San Paolo
innalzato misteriosamente fino al “terzo cielo” ebbe modo di contemplare gli
aspetti più insondabili della realtà divina. Egli conobbe in via del tutto
eccezionale i sacri arcani custoditi dagli angeli e le rispettive gerarchie
celesti che regolano e governano i cieli e la terra, i Principati, le Potestà,
le Virtù (1 Cor 15, 24) ed i Troni (Col 1, 16), poste sotto il
trono dell’Altissimo.
L’Apostolo delle
genti alluse in terza persona a questa sua particolare esperienza, probabilmente
vissuta tra la conversione sulla via di Damasco e l’arrivo a Corinto, nella
lettera ai fedeli della capitale dell’Attalia: <<Conosco un uomo in
Cristo che, quattordici anni fa … fu rapito fino al terzo cielo … Questo uomo
fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno
pronunziare>> (2 Cor 12, 2).
L’intensità di
tale rivelazione sui “cieli aperti” dovette per forza di cose provocare in Paolo
un ulteriore accentramento di tutto il suo essere in Dio, dopo quello già
avvenuto sulla via di Damasco. Egli infatti vide svelarsi in modo
incomprensibile il mistero di tutta la realtà centrata in Dio, come intorno ad
un Centro universale ed unico, dal quale e nel quale trova origine e fine ogni
cosa. L’esperienza fu così grandiosa e straordinaria che il Signore gli assegnò
subito un’afflizione: <<una spina nella carne, un inviato di satana
incaricato di schiaffeggiarmi perché io non vada in superbia>> (2 Cor 12,
7).
L’eco del misterioso evento
descritto nella Seconda Lettera ai
Corinti risuona anche nell’inno cristocentrico inviato ai santi della città
di Efeso, nel quale l’Apostolo delle genti afferma il telos o fine divino <<di ricapitolare in Cristo tutte le
cose, quelle del cielo come quelle della terra>> (Ef 1, 10). Cristo
infatti è stato posto da Dio alla sua destra nel vertice dei cieli, al di sopra
degli angeli: <<di ogni principato e autorità, di ogni potenza e
dominazione>> (ivi 1, 20-22).
Quando Paolo celebra la
gloria del Cristo Pantocrator che riempie
l’intero universo, sembra voler anche indicare il passaggio da una concezione
antropocentrica della realtà a quella soprannaturale cristocentrica. Come se in
proporzione alla fede in Cristo (la Scrittura cresce con il suo lettore, diceva
san Gregorio Magno), corrispondesse una precisa visione anche del mondo fisico.
Del resto: <<Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio
la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di
gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore>> (2 Cor 3,
18).
In Cristo, che si è definito
Via, Verità e Vita, l’alfa e l’omega di tutto, si risolve ogni dinamica
universale, il telos di ogni movimento,
inteso in senso lato. Come attorno ad un Centro universale assoluto, Vertice
supremo trascendente, tutta la creazione pulsa e gravita intorno alla divinità
di Cristo in una sorta di moto centripeto e centrifugo, un exitus ed un reditus non
solo spirituale. È il Verbo infatti che imprime al tutto come “causa efficiente”
la virtù di muoversi ed evolvere, attuando le fasi e gli eventi che consentono
l’evoluzione della vita biologica e spirituale, fino alla determinazione del
passaggio dalle prospettive antropocentriche a quelle teocentriche.
Non è che l’Apostolo delle
genti abbia voluto definire una forma geometrica del cosmo, ponendo Cristo al
vertice della creazione in relazione agli angeli, come in un luogo trascendente,
seduto in modo simbolico alla destra di Dio, nel senso esclusivo di causa
efficiente e finale del tutto. Tuttavia i suoi inni cristocentrici sembrano alludere
ad un’immagine metafisica del cosmo, intesa come riflesso della dimensione
teologica nella realtà sensibile.
Per mettere a fuoco quella
che sembra essere l’immagine del cosmo paolino, occorre innanzitutto predisporre
un capovolgimento radicale del comune modo di concepire la dimensione naturale
in senso scientifico ed antropologico. Ora infatti <<la nostra conoscenza
è imperfetta … vediamo come in uno specchio, in maniera confusa>> (1 Cor 13 9, 12). Sappiamo peraltro che la
sapienza umana è condannata da Dio (Is 29, 14) che <<ha scelto ciò che
nel mondo è stolto per confondere i sapienti … perché nessun uomo possa
gloriarsi davanti a Dio>> (1 Cor 1, 27).
La cosmologia che pone il
principio primo dell’esistenza e della conoscenza in Cristo richiede pertanto
un superamento della visione scientifica della realtà, per giungere ad
un’immagine della stessa pienamente cristocentrica. Del resto, siamo spronati
dall’Apostolo a non conformarci <<alla mentalità di questo secolo>>,
in gran parte determinata dall’autorità della scienza dell’immanente, ma a
trasformarci rinnovando la nostra mente <<per poter discernere la volontà
di Dio>> (Rm 12, 1-2). Ossia, il sottomettere il tutto a suo Figlio
unigenito, <<come sgabello dei suoi piedi>> (Salmo 110, 1).
Questa affermazione
rappresenta senz’altro un modo di dire. Tuttavia, indica anche che i piedi del
Signore poggiano, in senso metaforico, in ogni punto all’interno del suolo
terrestre, ovviamente sferico. La “sfera universale” avente come “centro” l’Essere
sussistente (Esse ipsum) del quale
partecipa tutta la realtà, rappresenta l’immagine teologica che più rispecchia l’ordine
cosmologico, alla luce della cristologia paolina.
L’immagine assume un
ulteriore significato metafisico, considerando il globo universale dal punto di
vista endosferico e non esosferico. Intendendo per così dire “il tutto” come
interno alla Terra e non esterno. Come invece è stata considerata la realtà
celeste dalle cosmologie che si sono succedute nel corso dei secoli. Compresa
quella aristotelico-tomista che poneva la terra al centro del mondo e Dio nella
sfera esterna dell’empireo.
La cosmologia cristocentrica
paolina ribalta questo dato iniziale della conoscenza, ponendo invece Cristo Via,
Verità e Vita nel luogo nevralgico della sfera universale, ove si manifesta la
sua Gloria. La terra in questo senso può intendersi come il bordo esterno della
creazione, lo sferoide che contiene al suo interno il tutto, come limite della
realtà non accessibile alle sfere infere escluse dal Regno dei cieli ed aperte
nell’indefinito esterno.
La Terra come Tempio
universale nel cui interno staziona come in un tabernacolo la Gloria di Dio, è
un’immagine cosmologica che capovolge il tradizionale modo di intendere la
realtà celeste e terrestre. Siamo infatti soliti interpretare il tutto
“umanamente”, come esterno alla terra. Appare dunque un’assurdità considerare
il cosmo come l’interno di un uovo il cui guscio è rappresentato dal suolo
terrestre. Si è convinti che l’universo sia infinito, isotropo, omogeneo, che
le distanze fra stelle e galassie siano enormi ed esprimibili in “anni luce”,
come se un “anno luce” fosse una distanza reale come il metro. La scienza ha
imprigionato la nostra mente all’interno delle sue conclusioni.
San Paolo alla luce della
sapienza divina allude invece ad una struttura gerarchica e finita dello spazio
fisico. Egli attraversò tre cieli. E tre cieli corrispondono alla terna dei
cori angelici, a loro volta strutturati in tre sottocori, indagati da san Tommaso
d’Aquino alla luce dell’opera di Dionigi l’Areopagita, De Caelesti hyerarchia, sul ruolo delle gerarchie angeliche
nell’ambito universale.
D’altra parte, San Tommaso pone l’esistenza delle
creature angeliche come un fattore indispensabile per giungere alla conoscenza
della realtà, perché se l’universo deve rappresentare Dio, allora <<è
necessario che nella scala degli esseri ve ne siano di puramente intellettuali,
quindi incorporei e perciò anche senza materia, perché l’intendere è operazione
del tutto immateriale>> (Somma T.,
I, q. 50, 1-2).
Gli angeli pertanto sono in
gradi di trasmettere agli uomini visioni simboliche o illuminazioni dirette,
poiché in genere gli esseri dei gradi inferiori vengono ricondotti a Dio per
mezzo degli esseri dei gradi superiori. Questo perché <<gli esseri più
alti del genere inferiore appaiono vicini al genere superiore e
viceversa>> (Cont. Gent. III)
secondo i principi della gerarchia celeste.
In questo senso, gli angeli
partecipano agli uomini immagini adeguate alle loro qualità. Come quando nella “notte
santa” si aprirono i cieli ed essi apparendo ai pastori proclamarono il Gloria in excelsis Deo. O come quando san Paolo, <<con il corpo o senza corpo,
lo sa Dio>> (2 Cor 12, 3), venne innalzato fino al vertice della creazione.
In quello che costituisce il Centro ontologico della realtà universale, ove
risiede la Gloria inaccessibile di Dio, fonte eterna di pace per gli uomini di
buona volontà.