domenica 16 gennaio 2011

“FERMATI O TERRA!”



Giosuè nella valle di Gabaon invocò il Signore degli Eserciti. E il sole si fermò in mezzo al cielo e <<non si affrettò a calare quasi un giorno intero>> (Giosuè 10, 12-13). Grazie all’aiuto divino, gli Israeliti riuscirono a sconfiggere gli Amaleciti e ad entrare nella terra promessa. Così narrano le Sacre Scritture. La storia è risaputa.
Altrettanto noto che Galilei ricorse a questo brano, nelle cosiddette Lettere Copernicane, per dimostrare che la Bibbia non deve essere interpretata letteralmente, per quanto riguarda il punto di vista naturale. E nemmeno dal punto di vista storico, affermano autorevoli teologi moderni.
Secondo Galilei, le Scritture ispirate dallo Spirito Santo utilizzerebbero un doppio linguaggio <<per accomodarsi all’incapacità del volgo, così per quei pochi che meritano di essere separati dalla plebe>> (Lettera a don B. Castelli). Dio cioè rivelerebbe ai “sapienti”, meritevoli <<di essere separati dalla plebe>>, il senso intimo delle Scritture. Quest’ultimo dunque non corrisponderebbe a quello apparente riservato ai “semplici”.
Nel caso in cui il linguaggio apparente entrasse in contraddizione con quello recondito, Galilei suggerisce di reinterpretare le Sacre Scritture secondo i canoni della ragione scientifica, alla luce cioè delle <<dimostrazioni necessarie>>, piuttosto che ricercare il significato ultimo nelle <<sensate esperienze>>, ossia alla luce dei principi della metafisica, che come si sa è fondata sulla concretezza dell’ente reale.
Per questa ragione, continua lo scienziato, quando la Bibbia attribuisce il movimento al sole e la quiete alla terra, non bisognerebbe lasciarsi trarre in inganno dal linguaggio superficiale utilizzato <<per accomodarsi all’incapacità del volgo>>. Bensì, indagare il senso recondito delle Scritture oltre le apparenze della realtà, facendo <<violenza>> ai sensi. Questo sarebbe il metodo proprio degli <<eletti>>. I quali certamente non condividono la convinzione illusoria che la Parola di Dio debba corrispondere alla dimensione naturale, per il semplice fatto di essere stata creata da quella stessa Sapienza che ha ispirato le descrizioni profetiche.
Ingenuità dunque il credere che l’immagine del mondo debba corrispondere di fatto alle sacre descrizioni. Erroneo porre il punto di partenza dell’indagine conoscitiva nella realtà così come appare. Errato inoltre ritenere che non siano necessarie inversioni (o rivoluzioni) mentali, e che non serva nessun trucco intellettuale per distinguere nei testi profetici la descrizione dei cieli con le vie che conducono ai cieli. Sbagliato insomma ritenere che la Parola di Dio sia concorde alla natura e che non contenga alcuna allusione ad una realtà virtuale distinta da quella tangibile rilevata dal popolare <<senso comune>>.
A questo punto tuttavia è necessaria una precisazione. È chiaro infatti che siamo tutti concordi nell’affermare l’esistenza di un diverso grado di lettura e comprensione della Parola di Dio, una penetrazione graduale dell’intelligenza in grado di separare la verità dalle cause secondarie o accidenti. L’intus legere, leggere dentro, come diceva san Tommaso, è appunto uno scavare dell’intelletto dentro le forme estetiche delle rivelazioni, per approfondirne il significato e penetrare nel loro contenuto più intimo. Tutto questo però deve essere effettuato senza negare o invertire la corrispondenza, l’adeguatio, tra la rappresentazione e la concretezza della “cosa in sé”. Senza cioè voler trasformare l’idea in realtà e la realtà in idea.
È del tutto evidente che il linguaggio sacro è per forza di cose molto spesso allegorico. Già l’Areopagita d’altronde parlava di una <<teologia simbolica>> per indicare il gradino più basso della teologia affermativa e della conseguente necessità di interpretazione e penetrazione dei simboli utilizzati per non fraintendere in modo grossolano alcune affermazioni. Si pensi, ad esempio, all’<<ira>> di Dio, alla sua <<ebbrezza>>, al suo <<sonno>>, al <<grembo di Dio>> dal quale esce il Figlio, ecc.
Tuttavia, oltre questo aspetto del tutto assodato, riguardo all’immagine del mondo le Scritture insistono nell’indicare la saldezza della terra rispetto ai corpi celesti, non soltanto dal punto di vista simbolico. Fin dai primi passi della Genesi si legge che Dio creò il sole e la luna e tutti i luminari per regolare il giorno e la notte. Una sorta di orologi più che perfetti che muovendosi relativamente determinano l’alternarsi delle stagioni e dei cicli cosmici rapportati alla saldezza della terra. Molte affermazioni ribadiscono concordemente la stabilità della terra (Giobbe 9, 3; 38. Siracide 43, 5, Is. 45, 18. I Salmi 18; 23; 92; 103). Persino Gesù dice che il Padre <<fa sorgere (dunque muovere rispetto alla terra ferma) ogni giorno il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni>> (Mt 5, 45).
D’altra parte, Giosuè nel corso della fatidica battaglia contro gli Amaleciti non poteva esclamare enfaticamente: <<Fermati o terra!>> davanti a tutti gli astanti, senza dare un senso di ridicolo alla circostanza del tutto drammatica. Egli dunque non poteva che riferirsi a ciò che effettivamente appariva ed unanimemente veniva (e viene) riconosciuto in movimento dal <<senso comune>>, nonostante il modello razionale elaborato dalla scienza induttiva rifiuti questa innegabile testimonianza. Ossia, il movimento del sole e delle stelle rispetto alla quiete terrestre.
Consideriamo oltre tutto che frenando bruscamente un corpo in rapido movimento, si determinano spinte ed  effetti inerziali, nel caso della terra tradotte in terremoti, maremoti, e via dicendo. Dio allora nel caso biblico, fermando la terra nel suo presunto moto di rivoluzione giornaliera, l’avrebbe scossa in modo repentino. Come un autobus che frenando all’improvviso nel corso della sua marcia, provoca il trascinamento in avanti di tutti i passeggeri. Questo effetto inerziale invece non è avvenuto nel caso in questione. Ciò dimostra che la terra non era, e non è, in movimento e che a fermarsi semmai è stato il sole. Sempre che non si creda che questo episodio sacro sia una favola. Se non proprio un messaggio sibillino.
Occorre tuttavia anche prendere in considerazione la possibilità che Giosuè possa aver compiuto un errore formale nella sua invocazione, del tutto contraria alle conclusioni della scienza moderna, ma che sia stato esaudito egualmente. Egli infatti avrebbe intimato di fermarsi ad un corpo già fermo, invece che a quello in moto. E ciò malgrado, ottenendo l’effetto desiderato. Credere a questa possibilità sarebbe come credere che tirando il freno di emergenza di un treno fermo sia possibile fermare quello che passa accanto a tutta velocità. O sostenere che mettendo benzina nel radiatore invece che nel serbatoio la macchina funzioni lo stesso. O che inviando una domanda al Ministero della Pubblica Istruzione, ci risponda la Conferenza Episcopale Italiana.
Difficile dunque credere che nelle fasi conclusive e drammatiche dell’esodo verso la terra promessa, Giosuè abbia confuso i termini dell’invocazione rivolta a Dio, senza mettere in dubbio il valore e la grandezza del successore di Mosè, di colui che il Signore degli Eserciti aveva scelto come precursore simbolico nel nome e nel fatto di Gesù Cristo salvatore, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza, in quo sunt omnes thesauri sapientiae ed scientiae absconditi (Col 2, 3).
Più semplice considerare l’attendibilità della Bibbia anche nelle questioni naturali, senza incorrere nel pericolo di giungere a conclusioni assurde, come il ritenere la terra piatta, come qualcuno potrebbe sostenere. Ricordiamo infatti che i medievali, i quali interpretavano la Scrittura divina il più possibile alla lettera, sapevano della rotondità della terra. Tra l’altro, oltre a Platone ed Aristotele, la sfericità del nostro globo venne affermata anche da Cicerone, nel <<Sonno di Scipione>>. D’altra parte, il modello tolemaico, fondato sulla perfezione delle sfere planetarie e celesti, non poteva avere come centro una terra quadrata o cubica, ma necessariamente sferica.
Comunque, è bene dirlo, la Bibbia non appoggia né il geocentrismo, né l’eliocentrismo. La Bibbia infatti non può che approvare il Teocentrismo. O meglio il Cristocentrismo. Perché Dio ha voluto che ogni cosa fosse ricondotta in Cristo, come ad un centro assoluto ed universale al quale faccia capo tutta la realtà, da quella inanimata e cosmologica, a quella spirituale e teologica. Ed è compito della sapienza più che della scienza soddisfare a tale missione. Se dunque la scienza sostiene l’eliocentrismo, la Sapienza non può che sostenere il cristocentrismo, invitando a considerare tutta la realtà centrata intorno alla sua Causa, come ad un punto simbolico, ma essenziale, che rappresenta l’inaccessibile Gloria di Dio, l’ineffabile accesso alla contemplazione della beatissima e santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

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