venerdì 27 aprile 2012

SAPIENTIA CRUCIS





Prassi consolidata nelle società tradizionali il sacrificio propiziatorio offerto alle divinità della natura. Dai prodotti dell’agricoltura, agli animali allevati o prede della caccia. Questo ed altro veniva offerto o bruciato sulle are per attirare il favore degli dei, stabilendo così come una sorta di alleanza fra i celebranti e le forze invisibili celebrate.  
Non sempre tuttavia il prezzo richiesto per tale alleanza si limitava a questo aspetto, persino comprensibile. Il passo successivo ed aberrante dell’alleanza con gli idoli, o demoni, comprendeva l’offerta di sangue umano. Il potere di “intercessione” di questo elemento era decisamente più alto e gradito dalle potenze evocate rispetto a quello delle galline, capretti, ortaggi di vario tipo.  
Le lotte fra i popoli rappresentavano dal punto di vista metastorico gli scontri fra gli idoli protettori per estendere il loro potere anche sui vinti. La divinità maggiormente fortificata dalle offerte rispondeva dando forza e vittoria al popolo protetto. Il prezzo invariabile richiesto per questa protezione e forza psichica espressa in aggressività era dunque alto e terribile.
Il filosofo Foucault interpreta il ruolo dei re pagani come il potere di disporre del sangue dei propri sudditi, oltre che delle vittime e prigionieri di guerra. Nelle religioni precristiane, erano infatti le celebrazioni e le connessioni del sesso e del sangue a caratterizzare il succedersi delle monarchie e delle politiche aggressive delle popolazioni. La guerra diveniva così occasione per procurare vittime alle divinità venerate, attraverso la logica del “do ut des”.
Evidenti tracce di questa usanza sono state individuate nelle società precolombiane dell’America centrale. Le piramidi scoperte dai conquistatori spagnoli fungevano anche da altare per immolare migliaia di vittime al dio sole, il quale così traeva la forza per risalire quotidianamente dalle oscurità notturne. Ma non bastava che il sole risorgesse ogni giorno. Era anche necessario che il nuovo giorno fosse propizio e non funesto.
Si designavano allora oltre ai prigionieri di guerra, bambini sani e di bell’aspetto che fin dalla nascita venivano allevati e preparati per quanto possibile alla morte rituale. Nel momento cruciale di tali cerimonie, essi venivano colpiti al seno dal boia-sacerdote con pugnali acuminati consacrati a tale uso. Il cuore trafitto, ancora palpitante e grondante di sangue veniva poi strappato e offerto al cielo, sulle terrazze delle piramidi tronche.
Anche sulle sponde del Mediterraneo avvenivano omicidi rituali a sfondo propiziatorio. Lucano ad esempio, nel Pharsalia III, specifica che in un bosco sacro vicino all’attuale Marsiglia i Druidi in candide vesti sacrificavano vittime umane e marchiavano ogni albero con il sangue delle stesse. Diodoro Siculo (V 31, 2-5) riferisce dell’usanza druidica di pugnalare le loro vittime e di fornire previsioni sul futuro sulla base dei loro spasmi. Anche Tacito, negli Annali XIV, racconta di un bosco sacro posto nell’isola di Anglesey dove i druidi seviziavano i prigionieri.
Giulio Cesare, nel De bello gallico, Libro VI, afferma che tutta la popolazione dei Galli era molto dedita alle “pratiche religiose”. In caso di malattie o in prossimità di battaglie essi <<sacrificano degli uomini invece delle solite vittime o fanno voti di immolare se stessi e prendono i Druidi come assistenti a quei sacrifici, perché se non si offre la vita dell'uomo in cambio della vita dell'uomo, essi ritengono non si possa placare la volontà degli dei immortali e sacrifici di questo genere li fanno anche pubblicamente. Altri hanno simulacri si straordinaria grandezza, le cui membra intrecciate con vimini essi riempiono di uomini vivi, accesi i quali gli uomini che vi sono dentro circondati dalle fiamme sono arsi. Essi ritengono siano più graditi agli dei immortali i supplizi di coloro che siano stati sorpresi nell'atto di rubare o nel furto a mano armata o in qualche altra colpa; ma quando sia venuta a mancare una disponibilità di vittime di questo genere, ricorrono persino a sacrificare innocenti>>.
In virtù della loro innocenza e “freschezza” i bambini erano molto richiesti nella pratica del sacrificio rituale. Spesso venivano sepolti nella fondamenta di santuari come offerte propiziatorie. Lo testimonia ad esempio un ritrovamento di una sepoltura di tarda epoca romano-celtica, ad Alcester (Warwickshire), di dieci bambini e di una bambina a cui era stata tagliata la testa e deposta tra le gambe.
Questo tipo di reperti richiama il valore magico e propiziatorio attribuito alle vittime innocenti, specialmente nei riti segreti correlati alla fondazione di un tempio, di un’associazione o di una città. Si spiega così la necessità della presenza di un sacerdote nelle cerimonie istitutive come per definire la zona d’influenza e l’efficacia spirituale dell’edificio, del gruppo o della futura città, prima ancora che iniziasse l’opera dell’agrimensore che doveva in pratica realizzarne il confine e la struttura.
Anche per tale ragione occulta connessa al sacrificio da perpetuare sistematicamente con nuove e significative offerte, più o meno mascherate, le città avevano più nomi: quello pubblico, quello sacrale e appunto quello segreto. Roma stessa possedeva il nome sacrale di Flora e quello occulto di Amor. E si sa che il parlare al contrario è proprio del demonio, come a simboleggiare la sua dialettica depistante, che inverte e confonde il vero volto del reale, contraria alla logica del si e del no raccomandata da Cristo (Mt 5, 37).
È interessante peraltro una considerazione lasciataci da Orazio. Nel quinto Epodi, il poeta narra del rapimento di un fanciullo effettuato da un gruppo di streghe intenzionate a sacrificarlo, per estrargli le viscere ed il fegato necessari alla preparazione di un filtro d’amore. Dopo aver cercato di impietosire per distogliere le megere dalle loro intenzioni, il ragazzo ritrovatosi inesorabilmente interrato fino al mento e destinato a morire di inedia, lancia alle sue seviziatrici imprecazioni e minacce: <<Vi maledirò; e questa maledizione nessun sacrificio potrà espiarla. Quando messo a morte sarò spirato, innanzi vi comparirò nelle notti come un demone, larva che con gli artigli ci ghermirà il volto, perché questo possono i morti. E pesando sui vostri cuori inquieti, nel terrore vi ruberò il sonno>>(Orazio, Odi ed Epodi, Garzanti, Milano 1992, p. 300).
Più del valore poetico di tali versi, è interessante rilavare quanto Orazio riferisce circa il “potere dei morti” di riapparire in vesti di demone per torturare i loro carnefici. Questo perché il doloroso trapasso ha determinato nelle vittime comprensibili sentimenti di odio e vendetta. Sentirsi morire d’inedia, bruciare appesi ad una cesta penzolante fra gli alberi, o lacerare il petto fino all’estrazione del cuore difficilmente provoca sentimenti di pace e fratellanza universale.
Del resto, gli officianti del sacrificio umano dovevano ben guardarsi ed auto proteggersi attraverso procedure magiche dalla reazione negativa delle vittime assetate di vendetta, dopo morti così ingiuste ed orrende. Energie negative e malevole continuavano a perseguitare i responsabili di tali nefandezze i quali, nonostante l’essere spesso ridotti a larve umane soggette ad allucinazioni e pazzia, venivano comunque protetti e utilizzati dal “sistema” per questo servizio agli idoli.
Demoni, larve psichiche raffigurate con artigli e denti digrignati rappresentano dunque l’iconografia generica degli stati negativi associati a decessi tragici e delittuosi. Tali negatività possono sprigionarsi anche nel caso di morti avvenute in guerra, in seguito a disastri naturali, o incidenti di vario genere. Anche gli aborti procurati sprigionano un alto potenziale di tensione negativa, utilizzata nella magia nera, in quanto rottura dell’armonia cosmica designata alla vita e non alla morte.
Quando insomma la morte coglie in modo improvviso e tragico, senza una serena accettazione, si creano intorno al sangue versato e rimangono ancorati alla terra “resti psichici” che conservano l’angoscia, la sofferenza, il senso di vendetta provate dai soggetti negli interminabili momenti finali della loro esistenza terrena. Questi resti psichici possono addirittura essere intrappolati e conservati per usi magici. Attraverso di essi gli spiriti inferi riescono ad interagire con la dimensione ctonia, potenziando fin dove possibile i loro fornitori di tale illecita “energia”.
Molti di questi aspetti negromantici conosciuti e praticati fin dall’antichità non erano estranei alla corte imperiale romana, presenziata dal divino imperatore-pontefice. Ad esempio, il culto autoctono del Sol Invictus, ufficializzato da Aureliano in Roma qualche decennio prima della vittoria di Costantino, riproponeva quello originario del dio Sol. Ebbene, tale misterioso se non proprio “misterico” culto non poteva essere costituito solamente dalle liturgie pubbliche, dai cortei trionfali che seguivano vittorie e conquiste. Tale forma di enoteismo solare infatti consentì a Roma di rinnovare (momentaneamente) il proprio ruolo di centro spirituale e di asse cosmico nel quale si concentravano tutte le forze arcane del Mundus. Sul cui altare doveva continuare ad essere alimentato (non solo con legna) ed ardere il fuoco sacro del dio solare protettore dell’Urbe.
Forme rituali magiche a noi sconosciute perché sigillate dal segreto iniziatico dovevano per forza di cose accompagnare quelle popolari perpetuate nell’Impero. Nonostante la mancanza di documentazioni ufficiali e prove certe in merito, i sacrifici rituali non potevano essere estranei alla religiosità che consentì all’Impero di unificare per diversi secoli i popoli europei e mediterranei intorno al centro politico e spirituale di Roma-Amor. Le divinità pagane, demoni per intenderci, richiedevano sempre lo stesso prezzo per sostenere gli imperi sorti dappertutto nel mondo.
D’altra parte, l’esercito romano non era tenero con i propri nemici. Il potere di attribuire la morte ai nemici dell’impero era un potere anche magico finalizzato a garantire, attraverso il costante ribollire del calderone magico connesso al sacro fuoco, l’egemonia politica ed economica dell’Urbe. Il sangue versato era offerto attraverso una sorta di “consacrazione” a priori alle divinità celebrate sull’ara del misterioso Mundus. La figura stesa dell’imperatore, il pontefice massimo intermediario fra il visibile e l’invisibile, era designata a scendere nell’oscurità delle tenebre per propiziare e garantire l’offerta alla divinità solare venerata nella sua persona.
Anche se quanto detto non è dimostrato da prove certe, il ritualismo connesso all’uso magico del sangue, che costituisce il cuore stesso delle forme di religiosità pagane, venne comunque messo in crisi da un evento imprevedibile: la crocifissione di Gesù Nazareno. In questo caso, i demoni ai quali risalivano le offerte delle guerre, delle sommosse, delle morti comuni, si trovarono di fronte non un uomo, ma lo stesso Dio, il Verbo dal quale tutto ha tratto origine.
Quando infatti oltre al sangue di prigionieri o nemici di vario genere finì nel calderone delle liturgie segrete quello del Figlio di Dio, iniziò la definitiva rovina dell’impero romano. La passione e morte in Croce del Figlio di Dio significò la liberazione degli uomini dal potere del demonio, celebrato come divinità. E come sui tempi pagani vennero eretti quelli cristiani, così sull’impero romano, come su uno “sgabello”, venne strutturato e si innalzò nei secoli l’impero spirituale della Chiesa di Roma.
La Lettera agli Ebrei è chiara riguardo al sacrificio della Vittima innocente, l’Agnello di Dio, Gesù Cristo (Eb 10, 1-23). Nel momento della morte, Gesù il Cristo, al tempo stesso Altare, Vittima e Sacerdote, sconfisse una volta per tutte le divinità celebrate e celate dietro simboli, statue, processioni e feste pagane. Gesù ne fece corteo di conquista trionfale dietro sé.
In virtù della crocifissione e morte del Cristo <<il quale avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi>> (Eb 10, 12), il sangue versato in nome ed in comunione con Dio avrebbe sortito lo stesso effetto di quello divino. Più i romani sacrificavano i cristiani, più affrettavano la rovina dei venerati idoli gravitanti intorno al demone solare.
Solo nel momento cruciale della Passione, le potenze avverse cercarono di cambiare la fallimentare strategia del contrasto diretto contro il Figlio di Dio. La moglie di Pilato fece un sogno che la turbò. Avvisò il marito. Ma era troppo tardi. La furia sanguinaria, la sete di violenza della bestia aveva messo in moto un processo irreversibile di autodistruzione che avrebbe designato la definitiva disfatta delle forze dell’aria che per secoli avevano assoggettato l’uomo.
Poiché la sapienza della Croce <<non è di questo mondo>>, i dominatori di questo mondo vennero ridotti al nulla proprio crocifiggendo <<il Signore della gloria>> (1Cor 2, 7,9). Essi segnarono così la loro sconfitta che si perpetua quotidianamente sugli altari, durante le sante Messe. Le quali, come ben sanno i Christifideles, rinnovando in modo incruento il sacrificio redentivo di Gesù Cristo, rinnovano in perpetuo il trionfo del Bene sulle forze degli inferi.