domenica 22 novembre 2015

GABRIELE E LA FINE DEI TEMPI




Santa Teresina, in un periodo di grande sconforto, confessava: “Quello che oggi invade il mio spirito è il ragionamento dei peggiori materialisti: ossia, che la scienza, facendo continui progressi, spiegherà tutto in modo naturale”.
La mentalità pseudo scientifica, ossia il “peggior materialismo”, nonché anticamera dell’ateismo, insidia difatti la certezza dell’esistenza della dimensione soprannaturale, poiché riporta la spiegazione del tutto alla sola dimensione quantitativa, racchiudendo in tale ambito anche il pensiero, che per sua natura la trascende.
Uno dei tanti esempi dell’inutile tentativo di ridurre il sovrumano all’ordinario, ci è fornito dal fisico F. J. Tipler, da anni impegnato nella divulgazione scientifica. Il quale, riguardo al mistero dell’Incarnazione, sostiene che: “se si prende alla lettera il resoconto del Vangelo di Matteo, la stella di Betlemme deve essere stata una supernova di tipo Ia o una supernova di tipo Ic, situata o nella galassia di Andromeda oppure, se di tipo Ia, in un ammasso globulare di tale galassia…” (La fisica del cristianesimo, Mondadori, Milano 2008, p. 168).
Tale attestazione, benché aggiornata rispetto alle recenti teorie celesti, è assai poco rilevante rispetto al Fenomeno al quale è riferita, non sfiorando in alcun modo gli aspetti eccezionali ad esso associati e non sondabili dalla ragione umana, se non mediante il canone dell’umiltà di mente e di cuore, difficilmente presente nei “ragionamenti dei peggiori materialisti”.
Di certo, se i Re magi fossero nati nella nostra epoca, dominata dal pensiero “pitagormassonico”, di tale stella essi avrebbero semmai compilato diagrammi, spettri, equazioni ecc., per definirla in tutta la sua struttura fisico-chimica, senza assolutamente riferirsi al suo significato profondo, nonché ragione della sua eccezionale comparsa.
Questo perché la scienza moderna, mediante i suoi protocolli e la sua ideologia materialista, ha di fatto espunto dalla natura e dai fenomeni, dai più semplici ai più eccezionali, ogni rapporto con Dio Creatore, segnandolo con il marchio della mentalità retrograda e medievale. Di conseguenza, il cielo, grazie ai grandi scienziati filomassonici, è divenuto una griglia di dati, diagrammi, formule, ipotesi, che hanno spogliato la dimensione celeste anche della genuina meraviglia che produce un semplice sguardo contemplativo, subito ingabbiato nei suddetti schemi e spiegazioni.
Di fatto, Dio non trova più spazio nel cielo razionalizzato dalla scienza, e divenuto giurisdizione di studiosi, i quali pur proclamandosi credenti, come il luminare sopra citato, hanno rimosso ogni distinzione fra materia terrestre e materia celeste, uniformando il tutto ad in un unico “pastone” formato da 92 elementi ecc. Pertanto, cielo, terra, acqua, fuoco, etere sono divenuti praticamente fantasie di un passato dissoltosi nel tritatutto della mentalità moderna.
Ma i Magi, grazie a Dio, sono sapienti che appartengono ad un’epoca non del tutto tramontata, grazie a Dio, ma ancora attuale e riservata ai cuori umili, disposti ad abbandonare le più salde certezze, per aprirsi a quelle pur incredibili del cielo. Costoro si deliziano ancora di credere ingenuamente che il cielo è il trono di Dio e la terra lo sgabello dei suoi piedi, come affermano le Scritture.
Pur essendo pagani ed impregnati delle conoscenze politeiste diffuse nella terra dei Caldei, i Re Magi si disposero ad accogliere il mistero annunciato da una luce inspiegabilmente apparsa nei loro cuori, prima che ai loro occhi. Una luce non naturale, ma eloquente, benché estranea alla ragione.
Probabilmente, i Caldei non avevano dimenticato la profezia pronunciata da Balaam, il personaggio incaricato dal re Balak di maledire il popolo di Israele, suggellata nel Libro dei Numeri (24, 17): “sorgerà uno scettro da Israele”. Sta di fatto che, mentre Balaam era in cammino per svolgere il compito assegnatogli, il suo asino si arrestò e non volle proseguire. Il veggente lo percosse energicamente, finché l’asino parlò, per indicare il motivo del suo blocco: un angelo gli sbarrava il cammino.
Balaam, mago e profeta, alzò gli occhi e vide davvero un maestoso angelo in mezzo al sentiero. Di fronte a questo eccezionale segno, benedisse il popolo eletto e predisse il segno prodigioso che sarebbe sorto, per annunziare la nascita del Re dei Re: “Una stella spunterà da Giacobbe e uno scettro sorgerà da Israele, spezzerà le tempie di Moab e il cranio dei figli di Set”.
Già Origene attribuì a tale stella il ruolo di cometa. Ma a differenza di quelle ordinarie, la luce che brillò nell’epoca di Ottaviano, attraversando i cieli orientali, fin sopra Betlemme avrebbe annunciato un irripetibile e glorioso avvenimento. Così quando i magi mediorientali, dopo averla attentamente osservata, si accorsero che i loro demoni al suo apparire si erano come indeboliti, si avviarono verso la Giudea, per onorare la nascita ed attirarsi i favori di un dio più potente delle loro divinità (Contra Celsum, I, 60).
In effetti, la famosa cometa doveva avere in sé un qualcosa di veramente speciale, che tuttavia nessuno al di fuori dei Magi rilevò. Eppure anche Gerusalemme aveva attenti osservatori del cielo, incaricati di interpretare nei segni degli astri il destino del popolo e del sovrano. Ma nessuno di essi si accorse della luce mistica sorta nelle oscurità celesti, tranne i sapienti pagani che sarebbero divenuti coprotagonisti della nascita del Salvatore.
Il tiranno accolse con sorpresa la domanda dei tre Sapienti, circa la nascita del re dei giudei: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2, 2). Essi davano per scontato che anche Erode avesse compreso il segno celeste, nel loro medesimo senso. Ma si sbagliavano.
Erode difatti quando consultò i suoi sapienti, si interessò unicamente del luogo della nascita del Messia, per poter intervenire a suo modo. La strage degli innocenti è testimoniata non solo dal Vangelo. Macrobio riferisce che: “Quando Augusto sentì dire che tra i fanciulli fatti uccidere in Siria da Erode, re dei Giudei, c’era anche suo figlio, chiosò: “Meglio essere il porco di Erode, piuttosto che suo figlio” (Saturnalia, II, 4,11). I Magi infatti avvertiti in sonno, evidentemente da un angelo, tornarono nelle loro regge per altra strada.
Gli angeli ricorrono costantemente negli eventi che propiziarono la nascita di Gesù. Un angelo comparve a Balaam ed al suo asino. L’angelo Gabriele aveva annunciato al profeta Daniele l’avvento del “Figlio dell’uomo” ed il tempo nefasto dell’abominio della desolazione (Dn 12, 11). Ed è sempre questo angelo, aiutato dall’angelo Michele, a battersi, per la realizzazione del regno di Dio (Dn 10, 13). Gabriele porse l’annuncio alla vergine Maria ed apparve a Zaccaria. Un angelo, “attorniato dall’esercito celeste”, apparve si pastori, per annunciare la nascita del Cristo Signore (Lc 2, 9). Un angelo apparve in sogno a Giuseppe, esortandolo a fuggire repentinamente in Egitto (Mt 2, 13) ed ancora un angelo lo richiamò nel paese d’Israele alla morte di Erode (Mt 2, 19).
Visto il ruolo primario svolto dall’arcangelo Gabriele in tutta l’epoca che precedette e vide la nascita di Gesù, è stato suggerito che, anche la stella apparsa ai Magi, fosse una manifestazione dell’arcangelo Gabriele, al quale è stata affidata la missione di annunciare e propiziare l’avvento del Signore. La cometa quindi poteva essere una luce trascendente, più che naturale, prodotta e mossa dall’arcangelo Gabriele (S. Basilio, Homilia VI; S. Giovanni Crisostomo, Homilia VI in Matthaeum, 2). Marsilio Ficino afferma in proposito che, l’arcangelo Gabriele: “sotto forma di stella informò gli studiosi di stelle, e attraverso la luce della stella, tratta dal Sole, li condusse verso il Sole” (Sulla stella dei Magi).
I Magi, seppur ricchi e sapienti, erano comunque sempre pagani. L’angelo quindi non si rivelò ad essi esplicitamente, come aveva fatto con Daniele, Zaccaria, Maria. Bensì, in modo allusivo, attraverso un prodigio naturale. L’apparizione di una luce eterea, visibile a pochi ed invisibile ai più, portò i saggi pagani verso Gesù. Gabriele è infatti l’angelo della rivelazione di Dio, che si protrae nel tempo ed avviene in molte forme, oltre quello verbale.
Tutta la storia della salvezza è contenuta nella rivelazione che Gabriele trasmise a Daniele, vir desideriorum, “uomo dei desideri” (Dn 9, 22 e 10, 11) –nelle nuove versioni della Bibbia: “uomo prediletto” –, deportato di Giuda e prigioniero del re Dario. Il quale, per mantenersi puro e fedele in modo intransigente alla tradizione dei Padri, venne infine gettato nella fossa dei leoni, dai quali si salvò per intervento di un angelo (6, 23), forse lo stesso Gabriele.
Daniele: “che tanto desiderava la redenzione del suo popolo e dell’umanità”, (G. Alberione, Maria Regina degli Apostoli, Ed. San Paolo, 2008, p. 49), meritò dunque di essere informato da parte di Gabriele dei piani escatologici di Dio, sugli ultimi tempi terribili, sull’apparizione dell’anticristo e sull’Ultimo Giudizio (cfr Dn 8, 11-36).
Scrive S. N. Bulgakov che: “L’angelo dell’annunciazione è in genere l’interprete veterotestamentario della storia universale: il suo sguardo penetra l’avvenire, dove già vede il compito che il Signore gli affiderà: l’annunciazione … Nella persona dell’arcangelo Gabriele si manifesta la forma della relazione del mondo degli angeli verso quello umano e che la loro missione va compresa non solo come un’esecuzione dei decreti di Dio, ma come un’ispirazione e una creatività a loro propria, consona” (La scala di Giacobbe, Lipa Edizioni, Roma 2005, p. 80).
In base a tale capacità creativa, Gabriele ha svolto e svolge ancora nel tempo la sua missione di rivelare l’avvento del regno di Dio, mediante segni adeguati agli ascoltatori ed ai tempi. Segni non solo verbali, ma anche celesti, come appunto potrebbe essere stata la stella cometa, e come potrebbero essere interpretate le evidenti “doglie del parto” che il mondo esprime nella nostra epoca.
Del resto, il Signore stesso avverte i suo discepoli che: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia … le potenze dei cieli saranno sconvolte” (Lc 21, 25), prima della venuta del suo Regno glorioso.
Le “potenze del cielo sconvolte”, secondo la nostra particolare linea interpretativa, richiamano la trasformazione cosmologica che ha rivoluzionato l’immagine celeste, negando la percezione dei sensi in favore del modello pitagoricamente precostituito, divinizzando l’uomo e celebrando i demoni planetari, che gravitano intorno allo spirito-sole centrale, l’Helios re di Giuliano l’apostata.
Il cambio di paradigma cosmologico avvenuto nel Rinascimento è stato ratificato nell’epoca illuministica, quando la crociata massonica intraprese il definitivo attacco al potere temporale e spirituale della Chiesa Cattolica. Attacco che, dopo la caduta della Roma felix, del 1870, un centinaio di anni dopo sembra aver preso di mira le ben più preziose ed invincibili cinte interiori, per cercare di attuare il piano di corruzione sancito dalle Alte Vendite mondiali, quello cioè di giungere ai vertici della gerarchia ecclesiastica.
Del resto, l’arcangelo Gabriele profetizzò a Daniele la comparsa di forze avverse che: “si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l’abominio della desolazione” (Dn 11, 31). La durata di tale abominazione sarà di “1290 giorni”. Ma dopo “1335 giorni”, avverrà il trionfo definitivo del regno di Dio (Dn 12, 12-13).
Molti segni alludono peraltro alla fine della “Terza Roma”, quella profetizzata da Mazzini, dopo quella imperiale e quella papale. Ossia, quella massonica, che avrebbe dovuto incarnare gli ideali massonici di fraternità, libertà e uguaglianza ed essere modello all’Italia e a tutta l’Europa. Ma che invece segnò l’avvio della decadenza della società massonica appena costituitasi, perché: “sordido nido di travetti, di albergatori, di bagasce e di parassiti … La Chiesa Cattolica è societas perfecta assai più e meglio dello Stato nazionale massonico e borghese” (A. Gramsci, L’Ordine Nuovo, Rassegna Settimanale di Cultura Socialista, 2 ottobre 1920)).




sabato 15 agosto 2015

La “terra piatta”




Un argomento del tutto infondato, tuttavia ancora utilizzato dai detrattori della filosofia tomista, fondata sulla validità del cosiddetto senso comune, riguardo l’indagine naturale, è che a considerare la realtà così come appare si incorrerebbe nell’errore dei medievali, i quali, poveretti, credevano che la terra fosse piatta. Per tale ragione, si deve seguire Galilei e la sua scienza, fondata sull’invito a far violenza ai sensi, per dare spazio alla ragione matematica ed al metodo induttivo.
Il Sole quindi deve essere fermo, anche se appare in movimento, la Terra invece deve in movimento, anche se appare ferma, se non vogliamo credere che il nostro pianeta sia piatto. Se dalle Scritture traspare il contrario dobbiamo tener presente che queste, le Sacre Scritture, sono scritte in modo tale da adattarsi al popolo rozzo. Quindi queste, le Sacre Scritture, non sono affidabili per quanto riguarda le dispute naturali, spiegava Galilei nelle sue Lettere Copernicane, negando la loro inerranza.
La favola della Terra piatta dimostra la forza di un pregiudizio creato ad arte da personaggi ben quotati e ben inseriti nelle dinamiche oscure del mondo, il quale nonostante tutto si è formato e radicato nel corso degli anni, ad ulteriore detrimento della metafisica scolastica. Questo, al fine di celebrare la liberazione dall’ignoranza e dalla superstizione religiosa, nelle quali sarebbe caduto l’uomo nei lunghi secoli oscuri del Medioevo. In questi Mille anni di totale oscurità, una Chiesa reazionaria e spietata avrebbe detenuto il potere sull’uomo, manipolando le sue paure, in ordine alle punizioni e vendette divine conseguenti alle trasgressioni della morale e dei dogmi, sulle quali Essa gestiva la sua nefasta autorità. Ma, ovviamente, le cose non stanno così, come la propaganda massonico-progressista vorrebbe fare invece intendere.
Di terra tonda parla già il beato, terziario francescano, Raimondo Lullo (1233-1315), che aveva elaborato una teoria della terra sferica basata sul fenomeno del flusso e del riflusso delle acque marine. Egli affermava che: “Gli occhi nostri vedono il flusso ed il riflusso delle acque, perché l’arco che forma l’acqua come corpo sferico è naturale che abbia altri confini opposti su cui poggiare, perché altrimenti non potrebbe sostenersi. Per conseguenza, così come in questa parte appoggia sul nostro continente, che vediamo e conosciamo, nella parte opposta di ponente appoggia sull’altro continente che non vediamo e non conosciamo fino ad oggi; però per mezzo della vera filosofia , che riconosce ed osserva mediante i sensi la sfericità dell’acqua e il conseguente flusso e riflusso … si inferisce che nella parte occidentale esiste un continente nel quale l’acqua mossa va a urtare così come rispettivamente urta nella nostra parte orientale” (R. Lullo, Quodlibeta, Q. 154, T. IV).
Ancora prima di Lullo, Cicerone, nel Sogno di Scipione, parla di pianeti sferici e rotondi, fra i quali la terra “come inghirlandata e circondata da alcune zone”. Se consideriamo inoltre non solo il Timeo di Platone, ma il De Cielo di Aristotele, risulta evidente che le sfere omocentriche, che circondavano la terra nell’immagine della cosmologia greca, e poi in quella di Tolomeo, non potevano ruotare intorno ad una terra piatta, bensì attorno ad un luogo centrale altrettanto sferico.
Durante il Millennio medievale, al quale si vorrebbe ricondurre tale assurdità, era credenza comune il credere la terra ferma, così come appare ai sensi, grazie ai quali si giunge alla conoscenza della realtà. A parte Lattanzio, nato verso il 250, che peraltro si interessava di apologetica cristiana, che nel De divinis institutionibus, III, 24, parlava in modo puerile della forma della terra, come riferisce Copernico nella Prefazione al suo De revolutionibus, la sfericità della Terra era un argomento assodato per tutti i più qualificati pensatori medievali: S. Agostino, Beda il venerabile, S. Tommaso, il francescano Ruggero Bacone. Dante stesso concepiva gironi e sfere in rapporto all’argomento assodato della terra sferica. Per non dire poi degli antiaristotelici del XIV secolo, come Nicola Oresme e Giovanni Buridano, i quali proposero il movimento di una Terra sferica e non piatta intorno al Sole. Nessuno di essi credeva nella fandonia della terra piatta, avendo in uso già allora della facoltà della ragione.
Eppure questo pregiudizio a carico del periodo medievale è alquanto diffuso. E non sono stati gli illuministi a diffonderlo, come verrebbe naturale credere. Infatti: “nessuno dei grandi razionalisti anticlericali del diciottesimo secolo – Condillac, Condorcet, Diderot, Gibbon, Hume o il nostro Beljamon Franclin – accusarono gli scolastici di credere nella terra piatta” (T. Bethell, Le balle di Newton, Rubettino Editore, 2007, p. 214). I pur autorevoli nemici della verità e promotori di questa grande bugia, usano accreditarla alle dispute che Cristoforo Colombo avrebbe sostenuto con i frati “bigotti”. Questi ultimi, secondo i raccontatori di fandonie, nella loro ignoranza ed ottusità, avrebbero creduto niente di meno che le caravelle sarebbero cadute dalla terra, in un “giù” imprecisato, una volta superato il limite terrestre. Il merito di Colombo sarebbe stato quindi quello di dimostrare, in base alle sue conoscenze fondate su carte geografiche e mappamondi in suo possesso, in seguito alla sua scoperta, che la Terra era tonda (cfr. U. Eco, L’Espresso, 17.1.93, p. 162).
Uno di questi inaffidabili travisatori della verità, fu Andrew Dickson White (1832-1918) senatore dello stato di New York, il quale nel suo libro, “History of the Warfare”, scrisse che: “Molti audaci navigatori, del tutto pronti ad affrontare pirati e tempeste, tremavano al pensiero di sprofondare con la loro nave nelle voragini dell’inferno che una diffusa credenza poneva nell’Atlantico ad una distanza sconosciuta dall’Europa. Questo terrore dei marinai rappresentò uno dei maggiori ostacoli al grande viaggio di Colombo”.
Un altro pseudo divulgatore, il metodista John William Draper (1811-1882), chimico e polemista anticlericale, utilizzò questa frottola per rivolgere la solita calunnia contro la Chiesa Cattolica, la quale sarebbe stata sempre contraria nel tempo al progresso della scienza ed all’evoluzione della società civile. Draper pensò quindi di inventarsi che: “Gli scritti degli astronomi e dei filosofi maomettani avevano fatto circolare la teoria della terra sferica, ma come previsto, in Europa venne accolta con sfavore dai teologi”. Non contento, addirittura aggiunge l’incredibile inaccettabile falsità che: “Le tradizioni e ragioni politiche impedirono al governo papale di ammettere che la terra avesse una forma diversa da quella piatta, come rivelato dalle Scritture (sic!)”, come se la Parola di Dio sostenesse effettivamente una tale assurdità, che dimostrerebbe peraltro, in tale circostanza, la sua inattendibilità in proposito di dispute naturali, come avrebbe voluto Galilei.
Furono dunque autorevoli ed “illuminati” americani del XIX secolo a mettere in circolo tale inconcepibile insinuazione, a discapito della Chiesa, del suo Magistero e della sua Sapienza ispirata dallo Spirito Santo. Essi, sostenuti da una propaganda complice, la fecero risuonare in tutti gli ambiti culturali mondiali, fin nella “nuova” Italia, da poco costituitasi a spese, non solo economiche, della Chiesa Romana, vanamente difesa nei suoi diritti dai suoi più illustri esponenti, Pio IX in particolare.
Queste voci infondate e calunniose sembrano essersi sollevate quasi in risposta al Sillabo, che questo Papa incaricò di elaborare ad una commissione, a salvaguardia degli errori e della mentalità che i gruppi liberali ed anticlericali diffondevano a tutti i livelli, senza alcun tipo di scrupoli. Tali voci estranee alla verità, deliberatamente ignoravano che proprio il Cristianesimo in ogni tempo valutò e valuta benignamente la facoltà della ragione umana, favorendo l’attività indagatrice e speculatrice dell’uomo, come riconosce anche uno fra gli storici più quotati: “La rivoluzione razionale del pensiero si manifestò nell’Epoca della ragione solo perché era stata preparata da una lunga tradizione medievale, che aveva considerato l’uso della ragione come una delle attività umane più importanti” (E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi, Torino 2001).
Una pungente critica ad A. D. White, è stata sollevata da Umberto Eco (in, Segni e sogni della terra, De Agostini, Novara 2001, pp. 17-18), il quale scrive: “Non può nascondersi il fatto che Agostino, Alberto Magno, Tommaso sapessero benissimo che la terra era tonda. Tuttavia (A. D. White) dice che per sostenerlo hanno dovuto lottare contro il pensiero teologico dominante. Ma il pensiero teologico dominante era rappresentato proprio da Agostino, Alberto e Tommaso, i quali dunque non avevano dovuto lottare contro nessuno! … Come poteva infatti ignorare la sfericità della Terra un’epoca che studiava le sfere armillari”. Scrive ancora Eco: “il pensiero laico ottocentesco, irritato dal fatto che la Chiesa non avesse accettato l’ipotesi eliocentrica, ha attribuito a tutto il pensiero cristiano (patristico e scolastico) l’idea che la terra fosse piatta. L’idea si è rafforzata nel sorso della lotta sostenuta dai difensori dell’ipotesi darwiniana contro ogni forma di fondamentalismo”.
Siamo dunque giunti al nocciolo dell’intera questione, sollevata come reazione alla condanna del modello eliocentrico da parte della Chiesa Cattolica, senza tener conto delle sue ragioni. Le quali non sono certe quelle ad essa attribuite dalla parte favorevole all’ipotesi eliocentrica, divenuta nel tempo una sorta di dogma scientifico. La Chiesa in realtà conosceva l’interpretazione del modello eliocentrico presentata da Bruno, attraverso la quale si interpretano i pianeti come sedi e personificazione di spiriti immateriali in grado di interagire con gli uomini, se opportunamente sollecitati. Più dell’aspetto scientifico, era questo contenuto magico ed allusivo a preoccupare i Pastori della Chiesa. I suoi risvolti irrazionali paradossalmente coperti dall’aspetto razionale-scientifico relativo alla posizione ed al movimento dei pianeti.
La Chiesa fedele al metodo ed alle conclusioni della filosofia Scolastica, ancorata alla logica inflessibile della non contraddizione dell’essere, sosteneva l’attendibilità della conoscenza sensibile, anche al di là delle apparenze. Questo principio assicura che effettivamente le cose naturali sono così come appaiono, senza alcun pericolo di incorrere in conclusioni erronee o fantasiose, come invece si vorrebbe far credere. Il dato più evidente a tutti gli uomini, in tutti i tempi, esclusi quelli che stiamo vivendo, nel quale si è imposto il predominio della ragione astratta e matematica rispetto alla ragione logica deduttiva inerente al reale, è il movimento dei corpi celesti e la quiete della Terra.
Questa è la verità che scaturisce dal “senso comune”, sulla quale la conoscenza può procedere senza errori o contraddizioni. L’oggetto o il fenomeno percepiti rimangono immutabili, variano le loro interpretazioni nel tempo. Ma se queste corrispondono fedelmente ai fenomeni dai quali scaturiscono, esse stesse rimangono immutabili perché colgono l’essenza della verità naturale. Su questo principio sul quale si fonda il tomismo, tanto raccomandato dal Papa Leone XIII, nell’Enciclica Aeterni Patris, 4/8/1879, perché questo sistema filosofico è stabilmente sviluppato “sulle intime ragioni delle cose”. Ed è alla luce di questo sistema e del valore attribuito al senso comune, che l’idea del movimento della Terra e della quiete del Sole risulta contraddittoria perché opposta al dato sensibile percepito dai sensi, i quali non si ingannano in quello che tutti gli uomini vedono, unanimemente, da sempre.





mercoledì 25 marzo 2015

Gerarchie angeliche ed Empireo



Dionigi l’areopagita per molto tempo è stato ritenuto quel discepolo che si convertì al cristianesimo, dopo aver ascoltato il discorso di san Paolo nell’areopago di Atene. Si è creduto che egli avesse sviluppato i suoi scritti sulla base delle rivelazioni ottenute dall’Apostolo delle genti. Il quale in modo straordinario era diventato partecipe dei misteri divini, essendo stato rapito fino al terzo cielo, ove aveva udito parole sublimi ed irripetibili, cioè non trasmissibili (2 Cor 12, 2).
L’equivoco si basa sul fatto che, verso la fine del V secolo, comparvero alcune opere che riportavano come firma Dionysius. Esse facevano spesso riferimento a san Paolo ed a Timoteo “confratello nel sacerdozio”. Inoltre, in alcuni passi delle Lettere, indirizzate a nomi di personaggi che risalgono al tempo degli apostoli, questo Autore scriveva di essere stato testimone dell’oscuramento del Sole che si manifestò alla morte di Gesù Cristo. Tutto questo fece pensare che egli fosse proprio quel Dionigi membro dell’Areopago, la conversione del quale è affermata negli Atti degli Apostoli (17, 34). Secondo un’altra versione, fu l’abate Ilduino (circa 815) che, per accrescere il prestigio dell’abbazia dedicata a san Dionigi martire, utilizzò le opere dell’autore mistico che si celava dietro lo pseudonimo di Dionigi, donate a Ludovico il Pio nell’ 827 dall’imperatore bizantino.
Tuttavia, le contraddizioni emerse dalla lettura di questi importanti scritti fecero dubitare dell’autenticità di tale attribuzione. Oggi si ritiene che vennero redatti da un filosofo neoplatonico nello stesso secolo nel quale comparvero: il V. Per tale ragione, tale autore viene comunemente denominato lo Pseudo-Dionigi. Edith Stein nel suo saggio: “La Simbologia Teologica dell’Areopagita e i suoi reali presupposti”, elaborato nel Carmelo di Echt, nel 1941, raccomanda come premessa di superare pregiudizi e giudizi negativi riguardo a questo pseudo autore, per poter rilevare nonostante tutto la presenza di “uno spirito superiore” all’interno del corpus dionisiano, composto come è noto da quattro trattati maggiori e dieci lettere.
Tale ulteriore apprezzamento rivolto ad un autore che in ogni modo ingannò la buona fede di molti spacciandosi per altri, lascia supporre che il vero Dionigi abbia effettivamente redatto degli scritti originali relativi alle gerarchie angeliche, ritrovati ed integrati con parti spurie dall’anonimo neoplatonico che in seguito li diffuse senza segnalare il suo contributo, generando così l’equivoco. In queste opere dunque ci sarebbe una parte originaria ed un’altra fittizia. Questa possibilità potrebbe spiegare perché autorevolissimi Padri e dottori della Chiesa abbiano ritenuto autentici i libri di tale autore, traendo da essi ispirazione per approfondire soprattutto la dottrina angelica. San Gregorio Magno, sant’Alberto Magno, san Tommaso d’Aquino hanno infatti rielaborato le definizioni delle schiere angeliche presenti nel libro Gerarchia Celeste, che ritenevano sicuramente essere stato redatto nel I secolo proprio da san Dionigi l’Areopagita, primo vescovo di Parigi e martire a Montmartre.
Il Doctor Angelicus, che ottenne molte rivelazioni per grazia divina ed investigò i passi più oscuri delle Scritture, ripetutamente, a partire dal capitolo XVIII della sua opera sugli angeli, “Sostanze Separate”, cita le opere di Dionigi per definire l’origine delle sostanze spirituali secondo la fede cattolica. Possibile quindi che un personaggio così eminente in santità e dottrina possa essere incorso nell’errore grossolano di considerare vere affermazioni false, di confermare ed approfondire attestazioni di un autore fittizio, credendo risalissero ad un santo ammaestrato dall’Apostolo delle Genti, se in esse non ci fossero verità effettivamente ottenute per rivelazione divina, semmai mescolate ad altre di natura incerta, che peraltro San Tommaso non considerò?
L’Aquinate infatti rilevò la parte positiva dell’opera dionisiana, per elaborare la sua dottrina angelica, divenuta parte integrante della dottrina cattolica. I contenuti negativi della dottrina dello pseudo-Dionigi vennero invece sviluppati da speculatori divenuti autorevoli nell’ambito della cultura moderna, per essere andati contro il senso comune e l’ordinaria interpretazione della realtà. Come ad esempio il cardinale Cusano, il quale, come abbiamo visto, trasse spunto da Dionigi per affermare la via negativa per giungere a Dio, la dotta ignoranza, il tema della coincidenza degli opposti comune alla magia, fino a supporre il movimento della Terra e la relatività dello spazio, alterando così il senso della realtà percepita dai sensi a favore di quella immaginata. Su questa linea si introdusse anche Marsilio Ficino, estimatore del Cusano, propugnatore della metafisica solare, il quale fece altrettanto spesso riferimento a Dionigi per dare fondamento teologico al suo tentativo di interpretare in chiave ermetica le tre gerarchie angeliche, al fine di conciliare Cristianesimo e Platonismo.
Come è noto, le principali idee contenute nell’opera dello Pseudo-Dionigi riguardano l’assoluta inaccessibilità di Dio, il principio di emanazione e ritorno a Dio di ogni ente e la concezione gerarchica del mondo, “l’intero ordine delle cose create e che esistono” (Gerarchia Ecclesiastica 1, 3). Poiché la gerarchia ha il compito di ricondurre al Creatore tutto il creato, Dio manifesta il suo Essere innanzitutto ai puri spiriti a Lui più vicini, dotati di un’intelligenza superiore a quella degli uomini e nei quali la luce divina non incontra resistenze interiori.  Ad essi spetta il compito di trasmettere l’illuminazione ricevuta agli spiriti di grado inferiore, fino agli ordini umani. Alla gerarchia angelica corrisponde la gerarchia Ecclesiastica, i cui membri sono chiamati al servizio liturgico. Per Dionigi infatti la rivelazione giunge agli uomini per mezzo degli angeli, ma anche attraverso gli uomini chiamati al sacerdozio ed alla celebrazione della sacra liturgia. Afferma la Stein nell’opera citata: “Soltanto gli spiriti celesti e gli ordini consacrati della Chiesa trasmettono la potenza gerarchica: sono infatti messaggeri di Dio invitati a portare la luce divina della creazione” .
Come abbiamo detto, San Tommaso non segue ciecamente la dottrina angelica dionisiana, ma ne trae solo gli argomenti centrali, quali il principio della gerarchia universale e l’immaterialità degli angeli, i quali possiedono un maggior grado di conoscenza di Dio dovuta alla loro perfetta separazione dalla materialità. Proprio da questo concetto san Tommaso prenderà spunto per stabilire l’influsso delle sostanze separate sull’uomo, in quanto la loro natura spirituale le rende in grado di conoscere in modo semplice e diretto le idee divine in Dio stesso, assumendo così la missione divina di illuminare e guidare gli uomini verso la salvezza eterna.
S. Tommaso definì i rispettivi compiti delle gerarchie, che non comparivano nell’opera dello Pseudo Dionigi. Il Santo afferma che le tre gerarchie angeliche, a loro volta suddivise in tre cori, sono state tratte dal tesoro della Sapienza dall’ineffabile Creatore ad immagine e lode della Santissima Trinità. Nella sua famosa Summa il Dottore Angelico specifica il concetto di gerarchia, interpretandola innanzitutto come “principato sacro”. Angeli ed uomini non appartengono alla stessa gerarchia ed anche tra gli angeli esistono tre diversi gradi gerarchici. E come in ogni genere vi sono tre livelli, il supremo, il medio e l’infimo, così ogni gerarchia è costituita da tre ordini. San Tommaso, dopo aver affermato che la Scrittura distingue gli ordini degli angeli in funzione dei loro compiti e delle loro perfezioni spirituali, cita direttamente l’Areopagita:
Ecco la distinzione degli ordini angelici secondo San Dionigi: I Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni. II Gerarchia: Dominazioni, Virtù, Potestà. III Gerarchia: Principati, Arcangeli, Angeli” (S. T. p. I, q. 108, art. 6).
Questa è dunque la struttura gerarchica relativa agli angeli confermata da san Tommaso e da tutti i dottori della Chiesa e divenuta parte integrante della dottrina cattolica alla luce di quanto stabilito dal Concili Laterano IV e Vaticano I. L’Aquinate afferma questa verità anche in una sua famosa preghiera che inizia proprio con una lode cosmologica: “Creatore ineffabile, che dai tesori della tua Sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli e le hai collocate con mirabile ordine sopra l’Empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo …”. L’Empireo corrisponde al cielo più alto, luogo di residenza degli angeli e delle anime sante. La cosmologia medievale postulava infatti la Terra circondata da sette sfere nelle quali dimoravano rispettivamente i pianeti Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Sopra queste sfere era posizionata l’ottava sfera, che comprendeva le stelle fisse. Sopra le otto sfere, era posizionato il nono cielo, il Primum Mobile, dal quale scaturiva e veniva mantenuto il movimento dei cieli sottostanti. Sopra questi nove cieli stazionava la sfera dell’Empireo immateriale ed infinito a differenza dei cieli sottostanti, materiali ed in perpetuo moto, fuori dallo spazio e dal tempo, eternamente immobile.
Anche Dante negli ultimi canti del Paradiso, afferma l’esistenza dell’Empireo, ove si troverebbero nove tribune a forma di anfiteatro, i petali della “candida rosa”, nelle quali risiederebbero i beati. Il poeta  dispone inoltre le gerarchie dei nove angeli su nove cerchi concentrici, ad immagine dei nove cieli planetari. Il centro di questa visione è riservato al luogo luminosissimo che rappresenta Dio. Il Cosmo Angelico postulato da Dante è un cosmo centrato in Dio, sorgente e fine del tutto universale. È infatti proprio l’inaccessibile luogo divino, il Centro Supremo, dal quale inizia, prende vita ed intorno al quale ruota la totalità della creazione. Esso costituisce il Fattore unico, fondamentale ed assolutamente non trascurabile al fine di comprendere la struttura degli enti creati. Una cosmologia che rispecchi la fede in Dio creatore non può certamente trascurare la Fonte suprema dalla quale tutto discende, prende vita ed al quale tutto ritorna.
I cristiani non sembrano aver abbastanza considerato dal punto di vista cosmologico l’importanza di questo Elemento centrale, dal quale l’Essere autosussistente comunica concretamente agli enti l’esistenza. Ultimamente essi hanno delegato l’indagine del settore cosmologico agli scienziati, sminuendo ed irridendo le rivelazioni e speculazioni dei Santi, alle luce delle conclusioni scientifiche, le quali inondando il cielo di dati, diagrammi, teorie, leggi, hanno offuscato l’immagine di Dio che si riflette nel mondo e nelle Scritture a partire dal Trono della sua Gloria.
Anche la cosmologia convalidata nei lunghi secoli medievali non ha valorizzato il Centro del Mondo e dell’Esistenza, attribuendo il luogo centrale alla Terra e ponendo l’Empireo sulla circonferenza esterna che sovrasta il tutto, seguendo le indicazioni cosmologiche di Aristotele in senso lineare. Questo è comprensibile perché non si sapeva che esoteristi, gnostici, pitagorici e forse Aristotele stesso, autore di opere acroamatiche, intendessero il modello omocentrico in altro senso, non secondo l’immagine comune presentata ai non iniziati. I Pitagorici, infatti, adoratori del Sole centrale, utilizzavano un doppio linguaggio, lasciando trasparire all’esterno l’opposto di quanto celebravano all’interno delle loro cerchie occulte, sigillate dall’inviolabile segreto iniziatico. È possibile dunque che Pitagorici ed affini intendessero il modello geocentrico in senso inverso rispetto alla circonferenza ed al centro, ponendo cioè il Sole al centro della Terra, intesa come circonferenza universale cava al suo interno.
I maghi, sacerdoti del paganesimo, erano invece ben consapevoli dell’importanza del luogo centrale. In esso avevano posizionato il sacro fuoco, il dio Sole-Eros, “il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2, 2), al fine di sfruttare al meglio con evocazioni e riti i favori degli angeli-demoni e le sfuggevoli energie psichiche che circolano nel cosmo racchiuso nella sfera del mondo. A questa categoria di adoratori di Eros, attorno al quale gravitano le cerchie degli “spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6, 12), faceva capo i personaggi enigmatici venuti alla ribalta a partire dal tardi Medioevo, ai quali abbiamo accennato in articoli precedenti, i quali riuscirono a far penetrare nell’ambito della Tradizione elementi spuri tratti dalle dottrine gnostiche e naturalistiche attraverso la loro ingannevole dialettica.
Lo stesso Apostolo ben sapendo le insidie celate dietro il culto ai falsi angeli che operano nel cosmo, mise in guardia i credenti in Cristo dalla venerazione ai demoni travestiti da angeli, molto diffusa già ai suoi tempi da parte di quei settari gnostici che praticavano la falsa ascesi secondo gli “elementi del mondo”. A questi personaggi contraddittori, che celebrano al tempo stesso Cristo ed Ermes-Eros, non risparmia la sua netta condanna: “Nessuno vi impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale” (Col 2, 18).