LUXMUNDI
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sabato 20 aprile 2024
martedì 6 febbraio 2024
Sferamundi: LA FALSA PROVA DEL PENDOLO DI FOUCAULT
lunedì 20 febbraio 2023
ELÉCTI DEI
Più che mai, in questo tempo dove lo scandalo e la
crisi dilagano, anche dove non dovrebbero, è bene tenere a mente che: «Appartiene
alla bontà di Dio il permettere che esistano dei mali, per trarre da essi dei
beni»[1].
Un istruttivo esempio di questa strategia, messa in atto dalla Provvidenza per sopraffare
il male, ci è dato dall’ultimo tratto di storia della sulfurea ed angelica città
di Torino.
Secondo
un’antica leggenda, la popolazione nordica dei Taurisci discese dal sacro monte
Thor, finché giunse e stazionò nell’attuale pianura torinese, dove i fiumi Dora
e Po confluiscono, formando una ipsilon Y. Simbolo che richiama la scissione
dell’unità, il divide et impera,
ossia la logica del diavolo. Questa popolazione si stabilì nella spianata
torinese, protetta dalla maestosa schiera alpina, perché i monti e la pietra
venivano posti in relazione al Sole. La roccia, difatti, conserva ancora il
calore, quando l’astro scompare. Si pensava allora che il potere del Sole fosse
effettivamente presente all’interno della roccia. Del resto, gli antichi popoli
ricavavano il fuoco dallo sfregamento delle pietre, quasi a comprova che la
potenza dell’astro splendente fosse presente nelle rocce e nei «betili», reputati
come dimore della divinità solare.
Successivamente, avvenne la filiazione egizia di Torino. Fu il
barone savoiardo, Filiberto Pingone (1525-1582), che nella sua opera, Augusta
Taurinorum, citando uno
studio del frate domenicano, Annio da Viterbo (1432-1502), ricondusse la vera
fondazione della città, nel 1529 a. C., quando il figlio di Iside, Fetonte o
Eridiano, sbarcò sulle sponde italiche, per fondare alcune colonie, tra Liguria
e Piemonte. Fetonte sarebbe tragicamente caduto nel Po, durante una corsa su un
carro, che la leggenda subito trasformò in carro solare. Ove cadde, venne
eretto un cippo, poi trasformato in tempio dedicato al dio Sole, intorno al
quale si formò il primo insediamento cittadino, denominato «Euridania» o «Fetontia»,
divenuto poi Torino, il cui emblema è appunto il toro-bue-Api, simbolo del
vitalismo universale che, attraverso il seme, feconda la materia terrestre.
Questo tempio racchiudeva cerimonie iniziatiche e magiche,
dedicate allo spirito solare, finalizzate ad ottenere protezione e potere.
Proprio per salvaguardare l’inviolabilità dei segreti custoditi in questo
tempo, i sacerdoti stessi lo avrebbero distrutto, prima che venisse profanato
dagli ultimi invasori: i Romani. Tuttavia, le antiche e sacre reliquie, insieme
ad una grande ruota d’oro, simbolo astrologico solare, sarebbero state celate
in un luogo segreto, dedicato allo svolgimento delle cerimonie tipiche della
pseudo religiosità egizia: animazione di statue, evocazione di spiriti,
sacrifici cruenti. Quanto narrato dal Pingone, troverebbe riscontri, pur vaghi,
in una iscrizione posta su una statua dedicata ad Iside, ritrovata nel 1567,
tra le rovine dall’antica cittadella, riconducibile ad un tempio intitolato
alla stessa dea egizia, sul quale sarebbe stata eretta una chiesa dedicata a
san Solutore Maggiore, distrutta poi durante l’occupazione francese
(1536-1563).
Questa
antica storia sembra avere, in un certo senso, una ricaduta nei nostri tempi. È
nota difatti la fama sinistra di cui gode Torino, considerata in ambito
iniziatico come l’unica città al mondo appartenente ai due triangoli esoterici:
quello bianco, con Lione e Praga; quello nero con Londra e San Francisco. L’energia
metafisica collegata a questa città, avrebbe richiamato i maggiori interpreti
della magia, ad esempio Nostradamus, Cagliostro, Paracelso, che si impegnarono
a reintrodurre nella società cristianizzata le nozioni e le pratiche magiche di
matrice egizia.
Il culto di Iside, patrona della magia e del potere spirituale e
materiale, tornò alla pubblica ribalta grazie a Napoleone, che la intronizzò come
patrona di Parigi, dal 1811 al 1814, ricavando la sua figura rappresentativa da
quella della Mensa Isiaca, appartenente al Museo Egizio di Torino[2]. Sebbene il culto pubblico
di tale dea decadde il 14 aprile 1814, quando il Governo provvisorio decretò la
soppressione di tutti gli emblemi e simboli introdotti nell’era napoleonica, il
culto privato e le attività ad esso connesse continuarono a professarsi nella
città sabauda.
Del resto, è noto l’impegno profuso dai Savoia, per radunare i più
preziosi reperti dell’antico Egitto, a partire da Amedeo II, (1666-1732), e da
Carlo Emanuele III che, nel 1757, incaricò il botanico Vitaliano Donati di
recarsi in Egitto alla ricerca di «qualche
pezzo di antichità o manoscritto raro o anche qualche mummia delle più
conservate»[3].
La costruzione del prestigioso Museo Egizio, oltre alla rivalutazione storica di
tale civiltà, sembra aver dato spunto all’interesse verso i culti negromantici,
praticati nei cunicoli segreti delle misteriose piramidi. Fatto sta che, in
epoca risorgimentale, illustri esponenti della casa Savoia adottarono nei
riguardi della cultura magica, nonché negromantica, una singolare apertura.
Afferma Pier Luigi Baima Bollone che: «Vittorio Emanuele II, in
sintonia con la fama di appartenere ad una famiglia compromessa con pratiche
esoteriche, non contrastò il dilagante medianismo»[4], che si diffuse nella sua
epoca. Anche secondo Massimo Introvigne, Casa Savoia, tra il 1850 ed il
1870, mostrò una straordinaria tolleranza verso gli spiritisti, i maghi e i
gruppi religiosi o parareligiosi più singolari e bizzarri. Persino il figlio di
Vittorio Emanuele II, Umberto e la futura regina Margherita, erano in contatto
con gli spiritisti partenopei, partecipando attivamente a sedute medianiche,
come già avevano fatto alcuni appartenenti della casa dei Borboni, tra cui il
Principe Luigi[5].
Torino segnò difatti la nascita, nel 1863, della «Società torinese
di Studi Spiritici», che dall’anno successivo iniziò la pubblicazione della
rivista Annali dello spiritismo in Italia. Ne fu animatore ed editore
Enrico Dalmazzo, un tipografo convertitosi allo spiritismo, che chiamò alla
direzione della rivista Vincenzo Scarpa, segretario di Cavour e del Principe di
Carignano, decorato dallo stesso Re. Scarpa, sotto lo pseudonimo di Niceforo
Filatete, rimase alla direzione della rivista dal 1865 fino al 1898. A tale
società apparteneva anche Gaetano De Marchi, vicepresidente della Camera dei
deputati. Presidente di questa associazione venne eletto addirittura lo «spirito
guida» che trasmetteva, durante le sedute medianiche, presunte comunicazioni
dall’al di là.
Nella rivista della società spiritistica, vennero pubblicati
articoli pseudoscientifici e divulgativi, nonché cronache di presunte
apparizioni e interazione con gli spiriti. Apparvero i resoconti di pseudo «contatti»
non solo con spiriti profani, ma addirittura con quelli di san Francesco,
sant’Agostino, san Luigi. Si dice persino che lo spirito del conte Cavour, che
in vita protesse gli spiritisti, si manifestasse come fantasma a Massimo
D’Azeglio, costringendolo ad impegnativi esercizi medianici.
Da parte sua, Giuseppe Mazzini era un accanito sostenitore dello
spiritismo, in contatto con la teosofa Blavatskj e con John Yarker, «Gran
Jerofante» di Menphis e Misraim, rito massonico esoterico al quale apparteneva
anche Giuseppe Garibaldi, nominato, nel dicembre del 1861, «Primo Massone
d’Italia, con l’onore di Gran Maestro di tutte le Logge»[6]. Mazzini «interpretava lo
spiritismo come elemento di riscontro della necessità di una serie di esistenze
successive e di reincarnazioni. Riteneva possibili sia le infestazioni che
l’ispirazione, forme classiche della medianità»[7].
In questa prospettiva, forse, Mazzini si sentiva come obbligato
«alla logica di un suo piano preciso che gli imponeva, per mantenere alta la
tensione, e lo diceva anche, di dover spargere sangue sacrificale. Sangue a suo
parere, indispensabile per nutrire e mantenere viva la fiamma dell’eversione
che prima o poi avrebbe saputo dare i suoi frutti e condurre alla vittoria.
Dunque, gli occorrevano martiri. E gli tornava d’obbligo continuare
imperterrito a percorrere la sua strada, cercando sempre neofiti da convincere
e da mandare al sacrificio»[8].
Tuttavia,
sempre in questa città particolare, nei cui pressi, in Val Susa, Costantino vide apparire in cielo il
famoso segno, In hoc signo vinces, e che in una misteriosa lapide, riconducibile a Nostradamus, viene
indicata come unico luogo nel quale coesistono il paradiso, l’inferno ed il
purgatorio («ici il y a le paradis,
l’enfer, le purgatoire»), come per un’imperscrutabile dinamica del
contrappasso, per grazia di Dio, si determinò nello stesso periodo una eccezionale
fioritura di santi e beati. Circa una sessantina, impegnati a sanare i mali che
per forza di cose ricadevano sulla popolazione inconsapevole. È da notare che «nessuna
comunità cattolica al mondo ha mai registrato un simile boom di eroismi
evangelici, considerati per giunta in così breve tempo»[9].
Come richiamati ad una particolare missione salvifica dall’Uomo-Dio,
misteriosamente impresso nella Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, questi
santi piemontesi, cosiddetti sociali, testimoni della nascita della nuova
Italia massonica, in un modo o nell’altro, operarono a favore di una prodigiosa
rinascita religiosa e sociale. Citiamo i più famosi, come Giuseppe Cottolengo, Giuseppe
Cafasso, Giuseppe Murialdo, don Bosco, Domenico Savio, Faà di Bruno, il
Frassati, don Orione, e tanti ancora, fino ai beati Giacomo Alberione e Timoteo
Giuseppe Giaccardo. Questi ultimi costituirono la Pia Società San Paolo, fin
dalle origini finalizzata ad «opporre stampa su stampa, organizzazione ad
organizzazione», per «far penetrare il Vangelo nelle masse» (A. D. 14).
Tutti questi santi, beati e venerabili confermarono, ancora una volta,
quanto affermato da S. Paolo, nella Lettera ai Romani (5,20) circa il
sovrabbondare della grazia dove abbonda il peccato. Anche lo scrittore
cattolico Chesterton allude a questa dinamica, quando afferma che: «Ogni
generazione viene convertita dal santo che maggiormente la contraddice»[10]. Consapevoli quindi dell’azione
di Dio, sempre pronta a sanare le opere del male usando, nel giusto modo, i
suoi stessi mezzi, gli «elécti Dei, santi
et dilécti» (Col 3, 12), sono
chiamati a svolgere con fede e carità la propria testimonianza al Vangelo,
nelle vie del mondo, superando con fortezza i momenti personali ed ecclesiali più
difficili. Tutto questo contando sull’aiuto e sulla difesa di «Colei che sola
ha sconfitto le eresie del mondo intero»[11] e che spinge a non aver
timore di contraddire quanto la cultura ordinaria, il sapere comune, molto
spesso fondata su ingannevoli luoghi comuni, cerca di autoalimentarsi mediante
l’uso dei mezzi di comunicazione sociale in senso anticristiano.
martedì 11 febbraio 2020
IL "QUARTO REGNO"
lunedì 7 gennaio 2019
IL MOTO PRESUNTO DELLA TERRA*
L'argomento è delicato e scomodo, lo abbiamo già verificato. Tuttavia, seguendo per una volta Cartesio - secondo il quale, per amore della verità, almeno una volta nella vita, occorre mettere in discussione tutto, fin dove è possibile -, riteniamo opportuno proporre le seguenti considerazioni alla (si spera) cortese attenzione dei lettori.
«E se il mondo fosse tale per cui il suo movimento non può essere rilevato?» (3).
L'insidioso interrogativo suggerisce che se il movimento relativo della terra nell'etere non viene registrato sperimentalmente, nonostante le ripetute prove ed i sofisticati accorgimenti tecnici apportati, allora la teoria copernicana, pur se razionalmente vera, tuttavia non è reale.
Non perché il reale sia contrario alla ragione, ma perché se la ragione non prende spunto dalla realtà effettiva per elaborare i propri modelli, sarà molto improbabile all'intelletto adeguarsi successivamente alla realtà. E la menzogna consiste proprio nella non corrispondenza di un enunciato con la realtà alla quale si riferisce (4).
All'evoluzione di questa scienza "soteriologica", hanno contribuito personaggi di tutto rispetto e di altissimo ingegno.
Egli si accorse, confrontando le proprie osservazioni, relative alla posizione delle costellazioni equinoziali, con quelle dell'astronomo Timocharis suo predecessore (5), di un ulteriore e fino allora sconosciuto movimento della sfera celeste. Da queste anomalie sperimentali, Ipparco dedusse che anche la cosiddetta sfera delle stelle fisse (ovviamente, in prospettiva geocentrica), oltre che ruotare giornalmente intorno alla Terra, dovesse ruotare molto lentamente, spostandosi essa stessa in modo preciso e manifesto, lungo la linea dell'equatore celeste (6).
Ma questa fondamentale scoperta dimostra anche l'attendibilità della teoria generale dalla quale essa scaturì, per nulla ovvia e semplicistica, che non venne assolutamente messa in crisi da tale nuovo fenomeno, che anzi confortò e rese ancora più affidabile l'interpretazione geostatica del cosmo.
Con l'affacciarsi nell'orizzonte culturale del rinascimento della teoria eliocentrica, si determinò una nuova esigenza: quella della dimostrazione dell'ipotesi. Infatti, mentre la quiete della terra è evidente e non ci fu mai bisogno di dimostrarla, l'idea di una sua rotazione, proprio perché presunta, rese necessario l'apporto di prove che la dimostrassero. È risaputo che nessuna prova sperimentale seria venne portata a favore dell'ipotesi eliocentrica dai filosofi rinascimentali.
Infatti dovette intervenire Erasmus Reinhold nel 1551, per correggerle in modo opportuno. Nella prefazione a queste tavole, dette Prutenicae, Reinhold scrive: «Copernico… tuttavia si sottrasse alla fatica della costruzione delle tavole, così che se si usano le sue tavole per fare i conti, il calcolo non è neppure in accordo con le osservazioni su cui si basano le fondamenta del lavoro» (8).
Peraltro, Copernico riprese alcuni degli argomenti filosofici proposti da Buridano e da Oresme, tra i quali: l'aria condivide la rotazione diurna della Terra, la rotazione è più appropriata all'ignobile terra che al nobile cielo (9).
Il fatto che, come si dice erroneamente, il modello eliocentrico fosse più semplice di quello geocentrico, non costituisce peraltro un motivo sufficiente per giustificare l'oscuramento di una teoria plurimillenaria, che funzionava benissimo, e che veniva migliorata quando i dati dell'osservazione lo richiedevano, a favore di un'altra appena abbozzata e non corrispondente all'evidenza sensibile. Se dunque il quadro generale dell'astronomia antica restò sempre il geocentrismo, per migliaia di anni, non fu perché gli uomini di allora, rispetto a noi sapienti, fossero rozzi e ignoranti, incapaci di ragionare o immodesti, come afferma qualcuno (11).
Ma perché la teoria geocentrica era fondata su una base logica e scientifica del tutto affidabile, ricavata dall'evidenza del reale.
Se ancora oggi, per comodità, la terra viene considerata per certi aspetti come praticamente in quiete, ci sarà pur un motivo. Infatti, questa interpretazione, oltre che semplificare alcuni problemi legati al senso comune, giustifica il quadro armonico che si presenta da sempre agli occhi degli uomini.
Tutto insomma nel mondo rimanda ad un senso di pace e di quiete, anche fisica, inconciliabile con l'incomprensibile turbinio al quale sarebbero soggetti il nostro pianeta e l'intero sistema solare. Si pensi infatti che la velocità del sole e del nostro sistema attraverso la galassia viene reputata all'incirca 2,6 milioni di chilometri all'ora! Come è noto, Galilei cercò di dimostrare l'infondatezza della sensazione comune di quiete della terra, presentando in un famoso passo dei suoi "Dialoghi" la ragione per la quale non ci accorgiamo della rapidissima doppia rotazione terrestre.
Con affabile retorica, lo scienziato spiega quella che a suo avviso costituisce l'esperienza infallibile: «con la qual sola si mostra la nullità di tutte quelle prodotte contro al moto della terra».
Infatti solo se la terra non ruotasse potrebbe paragonarsi all'interno di un «gran naviglio … ».
Il ragionamento è circolare. Da una parte dunque la terra viene considerata in rotazione, ma per dimostrare il perché non ci si accorge di questa rotazione, viene reputata come un sistema inerziale.
Violando così anche il basilare principio di non contraddizione. La terra infatti in questa prospettiva al tempo stesso ruota e non ruota. D'altra parte, se la terra ruotasse effettivamente, allora non ci sarebbe alcun bisogno di dimostrarne la rotazione attraverso sofisticate esperienze, dal momento che tutti si accorgerebbero degli effetti del suo moto rotatorio.
Se una comune giostra ruotante non può essere considerata come un sistema inerziale, per via degli evidenti effetti (forze inerziali, accelerazioni di Coriolis, eccetera) che si sviluppano durante il suo moto rotatorio, che dire di una giostra che non solo ruota intorno a sé, ma anche rispetto ad un centro esterno (Sole), ed anche rispetto al proprio asse (precessione), e che inoltre rallenta ed accelera nel suo moto di traslazione (seconda legge di Keplero), al pari di una trottola misteriosa, teoricamente soggetta ad un moto rapidissimo, ma praticamente ferma?
Dunque, l'atmosfera terrestre non può essere trascinata per inerzia dalla terra nel suo moto roto-traslatorio, proprio perché essa non costituisce un sistema chiuso.
Nessun "coperchio trasparente" racchiude gli ottocento chilometri d'aria che sovrastano il nostro pianeta, nessuna sfera invisibile li contiene.
A partire dall'esperienza di Guglielmini, del 1792, il quale fece cadere una serie di pietre dalla torre degli Asinelli di Bologna per verificare se cadessero perpendicolarmente o verso est.
Fino a quella più famosa del pendolo di Foucault, del 1851.
E' noto infatti che, dal punto di vista aristotelico, la terra viene considerata ferma, e la sfera delle stelle fisse in rotazione, da est verso ovest. Ed il piano del pendolo di Foucault ruota proprio da est verso ovest, solidale cioè alla rotazione delle stelle fisse. Dunque, la terra è in quiete e le stelle in movimento, avrebbe concluso Ipparco da Rodi. Probabilmente.
Egli giunse alla conclusione che l'inerzia non è una proprietà intrinseca della materia, ma una proprietà di cui essa gode solo grazie all'esistenza di altra materia nell'universo (principio di Mach).
Ragion per cui l'esperienza del secchio può essere descritta in modo equivalente in due opposti modi: sia considerando il secchio in rotazione, e le stelle fisse immobili, o immaginando il secchio fisso, e l'insieme delle stelle in rotazione intorno ad esso.
Pertanto, una dimostrazione che spieghi la causa con gli effetti, e non con la riduzione ad un principio superiore, non è che ipotetica: «Le conseguenze non provano i principi… Le supposizioni non sono provate dall'esperienza, perché l'esperienza (apparentiate) confermerebbe anche postulati diversi» (18).
Nonostante sia l'unico pianeta sul quale c'è vita, nel più alto grado, e dove Dio stesso si è incarnato. Per quanto ci riguarda, preferiamo andarcene per strade solitarie. Ricercando in letizia, nei limiti estremamente ristretti delle nostre possibilità, una "imago mundi" che ponga nel centro la sua stessa Causa e Fine (19). Ed intorno, tutta la realtà sensibile.
1) "Breviario di Papa Giovanni", Garzanti, Milano, 1966, pagina 346.
2) B. Kaysing, "Non siamo mai andati sulla luna - Una beffa da 30 miliardi di dollari", Cult Media Net edizioni, 1997, pagina 203.
3) In D. Park, "Natura e significato della luce", McGraw-Hill, Milano, 1998, pagina 313.
4) A. Llano, "Filosofia della conoscenza", Le Monnier, Firenze, 1987, pagina 59.
5) Tolomeo, "Almagesto", 7, 1-2.
6) La precessione degli equinozi causa un lento movimento a ritroso dei punti equinoziali lungo lo zodiaco, che impiegano 2.160 anni ad attraversare ogni costellazione, e coprono così l'intero zodiaco in 25.920 anni. Al momento attuale, l'equinozio di primavera ha luogo quando il Sole si trova nella costellazione dei Pesci, ma prossimamente sarà nella costellazione dell'Acquario, quando appunto nascerà la cosiddetta Era dell'Acquario.
7) W. Shea, "Copernico: un rivoluzionario prudente", I grandi della scienza, numero 20, ottobre 2004, Mondadori, Milano, pagina 47.
8) Ivi, pagina 48.
9) Ivi, pagina 64.
10) Confronta E. Grant, "La scienza nel Medioevo", il Mulino, Bologna, 1997, pagina 95.
11) «L'ostinazione non è però una virtù, e la lunghezza delle storie non garantisce la validità dei punti di vista: basti ricordare il numero dei secoli durante i quali abbiamo immodestamente creduto che la Terra fosse immobile al centro dell'Universo o che i nostri corpi fossero animati da una qualche vis vitalis», E. Bellone, "I corpi e le cose", Mondadori, Milano, 2000, pagina 2.
12) G. Galilei, "Dialoghi sui due massimi sistemi, giornata seconda".
13) Lanciando una pietra, la mano imprime alla pietra un impeto, proporzionale alla velocità (Quanto più velocemente il motore muove quel mobile, tanto più forte impeto gli imprimerà). Buridano, oltre ad individuare una relazione di tipo quantitativo tra impeto e velocità, lo collega alla quantità di materia di un corpo (Quanto più un corpo contiene materia, tanto più, e più intensamente, può ricevere di quell'impeto).
L'affinità concettuale fra impeto medievale e quantità di moto newtoniana è evidente.
Ma Buridano riconosce altresì nell'"impetus" la tendenza a conservarsi quantitativamente,
dal momento che la sua diminuzione ed esaurimento (insieme al moto del corpo) dipendono
dalla resistenza del mezzo ("L'impeto durerebbe all'infinito se non fosse diminuito e corrotto da una resistenza contraria o dalla inclinazione a un moto contrario"), intuizione questa che anticipa di tre secoli la formulazione newtoniana di inerzia. A differenza di Aristotele che metteva in relazione il moto degli astri con la loro divinità, Buridano interpreta il moto degli astri come conseguenza dell'"impetus" o forza iniziale impressa ad essi dal Creatore nel momento iniziale della sua opera. Il moto degli astri si conserva inalterato perché nei cieli non c'è alcun tipo di resistenza. Confronta M. Clagett, "La scienza della meccanica nel Medioevo", Feltrinelli, Milano, 1972, pagine 548-549.
14) Cusano, "La Dotta Ignoranza - Le congetture", Rusconi, Milano, 1988, punto 162, pagina 173.
15) F. de Felice, "Gli incerti confini del cosmo", Mondadori, Milano, 2000, pagina 40.
16) Viene fatto ruotare un secchio pieno d'acqua appeso ad una corda verticale. Prima l'acqua rimane ferma rispetto alle pareti rotanti del secchio, e la sua superficie rimane intatta. Mentre la rotazione del secchio continua, anche l'acqua al suo interno inizia a ruotare sollevandosi ai bordi
ed allontanandosi dal centro. Pertanto, inizialmente l'acqua ruota rispetto al secchio, ma rimane in quiete rispetto allo spazio assoluto, perché la sua superficie è piana. Successivamente, essa è ferma rispetto alle pareti del secchio, ma in rotazione rispetto allo spazio assoluto, perché la sua superficie si incurva.
17) Confronta E. Grant, "citato", pagine 94-96.
18) Confronta G. Morpurgo - Tagliabue, "I processi di Galileo e l'epistemologia", Edizioni di Comunità, Milano, 1963, pagine 35 e 36.
19) «Cristo è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, perché per mezzo di lui e in vista di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui», San Paolo, Lettera ai Colossesi,
1, 15-17.