato, innanzi vi comparirò nelle notti come un demone, larva che con gli
artigli ci ghermirà il volto, perché questo possono i morti. E pesando sui
vostri cuori inquieti, nel terrore vi ruberò il sonno>>(Orazio, Odi ed Epodi, Garzanti, Milano 1992, p.
300).
Più del
valore poetico di tali versi, è interessante rilavare quanto Orazio riferisce
circa il “potere dei morti” di riapparire in vesti di demone per torturare i loro
carnefici. Questo perché il doloroso trapasso ha determinato nelle vittime comprensibili
sentimenti di odio e vendetta. Sentirsi morire d’inedia, bruciare appesi ad una
cesta penzolante fra gli alberi, o lacerare il petto fino all’estrazione del
cuore difficilmente provoca sentimenti di pace e fratellanza universale.
Del resto,
gli officianti del sacrificio umano dovevano ben guardarsi ed auto proteggersi attraverso
procedure magiche dalla reazione negativa delle vittime assetate di vendetta,
dopo morti così ingiuste ed orrende. Energie negative e malevole continuavano a
perseguitare i responsabili di tali nefandezze i quali, nonostante l’essere
spesso ridotti a larve umane soggette ad allucinazioni e pazzia, venivano comunque
protetti e utilizzati dal “sistema” per questo servizio agli idoli.
Demoni, larve
psichiche raffigurate con artigli e denti digrignati rappresentano dunque l’iconografia
generica degli stati negativi associati a decessi tragici e delittuosi. Tali
negatività possono sprigionarsi anche nel caso di morti avvenute in guerra, in
seguito a disastri naturali, o incidenti di vario genere. Anche gli aborti
procurati sprigionano un alto potenziale di tensione negativa, utilizzata nella
magia nera, in quanto rottura dell’armonia cosmica designata alla vita e non
alla morte.
Quando insomma
la morte coglie in modo improvviso e tragico, senza una serena accettazione, si
creano intorno al sangue versato e rimangono ancorati alla terra “resti psichici”
che conservano l’angoscia, la sofferenza, il senso di vendetta provate dai
soggetti negli interminabili momenti finali della loro esistenza terrena. Questi
resti psichici possono addirittura essere intrappolati e conservati per usi
magici. Attraverso di essi gli spiriti inferi riescono ad interagire con la
dimensione ctonia, potenziando fin dove possibile i loro fornitori di tale
illecita “energia”.
Molti di
questi aspetti negromantici conosciuti e praticati fin dall’antichità non erano
estranei alla corte imperiale romana, presenziata dal divino imperatore-pontefice.
Ad esempio, il culto autoctono del Sol
Invictus, ufficializzato da Aureliano in Roma qualche decennio prima della
vittoria di Costantino, riproponeva quello originario del dio Sol. Ebbene, tale misterioso se non
proprio “misterico” culto non poteva essere costituito solamente dalle liturgie
pubbliche, dai cortei trionfali che seguivano vittorie e conquiste. Tale forma
di enoteismo solare infatti consentì a Roma di rinnovare (momentaneamente) il
proprio ruolo di centro spirituale e di asse cosmico nel quale si concentravano
tutte le forze arcane del Mundus. Sul
cui altare doveva continuare ad essere alimentato (non solo con legna) ed ardere
il fuoco sacro del dio solare protettore dell’Urbe.
Forme rituali
magiche a noi sconosciute perché sigillate dal segreto iniziatico dovevano per
forza di cose accompagnare quelle popolari perpetuate nell’Impero. Nonostante la
mancanza di documentazioni ufficiali e prove certe in merito, i sacrifici
rituali non potevano essere estranei alla religiosità che consentì all’Impero
di unificare per diversi secoli i popoli europei e mediterranei intorno al
centro politico e spirituale di Roma-Amor. Le divinità pagane, demoni per
intenderci, richiedevano sempre lo stesso prezzo per sostenere gli imperi sorti
dappertutto nel mondo.
D’altra parte,
l’esercito romano non era tenero con i propri nemici. Il potere di attribuire
la morte ai nemici dell’impero era un potere anche magico finalizzato a
garantire, attraverso il costante ribollire del calderone magico connesso al
sacro fuoco, l’egemonia politica ed economica dell’Urbe. Il sangue versato era
offerto attraverso una sorta di “consacrazione” a priori alle divinità celebrate
sull’ara del misterioso Mundus. La
figura stesa dell’imperatore, il pontefice massimo intermediario fra il
visibile e l’invisibile, era designata a scendere nell’oscurità delle tenebre
per propiziare e garantire l’offerta alla divinità solare venerata nella sua
persona.
Anche se
quanto detto non è dimostrato da prove certe, il ritualismo connesso all’uso
magico del sangue, che costituisce il cuore stesso delle forme di religiosità
pagane, venne comunque messo in crisi da un evento imprevedibile: la crocifissione
di Gesù Nazareno. In questo caso, i demoni ai quali risalivano le offerte delle
guerre, delle sommosse, delle morti comuni, si trovarono di fronte non un uomo,
ma lo stesso Dio, il Verbo dal quale tutto ha tratto origine.
Quando infatti
oltre al sangue di prigionieri o nemici di vario genere finì nel calderone
delle liturgie segrete quello del Figlio di Dio, iniziò la definitiva rovina dell’impero
romano. La passione e morte in Croce del Figlio di Dio significò la liberazione
degli uomini dal potere del demonio, celebrato come divinità. E come sui tempi
pagani vennero eretti quelli cristiani, così sull’impero romano, come su uno
“sgabello”, venne strutturato e si innalzò nei secoli l’impero spirituale della
Chiesa di Roma.
La Lettera
agli Ebrei è chiara riguardo al sacrificio della Vittima innocente, l’Agnello
di Dio, Gesù Cristo (Eb 10, 1-23). Nel momento della morte, Gesù il Cristo, al
tempo stesso Altare, Vittima e Sacerdote, sconfisse una volta per tutte le
divinità celebrate e celate dietro simboli, statue, processioni e feste pagane.
Gesù ne fece corteo di conquista trionfale dietro sé.
In virtù della
crocifissione e morte del Cristo <<il quale avendo offerto un solo
sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio aspettando
ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi>> (Eb 10,
12), il sangue versato in nome ed in comunione con Dio avrebbe sortito lo
stesso effetto di quello divino. Più i romani sacrificavano i cristiani, più
affrettavano la rovina dei venerati idoli gravitanti intorno al demone solare.
Solo nel
momento cruciale della Passione, le potenze avverse cercarono di cambiare la fallimentare
strategia del contrasto diretto contro il Figlio di Dio. La moglie di Pilato fece
un sogno che la turbò. Avvisò il marito. Ma era troppo tardi. La furia sanguinaria,
la sete di violenza della bestia aveva messo in moto un processo irreversibile di
autodistruzione che avrebbe designato la definitiva disfatta delle forze
dell’aria che per secoli avevano assoggettato l’uomo.
Poiché la
sapienza della Croce <<non è di questo mondo>>, i dominatori di
questo mondo vennero ridotti al nulla proprio crocifiggendo <<il Signore
della gloria>> (1Cor 2, 7,9). Essi segnarono così la loro sconfitta che
si perpetua quotidianamente sugli altari, durante le sante Messe. Le quali, come
ben sanno i Christifideles, rinnovando
in modo incruento il sacrificio redentivo di Gesù Cristo, rinnovano in perpetuo
il trionfo del Bene sulle forze degli inferi.