domenica 3 ottobre 2010

"UNUM IN DIVERSIS"





La ricerca della sostanza unica che è alla base del mondo, e che costituisce l’essenza stessa della realtà, celata oltre la molteplicità degli enti, rappresenta uno dei principali interrogativi che hanno dato slancio alla ricerca filosofica, inaugurata dai pensatori ellenici, all’incirca seicento anni prima di Cristo.

Comprendere il senso più intimo del divenire cosmico (cosa resta, mentre tutto cambia), insieme alla causa di ogni movimento, in senso lato, è stata infatti una delle principali motivazioni che hanno dato avvio alla teoretica precristiana.

Fu principalmente Eraclito a vedere nel cambiamento e nella sintesi degli opposti il principio che spiega tutta la realtà: <<Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo>> (1).
Al contrario, Parmenide, che Platone, nel Teeteto, per bocca di Socrate, definì: <<venerando e terribile eleatico>>, negò la realtà del cambiamento, per salvaguardare la possibilità di una scienza intesa come conoscenza: <<stabile, universalmente comprensibile, realtà permanente e comunicabile attraverso il linguaggio>> (2).

Lo stesso eleatico narra che una dea benigna lo condusse <<oltre la peste degli umani>>, per consentirgli la contemplazione della <<Verità ben rotonda>> (3), stabile nella forma, immutabile. Dunque, perfetta.

Di conseguenza, Parmenide formulò il principio che: <<il non essere non è, e non può in alcun modo essere>>. Affermare quindi alla maniera di Eraclito la realtà del non essere, corrisponde, secondo questa linea interpretativa, ad assoluta falsità.

Nello sviluppo storico del pensiero occidentale, mentre da Eraclito presero avvio le cosiddette leggi della dialettica, tanto care ad Hegel che le pose alla base della sua logica, da Parmenide si avviò la metafisica razionale. Infatti, grazie al principio parmenideo di non-contraddizione dell’Essere, secondo il quale è impossibile che i contraddittori esistano nello stesso tempo, Aristotele sviluppò la sua ponderosa analisi filosofica, formalizzando nel contempo le basi di tutta la logica occidentale.


Tuttavia, come capita a coloro che presumono di giungere alla contemplazione della verità effettiva, attraverso una ricerca esclusivamente razionale, Parmenide non evitò di incorrere in un grande errore. Quello di identificare l’Essere con il pensiero: <<Lo stesso è pensare ed essere>> (4).

Infatti, se l’Essere corrisponde al mondo concreto e materiale, allora pensiero e mondo costituiscono come una inscindibile unità, all’interno della quale nessuno dei due termini è fondato in sé, ontologicamente. Ma ognuno di essi è concepito in antitesi con l’altro.

Inoltre, questa unione di categorie distinte determina due sviluppi estremi, le “due vie della destra e della sinistra”, dal momento che, da una parte, si può concludere che ove è pensiero è materia (idealismo). Dall’altra, che dove è materia è pensiero (materialismo). Di conseguenza, non è possibile individuare né una dimensione puramente materiale, né una relativa al puro spirito, proprio perché materia e spirito in questa dottrina costituiscono inscindibile unità.

In seguito, Leucippo di Mileto, allievo dei filosofi di Elea (5), intorno alla metà del V secolo a. C, fondò, insieme a Democrito, la scuola atomistica. Come dice Aristotele (6), gli atomisti credevano di avere trovato una teoria in accordo con la percezione sensibile, che tuttavia non negava né il movimento, né la pluralità delle cose.

Essi infatti credettero di individuare nella sola dimensione materiale l’Essere, uno ed immutabile, di Parmenide, frammentato però in piccoli granuli, gli atomi, ipotetici costituenti di tutto il mondo sensibile. Il movimento di questi atomi, omogenei fra loro, ma diversi in grandezza, forma e posizione, sarebbe alla base della molteplicità delle forme materiali. Nonché del mutamento cosmico.

Del tutto attuale, la critica che San Tommaso svolse nei confronti della dottrina materialistica degli atomisti greci, e della dialettica eraclitea che la sottende. Nel <<De potentia>> (3, 5), l’Aquinate afferma innanzitutto che, questi filosofi: <<consideravano tutte le forme come accidenti, e solo la materia come sostanza>>. Essi dunque attribuirono alla causa materiale la totalità dei fenomeni naturali. E, poiché non riuscirono ad individuare la causa trascendente posta al di là del sensibile, concepirono una dottrina limitata e parziale, in quanto soltanto <<ex parte materiae>>.

Ma proprio in questa prospettiva è impossibile cogliere una visione unitaria e coerente del tutto, perché mediante la materia si determina la moltiplicazione all’infinito degli enti. Infatti, se da una parte la materia accomuna gli enti rendendoli sensibili, dall’altra è anche ciò che distingue un corpo dall’altro: <<In natura vi sono altrettante materie quante sono le “specie” e non si parla mai di una sola materia. La materia del diamante è differente da quella del carbon fossile, la materia della mela da quella della noce, ed anche questa da quella della nocciola: esse hanno manifestamente un altro sapore ed un’altra consistenza>> (7).


San Tommaso afferma inoltre che questa dottrina non è in grado di cogliere il fattore unificante le materie infinite e mutevoli, per tre importanti motivi. Innanzitutto, perché questa concezione non consente di <<ridurre le diversità presenti nel mondo a delle unità superiori, a grandi tronchi nei quali possano confluire le forme molteplici delle cose>>. In altri termini, gli atomisti ellenici <<non riuscirono a scoprire che i diversi ordini non corrispondono alla modificazione di una stessa materia (monismo materialistico)>> (8).


In secondo luogo, perché questa dottrina compie l’errore di voler equiparare i contrari, <<mentre in realtà uno di essi è la privazione dell’altro>> (9). In questo caso, dice san Tommaso, di due opposti, un termine è imperfetto, l’altro è più perfetto, e le categorie antitetiche partecipano in grado diverso alla perfezione dell’essere Uno. Per esempio, la vita vegetale ed animale rappresentano due gradi qualitativi diversi, ma non contrapposti, di partecipazione all’essere, in quanto lo stesso principio si manifesta negli animali, in modo più completo rispetto ai vegetali.


Terzo motivo, perché le cose vengono considerate isolandole dal contesto nel quale esse si trovano. Ossia, esaminandole solo per se stesse e: <<non in rapporto alla totalità dell’universo>>. Ma il non rapportare le parti al tutto, implica una concezione contraddittoria e conflittuale del mondo. Simile a quella di Eraclito, che sentenziò: <<Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte re>> (10).


Da questi tre elementi critici, San Tommaso conclude che la visione unitaria del cosmo non può assolutamente derivare da una causa materiale, che si manifesta mediante la conflittualità delle parti che la compongono. Queste ultime, invece, esprimono un senso di ammirazione e di concordia che riconduce ad un’intelligenza ordinatrice e pacificatrice.


<<Le operazioni naturali rivolte a fini determinati presuppongono un’intelligenza che prestabilisca una finalità alla natura e che la ordini al fine; perciò ogni opera della natura si può dire opera di una intelligenza>> (11). Insomma, <<l’ordine certo delle cose dimostra manifestamente l’esistenza di un governo del mondo, come se qualcuno entrando in una casa ben ordinata percepisse la ragione del suo ordinatore>> (12).


L’ordine delle cose è causa di quel senso di inesprimibile bellezza, che rimanda direttamente al Dio creatore dell’universo. Ma per giungere in piena coscienza dall’ordine all’Ordinatore, vertice supremo della realtà, l’anima innanzitutto deve essere guarita dalla propria incredulità.


Soltanto allora, dopo essere guarita dalla propria mancanza di fede, essa potrà: <<intuire l’immutabile forma delle cose e la bellezza sempre uguale e in tutto simile a se stessa, non estesa in luoghi, né mutabile nel tempo, e che si conserva in tutto una e identica, quella bellezza che gli uomini non credono esista, mentre esiste davvero e al sommo grado>> (13)


Sant’Agostino ribadisce l’importanza soteriologica, salvifica, del canone dell’ordine, attraverso il quale sono disposte, e convenientemente regolate, le cose create: <<L’ordine è quella cosa che se la seguiamo mentre siamo in vita ci conduce a Dio, e se non la seguiamo, non giungiamo a Dio>> (14).


Ma il valore salvifico dell’ordine è espresso da sant’Agostino ancor più chiaramente, ed in riferimento all’essere uno, in chiave cosmologica: <<La perversione si oppone all’ordine. Ciò che tende all’essere, tende all’ordine, e una volta che l’ha ottenuto, ottiene l’essere stesso, per quanto una creatura lo possa ottenere. L’ordine infatti conduce verso una certa convenienza ciò che ordina. Essere non è nient’altro che essere uno. Così una cosa è tanto quanto raggiunge di unità. È il frutto dell’unità la convenienza armoniosa, per la quale sono, per quanto sono, le cose che sono composte … Per questo l’ordine genera l’essere, ed invece il disordine, che è detto anche perversione e corruzione, il non essere. Quindi ciò che si corrompe tende a non essere>> (15).


Occorre tuttavia precisare che l’ordine universale al quale si riferiscono i Padri della Chiesa non costituisce un’armonia prestabilita, di tipo numerico ed astratta come quella celebrata dai pitagorici e dai massoni: la misteriosa <<tetraktys>>, per intenderci (16). Bensì una manifestazione partecipata dell’Essere divino, dal momento che: <<La natura altro non è che il prodotto dell’arte di Dio, insita nelle cose, in virtù della quale esse si muovono verso un fine determinato>> (17).


Ovviamente, l’arte di Dio è del tutto diversa da quella umana, che consiste in un’armonia tra le parti non intrinseca, in quanto trasmessa dall’artista dal di fuori. L’arte di Dio, invece, crea, insieme alle cose, la determinazione stessa in base alla quale le cose si ordinano spontaneamente, <<come se il costruttore di navi potesse attribuire al legname la capacità di muoversi da sé per produrre la struttura della nave>> (18).


L’ordine spontaneo creato da Dio è dunque inserito propriamente all’interno alle cose, e non riposto in un modello astratto, aprioristico e razionalmente rigido, all’interno del quale le parti soggiacciono passivamente.


L’ordine divino determina che le cose si dispongano spontaneamente nell’esistenza, secondo l’ordine proprio della natura (ordo naturae): <<Così come i membri di una famiglia sono inclini ad agire secondo le direttive del capofamiglia, in modo simile fanno le cose naturali in virtù della loro natura. Ebbene, la natura di ogni ente consiste in una certa inclinazione impressa dal Primo Motore, che ordina ogni cosa al suo fine dovuto>> (19). E <<restando immobile, dà il movimento a tutte le cose>> (20).


L’Universo, pertanto, è reso <<Uno>> dalla compresenza, nell’attuale istante, di ogni ente che lo costituisce, in virtù della propria partecipazione all’Essere, contribuendo, attraverso questo atto di esistenza, ad accrescere l’ordine e la bellezza che manifesta il Tutto. Già Sant’Agostino, dunque, prima ancora che il Dottore Angelico elaborasse la metafisica dell’Essere, giunse ad affermare che <<L’universo (unum in diversis) di certo ha ricevuto questo nome dall’uno>> (21). Ribadendo altrove che: <<Essere non è nient’altro che essere uno>> (22).

In conclusione, sembra chiaro che senza il riconoscimento dell’esistenza dell’Essere di per sé autosussistente, il quale, per partecipazione, rende possibile l’esistenza di tutti gli enti reali, non è possibile giungere ad una concezione unitaria del tutto, che non sia una mera e complessa astrazione. Specialmente, nel caso in cui si pretenda di giungere a questo altissimo fine considerando la realtà dal solo punto quantitativo, strettamente <<ex parte materiae>>.


È da aggiungere inoltre che la teoria atomistica di Democrito e Leucippo non ebbe seguito nel corso del grandioso Millennio medievale, proprio perché dottrina sostanzialmente atea e materialistica.


Forse, proprio per questo suo carattere anticristiano, la teoria atomistica venne ripresa dal giovane Karl Marx, nella dissertazione dottorale, discussa a Jena il 14 aprile 1841. Anche se canonicamente l’interesse di Marx per la filosofia naturalistica ellenica viene ricondotta alla tematica propria dei Giovani Hegeliani, che non condividevano la condanna di Hegel nei confronti di Democrito. Essi cercavano invece di rivalutare le aperture illuministiche presenti nel materialismo di Democrito e nell’ateismo epicureo (23).


Ma è il grande Einstein che, nel corso dei primi decenni del novecento, rivalutò e ripropose, in termini scientifici, l’antica idea degli atomi, come costituenti della materia. Egli infatti diede <<all’ipotesi atomica una tale serie di conferme e di approfondimenti da renderne universale l’accettazione e da farne la base inevitabile delle ricerche attuali in tutto il mondo>> (24).


È peraltro noto che dopo l’interpretazione teorica dell’effetto fotoelettrico – che in un certo senso consistette in una “materializzazione” della luce in granuli di energia, quest’ultima equivalente alla massa –, Einstein coltivò il grande sogno di giungere ad una teoria unitaria dell’universo. Difatti, l’ulteriore passo, dopo la generalizzazione della relatività ristretta, fu proprio quello di elaborare una teoria dei campi unificati.


Ma, come riconoscendo, implicitamente, la validità degli argomenti critici sollevati da San Tommaso – circa l’impossibilità della ragione di ridurre l’Essere al pensiero, di inquadrare cioè la realtà dei fenomeni, microscopici e macroscopici in una teoria strettamente e formalmente quantitativa –, Einstein, negli ultimi anni della vita, verificò il senso di un profondo fallimento intellettuale.


Infatti, al di là di tutti gli eccezionali riconoscimenti scientifici ricevuti, egli, probabilmente, si rese ben conto di non essere riuscito a sfiorare nemmeno lontanamente il vertice della comprensione della realtà creata. Che invece fu concesso di definire e cogliere pienamente ai Santi medievali. I quali riconobbero ed individuarono correttamente l’unità del mondo, proprio nella sua vera causa: l’Essere Uno e Trino, dal quale tutto discende, al quale tutto ritorna.


Di conseguenza – dopo le illusioni prometeiche derivate dall’aver tolto, con la teoria della relatività generale, allo spazio ed al tempo l’ultimo residuo di oggettività fisica, e dall’aver dato la chiave per comprendere e sfruttare, soprattutto in chiave bellica, il cosiddetto <<fuoco-energia>> eracliteo –, Einstein, il 12 febbraio 1951, si sentì come costretto a confessare a Maurice Solovine, con parole sconsolate, la sua intima sconfitta:


<<La teoria unitaria dei campi è stata mandata in pensione. È talmente complicata dal punto di vista matematico che non sono stato capace di verificarla in alcuno modo, nonostante tutti i miei sforzi. Questo stato di cose durerà senza dubbio ancora per molti anni, perché i fisici capiscono poco di questioni logico-filosofiche>>.



__________

1)      Frammento 22 B 49 a Diels – Kranz.
2)      J. Aubert, <<Cosmologia – Filosofia della natura>>, Paideia, Brescia 1968, pagine 36 e 37.
3)      <<I presocratici, testimonianze e frammenti da Talete ad Empedocle, a cura di A. Lami, Rizzoli, Milano 1991, pagina 275.
4)      29 B 3 Diels Kranz.
5)      I resti archeologici dell’antica Elea sono situati nei pressi di Ascea-Velia, a sud di Salerno, sulla costiera cilentana.
6)      Aristotele, <<De generatione et corruptione>>, A 8, 325
7)      E. May, <<Elementi di filosofia della scienza>>, Fratelli Bocca Editori, Milano 1951, pagina 98.
8)      J. J. Sanguineti, <<La filosofia del cosmo in Tommaso d’Aquino>>, Ares, Milano 1986, pagine 18 e 19.
9)      <<De Potentia>>, q.3, a. 6.
10)  Frammento 22 B 53 Diels – Kranz.
11)  S. Tommaso, <<Quaestiones disputatae de Veritatem>>, q. 3, a. 1.
12)  S. Tommaso, <<Summa theologiae>>, I, q. 103, a. 1.
13)  S. Agostino, <<De vera religione>>, 3, 3.
14)  <<De Ordine>>, 9, 27.
15)  S. Agostino, <<De moribus ecclesiae catholicae et de moribus Manichaeorum>>, II, 7, 9.
16)  La massoneria ha molti elementi in  comune con il pitagorismo: delta, stella fiammeggiante, tavola di tracciamento, triangolo 3-4-5, scienza dei numeri, eccetera. In virtù di tale assonanza di simboli e riti, A. Righini, fa sua <<l’affermazione dell’arciprete Domenico Angherà: “L’Ordine massonico è la stessa cosa, assolutamente la stessa cosa dell’Ordine pitagorico>>, D. Roman, <<Pitagorismo e Massoneria>>, in <<la Lettera>>, Edizioni Keystone, Torino 2008, N° 8, pagina 48.
17)  S. Tommaso, <<In XII libros Physicorum expositio>>, lectio 14.
18)  S. Tommaso, <<ibidem>>.
19)  S. Tommaso, <<In XII libros Metaphisicorum expositio>>, lectio 12.
20)  Boezio, <<De consolatione philosophiae>>, III, metro 9, 3.
21)  S. Agostino, <<De Ordine>>, I, 2.
22)  S. Agostino, <<De moribus ecclesiae …>>, II, 7, 9.
23)  Si veda K. Marx, <<Democrito ed Epicureo>>, La Nuova Italia editrice, Firenze 1979.
24)  F. Selleri, <<La causaliimpossibile>>, Jaka Book, Milano 1987, pagina 7.

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