venerdì 3 giugno 2011

Il volto ambiguo dell’eliocentrismo



Ben note sono le polemiche che Galilei innescò con la gerarchia cattolica. Famosi i processi che egli subì da parte della Chiesa rinascimentale, accusata, ingiustamente, di arretratezza culturale, oscurantismo, ecc. Altrettanto conosciuto è lo sfruttamento, sproporzionato, di tale complessa vicenda da parte dei circoli anticlericali. I quali fiutarono nella controversia che pose in discussione l’astronomia aristotelica la possibilità di sferrare un micidiale attacco non solo alla cosmologia e filosofia scolastica, ma al cuore stesso della dottrina facente capo alla Tradizione Apostolica.   

Certo, non sono mancate voci autorevoli che hanno abilmente cercato di ridimensionare tale erronea interpretazione, mettendo in luce le ragioni che costrinsero la Chiesa rinascimentale a rispondere a tali attacchi. Tra le altre, quella dell’allora cardinale Ratzinger che citò testualmente Bloch, <<con il suo marxismo romantico>>, il quale scrisse che <<il sistema eliocentrico – così come quello geocentrico – si fonda su presupposti indimostrabili>>. Ratzinger spiega che, secondo Bloch, <<il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo>>.  

Ratzinger prosegue il suo intervento chiamando in causa il filosofo agnostico P. Feyerabend, secondo il quale: «”La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione”. Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. Von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una «via direttissima» che conduce da Galileo alla bomba atomica>> (J. Ratzinger, La crisi della fede nella scienza, Ed. Paoline, Roma 1992, p. 76-79). 

Per quanto riguarda la precedente osservazione di Bloch, citata da Ratzinger, è necessaria una puntualizzazione. Non è vero infatti che la teoria di Copernico apportava una semplificazione di calcolo, dal momento che gli epicicli utilizzati da Tolomeo per spiegare il moto retrogrado dei pianeti non vennero eliminati dall’ipotesi eliocentrica, che postulava un terzo moto di declinazione della Terra, oltre a quelli di rotazione e rivoluzione. I tecnici della NASA, per seguire le sonde spaziali utilizzano un sistema geostazionario, perché ovviamente più semplice di quello geo-rotazionale. 

La teoria copernicana pertanto non produsse <<nessun progresso nella precisione dell’osservazione, come pure negli strumenti matematici o nella fisica. La teoria geocentrica e quella eliocentrica rendono conto senza dubbio egualmente dei fenomeni, sono equivalenti dal punto di vista dell’osservazione>> (J. P. Verdet, Storia dell’astronomia, Longanesi, Milano 1995, p. 78). Come rendendosi conto di questo stato di fatto, Karl Popper giunse alla conclusione che: <<La rivoluzione copernicana, dunque, non prende le mosse da delle osservazioni, ma da un’idea di carattere religioso o mitologico>> (K. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, p. 177), che abbiamo peraltro messo in luce in altri interventi.  

Resta infatti da comprendere il motivo che sta alla base di tale sovvertimento della visione celeste, dal momento che la complessità dei due sistemi era pressoché equivalente. Al di là di ogni sterile polemica, è bene ribadire che in tale controversia, solo apparentemente scientifica, emergono prospettive che esulano dal ristretto ambito astronomico, per confluire nelle forme inquietanti della cultura e della religiosità iniziatica, le cui radici affondano nella più cupa era primordiale, ove ragione e superstizione costituivano un unico corpus dottrinale. Non per pura coincidenza, peraltro, con l’avvento della rivoluzione astronomica rinascimentale ha ripreso vigore, insieme alla cosiddetta filosofia induttiva propria della scienza moderna, quella pletora di idoli e di credenze irrazionali e naturalistiche che l’imporsi del cristianesimo aveva relegato nei luoghi oscuri della clandestinità, in seguito alle condanne inequivocabili impartite dai Padri della Chiesa (cfr Il millennio antieliocentrico).  

È chiaro che chi non è sensibile a questi temi, potrebbe giudicare fuori luogo porre in relazione la nascita e l’affermazione di un modello astronomico, che si impose dopo una pungente polemica con i difensori della tradizione aristotelico-tomista, con quelle pratiche e credenze proprie della più oscura magia, che ai nostri occhi appaiono prive di qualunque fondamento razionale, se non proprio frutto di fantasia. Che rapporto infatti ci può essere fra le bizzarre formule di invocazione di quei <<diavoli che hanno la potenza di scompigliare i cuori degli uomini e delle donne>> (La Clavicola del Re Salomone, Brancato Editore, Catania 1989, p. 27) con le asettiche relazioni geometriche che descrivono il tranquillo transito dei pianeti intorno al sole? Apparentemente, niente.  

Tuttavia, è risaputo che proprio la magia e le pratiche occulte hanno svolto un ruolo centrale nella determinazione dei nuovi indirizzi culturali, in particolare il razionalismo scientifico, che andavano formandosi dopo il disfacimento del Medioevo, epoca: <<che rappresentò per l’Europa una straordinaria culminazione spirituale (ogni commento sarebbe davvero superfluo, da questo punto di vista, circa la ridicola storiella dei “secoli bui”), prima che gli elementi disgregatori dell’Ecumene medievale finissero per travolgere anche quelle organizzazioni esoteriche che ne rappresentarono in certo modo il simbolo più augusto. E difatti tali Ordini si estinsero e solo la Massoneria poté  sopravvivere, anche se profondamente modificata>> (G. Faraci, Il vero fine della Massoneria, Arktos, Carmagnola - To 1993, p. 30) 

A ben vedere, allora, è possibile rilevare una stretta attinenza fra eliocentrismo e magia, ovvero fra scienza (apparente) e dottrina (mascherata), che proietta la complessa questione della rivoluzione scientifica rinascimentale nell’oscuro ambito del pitagorismo magico. Infatti, il modello eliocentrico possiede una doppia valenza, dal momento che può essere considerato sia secondo la nota prospettiva copernicana. Ma anche e soprattutto secondo l’accezione mistica di Giordano Bruno, che vedeva in esso come un sigillo spirituale, segreto, da sfruttare, per rimettere in gioco quelle entità spirituali spodestate dalla dottrina evangelica, ma alle quali si rifacevano, e si rifanno, i cultori della religiosità egizia e del linguaggio allusivo e simbolico.  

Mircea Eliade, dopo aver riconosciuto che: <<Un risultato estremamente sorprendente degli studi contemporanei è stata la scoperta del ruolo che la magia e l’esoterismo ermetico hanno avuto non solo nel Rinascimento italiano, ma anche nel trionfo della “nuova astronomia” di Copernico, cioè nella teoria eliocentrica del sistema solare>>, attesta chiaramente che: <<Se Giordano Bruno salutò con entusiasmo le scoperte di Copernico, ciò non fu in primo luogo per la loro importanza scientifica e filosofica; fu perché per Giordano Bruno l’eliocentrismo aveva un profondo significato religioso e magico. Durante la sua permanenza in Inghilterra, Bruno profetizzò l’imminente ritorno della religione egizia com’è descritta nell’Asclepio, il famoso testo ermetico. Interpretando il diagramma celeste copernicano come un geroglifico dei misteri divini, Bruno si sentiva superiore a Copernico, che intendeva la propria teoria solo da matematico>> (M. Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Sansoni, Firenze 2004, p. 57). Fantasie di un visionario, quelle di Bruno? 

I riferimenti all’aspetto metafisico ed ermetico presente nel modello eliocentrico sono ben noti. Copernico stesso li espose, nel De revolutionibus orbium coelestium, pubblicato alla fine della sua vita, nel 1543. In tale ambito, l’astronomo polacco rivolge una dedica al Papa Paolo III nella quale riconosce di aver preso spunto dai pitagorici Filolao ed Eraclide Pontico, oltre che dall’enigmatico Ermete Trismegisto, circa l’idea rivoluzionaria del moto terrestre.  

Nel corso della sua opera, in particolare nel Capitolo X, Copernico si riallaccia chiaramente all’arcaica metafisica solare, esaltando il sole solennemente, al pari di una divinità: <<In mezzo a tutti [i pianeti] sta il sole. In effetti, chi in questo tempio bellissimo, potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore da quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme? Per questo, non a torto, alcuni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri guida. Trismegisto [lo chiama] Dio visibile. Così, certamente, il sole, come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli sta intorno>>.  

È alla luce di tali misticheggianti argomentazioni, in linea con quelle sostenute, tra l’altro, da Marsilio Ficino, primo traduttore del Corpus Hermeticum, pubblicato nel 1471, che l’astronomo polacco si convinse della validità della tesi dell’immobilità del sole e della rotazione terrestre. Copernico infatti si riannodò all’idea pitagorica che, siccome l’immobilità è da ritenersi più nobile del movimento, allora il sole, aspetto visibile di una presunta divinità invisibile, non può muoversi intorno alla terra, ma stazionare al centro della compagine planetaria.  

Questa è la concezione metafisico-pitagorica che costituisce l’idea basilare dell’ambivalente paradigma copernicano. Tutte le tabelle, le prove scientifiche (si fa per dire) prodotte dall’astronomo polacco, che da platonico si dimostrò alquanto disinteressato all’osservazione celeste, sono tese alla conferma di tale presupposto ermetico, successivamente oscurato dagli sviluppi puramente astronomici della teoria.  

L’idea della rotazione terrestre, divenuta al giorno d’oggi più che una certezza, non possiede dunque un vero e proprio fondamento scientifico, nonostante la raffinatezza formale delle prove ricercate a posteriori nel corso di cinquecento anni, durante i quali tutti gli studiosi di tutte le Università ed Osservatori del mondo, accettando senza ombra di dubbio tale ipotesi, si sono impegnati a dimostrarla come vera. Anzi, come reale. Occorre invece riconoscere che l’unica palese certezza alla quale tutti sono soggetti, è la sensazione di immobilità della terra. Alla quale, però, secondo le istruzioni della filosofia galileiana, ben pochi attribuiscono fondamento.  

Definitivamente archiviate le tesi scolastiche fondate sulla metafisica aristotelica, che allacciavano in modo certo il cosmo reale a Dio, tramontata l’idea di una cosmologia che risalga dalla contemplazione delle creature al creatore, secondo lo spirito ed il monito paolino (Rm, 1, 18-32), si è assunto, inconsapevolmente, insieme al modello scientifico eliocentrico, anche il presupposto occulto, di matrice egizia, in esso custodito, al quale si rifacevano gli ermetisti. Ovvero, l’idea dell’esistenza di uno spirito centrale, bramoso di potere e gloria, intorno al quale gravitano tutti gli altri spiriti minori, come indicano alcuni passi del Corpus Hermeticum. Allora, altro che sognatore!  

In tale prospettiva, sembra proprio che Bruno avesse ragione, quando individuava nel modello eliocentrico una forma di religiosità vincente, perché fondata su di un potere spirituale misterioso, riattivabile mediante pratiche magiche segrete, e ben disciplinate. Aveva ragione quando, esaltando questo modello per i suoi alti contenuti spirituali, si impegnava a restituire ai demoni vincolati al Sole <<il potere sulle vicende e sui disordini della terra, operandovi ogni genere di scompiglio, per le città e le popolazioni in generale e per ciascun individuo in particolare>>, come recita il Poimandres, XVI, 14. Benché profetizzasse una nefasta concezione, e come il realizzarsi dell’oscuro avvento della <<bestia>>, sotto le forme autorevoli ed insospettabili dei canoni scientifici, comunque Bruno non si sbagliava. 

Se quanto stiamo scrivendo non costituisce una pura farneticazione, i risvolti iniziatici contenuti nel pentacolo copernicano sembrano essere del tutto ragguardevoli. Infatti, il semplice ed innocuo modellino del sole centrale contornato da una serie di pianeti – raffigurato dappertutto in modo sbagliato, perché non è possibile rispettare le giuste proporzioni che intercorrono fra le masse e le distanze dei corpi che compongono tale modello – riproduce in metafora l’arcaica religiosità naturalistica di indole solare, collegata all’idea dialettica del tempo ciclico che si ripete perennemente, nell’alternanza degli opposti, all’interno del quale l’uomo è come imprigionato ed impossibilitato ad esprimere la propria potenza spirituale.  

In tale linea interpretativa, il modello eliocentrico diventa allora il baluardo, il manifesto, il simbolo dell’uomo massonico, celebrato sia dai cosiddetti iniziati, che dai cultori dell’antico, ma sempre attuale, sapere egizio. E tacitamente approvato da una grande massa di inconsapevoli “profani”, che si fermano alle soglie del suo ben noto significato apparente, senza minimamente immaginare che, invece, in esso sono contenuti, simbolicamente, quegli argomenti naturalistici, riconducibili alla “mistica” eraclitea, che esaltano la confusione del bene e del male, del vero e del falso, e di tutti gli opposti.  

Argomenti questi assai graditi al celebrato spirito centrale, di natura ambigua, contraddittoria, menzognera. Idolo al tempo stesso imprevedibile e ovvio, benevolo e maligno, eccelso e bestiale, vero e falso, luce e tenebra. Ovvero, lucifero. Il numero che gli iniziati attribuiscono al sole, è infatti il seicentossessantasei, la cifra della bestia, citata dall’apostolo Giovanni, nel capitolo 13 dell’Apocalisse. Tale cifra, in relazione al sole, è celebrata anche nell’ambito numerologico. Un esempio è costituito dal quadrato magico del sole, composto da trentasei cifre (6 righe e 6 colonne), tale che sommando i numeri in ogni direzione, si ottiene 111 che moltiplicato per il numero delle cifre di ciascuna linea (6) dà appunto il numero apocalittico e solare 666. 

Numeri a parte, per quanto riguarda il possibile rapporto fra la fatidica cifra apocalittica e la scienza moderna, abbiamo fornito un’importante interpretazione circa un significativo episodio in cui incorsero Galilei ed il padre Riccardi, incaricato di concedere l’imprimatur  necessario per la pubblicazione dell’opera Dialogo sui due massimi sistemi del mondo (cfr Il segreto di Galilei). Padre Riccardi si insospettì per via di un curioso simbolo, contenente tre delfini in circolo, presente sul frontespizio di tale opera, che si diceva fosse il marchio della tipografia. Tale marchio però non compariva su altri libri pubblicati dallo stesso stampatore. Ebbene, a nostro avviso, il cosiddetto “marchio dei delfini” non è altro che una forma simbolizzata della cifra seicentosessantasei.

Questa piccola, ma indicativa scoperta sembra indicare che nella così importante e famosa opera galileiana sia celato un inspiegabile riferimento simbolico alla cultura iniziatica ed anticristiana, che costituisce come una sorta di inquietante premessa ai contenuti ivi espressi. Di certo, la possibilità di incorrere in errore è quanto mai presente, specialmente in un campo così ambiguo ed insidioso come quello relativo al sapere iniziatico.  

Tuttavia, il sospetto che ci sia qualcosa di sottaciuto, dietro il cambio di paradigma astronomico rinascimentale, permane. Anche se questa possibilità aprirebbe il campo ad una prospettiva insolita, che da tempo stiamo cercando di indicare, e che pone in relazione la simbolica bestia apocalittica con diversi aspetti della scienza moderna, in un certo senso in grado di sedurre gli abitanti della terra, impossessandosi delle menti e delle azioni (fronte e mani) degli uomini, e di compiere, con la sua raffinata tecnologia, grandi prodigi.