martedì 2 novembre 2010

“LA CHIAVE DELLA SCIENZA”


                                                                                  
Esiliato nell’isola di sant’Elena, vedendo sfumare inesorabilmente la sua gloria, Napoleone non rimpianse le vittorie militari, le parate o le delizie della corte francese. Ma rimpianse il suono delle campane. Gli argentini rintocchi che scandiscono il fluire delle ore.
Suono del tutto diverso da quello degli orologi comuni, della campanella scolastica o delle sirene delle fabbriche. Suoni questi legati ad un senso puramente terreno del tempo, il chronos.
Il suono delle campane invece ha un che di speciale. Una doppia valenza, terrena e mistica, che richiama sia il divenire che l’eternità. L’immanenza e la trascendenza.
Il classico confronto-scontro fra Chronos e Kayros, tempo ordinario e tempo sacro, a volte si risolve con la manifestazione improvvisa ed incomprensibile del kairos all’interno dello sfuggente chronos.
Le Scritture celebrano questa irruzione istantanea del sacro (ierofania) in termini solenni: <<Il cinque del quarto mese dell’anno trentesimo, mentre mi trovavo tra i deportati sulle rive del canale Chebat, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine>> afferma il profeta Ezechiele ( Ez 1,1).
Con espressioni analoghe, San Matteo, descrive il battesimo di Gesù: <<Ecco si aprirono i cieli e Giovanni vide lo Spirito di Dio scendere, in forma di colomba, sopra Gesù>> (Mt 3, 6).
Altra espressione utilizzata dagli Autori sacri è quella maestosa, in senso cosmologico, di “apertura dei cieli”. Ad esempio, san Luca, nel descrivere la lapidazione di santo Stefano, riporta le ultime solenni parole del martire: <<Ecco io vedo i cieli aperti … e il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio>> (At 7, 56). E san Giovanni, nell’Apocalisse, cerca di esprimere la sua misteriosa esperienza con toni altrettanto grandiosi: <<Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo … Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l’arca dell’alleanza … >> (Ap 4,1; 12, 1).

Il cielo che in un batter d’occhio si apre come un sipario, mostrando agli occhi stupefatti dell’uomo comune la concretezza della realtà divina, richiama non solo il trionfo del kayros sul tempo naturale. Ma anche l’affermazione della materia glorificata ed eterna, sulla materia ordinaria.
Quest’ultima, secondo le indicazioni paoline, verrà trasfigurata, resa incorruttibile ed immortale. Come la materia del corpo di Cristo risorto, il quale appariva e si dileguava nonostante le porte ben chiuse, dietro le quali gli apostoli erano rinserrati per paura degli ebrei.
San Paolo parla di maturazione del tempo ordinario, il chronos che diviene kayros, in ordine alla dinamica salvifica della storia, realizzatasi con la venuta del Cristo: <<Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo figlio nato da una donna per liberare quelli che erano sotto la legge … >> (Gal 4, 4). Cristo stesso confermò il trionfo del tempo sacro su quello ordinario, durante la crocifissione, con le ultime sue parole: <<Consummatum est>>.
Dopo la morte redentrice di Cristo, infatti, il circolo del tempo pagano che perennemente ritorna su di sé è stato spezzato. L’alfa e l’omega, inizio e fine del tempo santificato, corrispondono di fatto alla nascita ed alla risurrezione del Signore, primizia dei risorti, secondo un tragitto che inizia sulla terra e si concluderà nei cieli. Dalla materia grezza a quella divinizzata.

San Paolo ci assicura con parole vibranti circa il mistero della morte, il momento in cui chronos svanirà definitivamente, insieme alla materia corrotta, e l’uomo si troverà di fronte al kayros perenne. In quel momento delicato e tremendo: <<tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio al suono dell’ultima tromba>> (1 Cor 15, 51).
Cristo infatti <<trasfigurerà il nostro misero corpo nel suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose>> (Fil 3, 20, 21). Di conseguenza, quella stessa materia che oggi è d’impaccio, che lega alla terra, ai mali, ai piaceri di un momento, non sarà più la stessa. Si semina un corpo corruttibile, risorge un corpo immortale, scrive ancora l’Apostolo riguardo alla realtà trascendente.
San Tommaso delinea alcune caratteristiche del corpo celeste che ha in Cristo l’esemplare perfetto. Il corpo “cristificato” non si corrompe, non invecchia, non soffre. È agile e può spostarsi nello spazio in moto rapidissimo. È dotato di sensi superiori. È leggero e sottile, del tutto soggetto alla volontà. È in grado di attraversare la materia solida. Può apparire e scomparire a piacimento. Rimane giovane per sempre, non è soggetto a bisogni fisici di alcun tipo, né tantomeno ad appetiti o istinti di vario genere (S. Th. Suppl. 82, 1, 6 e sgg).
Una dimostrazione delle capacità di questo “supercorpo”, in grado di sfuggire alle leggi ordinarie dello spazio-tempo e di addentrarsi nella gloria della realtà celeste, è fornita dai santi mistici, i quali già in questa vita riescono in modo misterioso a “smaterializzarsi” e superare le barriere della materia rigida. Gli esempi in proposito super documentati e più che attendibili perché accertati dall’autorità ecclesiastica sono migliaia. Fra i tanti, uno singolare.
Don Bosco il 21 luglio 1862 pur stando fisicamente a S. Ignazio, circa 40 km da Torino, vide tre suoi giovani dell’Oratorio disertare la Messa per andare a fare il bagno nella Dora. Mentre sguazzavano don Bosco riuscì a “materializzare” alcuni forti ceffoni che lasciarono il segno sulla schiena dei tre, che riconoscendo il “tocco” si precipitarono nell’Oratorio e confessarono la loro inosservanza (Memorie biografiche del ven. Giovanni Bosco, 7 vol., p. 224 e sgg).

I santi dotati di doni mistici, più che gli illustri fisici, hanno superato le leggi naturali, sperimentando che davvero <<La sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa>> (Sap 7, 24). Ma è del tutto probabile che essi non sarebbero stati in grado di spiegare secondo i canoni razionali in che modo riuscissero a slacciarsi a piacimento dalle ferree leggi della materia impenetrabile e del tempo irreversibile.
D’altra parte, non è che gli scienziati sappiano dirci qualcosa in più, riguardo al mistero della materia, del tempo o dello spazio. Neppure il grande Einstein, che ha cercato di definire secondo i canoni della scienza il senso più profondo di queste classiche categorie.
La differenza che egli ha messo in risalto riguardo al tempo è che dal punto di vista classico gli eventi si rincorrono nello spazio e nel tempo come una pellicola cinematografica proiettata su di uno schermo, nella quale si vede scorrere un fotogramma per volta. Secondo la teoria della relatività invece i fenomeni sono individuabili attraverso il cronotopo di Minkowski, nel quale staticamente coesistono presente, passato e futuro. Il divenire non è un attributo dell’universo, ma una nostra sensazione dovuta alla limitatezza dei nostri sensi. Una conseguenza del peccato originale, direbbero altri. Il tempo pertanto esiste nella sua interezza. Un po’ come se la pellicola cinematografica, con tutti i suoi fotogrammi, venisse stesa dall’inizio alla fine, senza possibilità di distinguere il passato dal presente e dal futuro in questo continuum naturale.
Questa pur grande concezione scientifica è tuttavia segnata da un limite dal quale nemmeno Einstein riuscì a sfuggire, restando imprigionato all’interno di una raffigurazione ideale, costruita secondo regole matematiche ben definite e strutturate. Rigorosamente estranee alla Sapienza con la quale Dio ha costruito il mondo, disponendo il tutto con <<misura, numero, peso>> (omnia in numero, mensura, pondere disposuisti) (Sap 11, 21).  È vero che in genere i grandi scienziati nelle loro formulazioni escludono di principio ogni riferimento alla Sapienza con cui Dio ha costruito il mondo. Ma è ancor più vero che i santi, anche se ignorano le formalizzazioni della scienza accademica, riescono a superare le leggi fisiche a piacimento. Più delle equazioni e dei diagrammi, possono la santa Messa ed i rosari. Più della scienza, può la virtù. 
Padre Pio ad esempio, contemporaneo di Einstein e del tutto ignorante della teoria della relatività e del calcolo tensoriale (supponiamo, senza offesa per il santo), svolazzava continuamente nello spazio-tempo, continuando a restare rinchiuso nella sua cella in Monte Rotondo. Egli stesso confidò: <<La notte vado sempre girando. Non c’è bisogno dell’obbedienza dei superiori>> (in G. Martinetti, Le prove dell’aldilà, Rizzoli, Milano 1990, p. 121), alludendo alle sue esperienze sulla bilocazione. 
I viaggi di padre Pio erano istantanei, non avevano durata e gli consentivano di trovarsi immediatamente nel posto d’arrivo, anche a migliaia di chilometri di distanza. Il santo si presentava con un corpo del tutto simile a quello rimasto nel convento del Gargano. Conversava, pregava, o assisteva silenziosamente l’interlocutore, manifestando semmai la sua “visita” anche con il famoso effluvio di profumo. Libri e libri di testimonianze in proposito. 
Diversi mistici attestano che la bilocazione non consiste nel vedere qualcosa a distanza, come un film proiettato su uno schermo, o come nell’evanescenza di un sogno. Ma nell’immergersi concretamente nel luogo visitato, ben sapendo che il corpo fisico è rimasto in un luogo diverso. Forte infatti è la consapevolezza del mistico di essere in un altro corpo, del tutto simile a quello carnale ed in un certo senso ad esso complementare. Il corpo etereo e celeste di cui parlavamo in precedenza, che la grazia divina concede di sperimentare ad alcune persone. Accomunate per lo più da una caratteristica: la semplicità di cuore. O se vogliamo, l’ignoranza scientifica.
 Scienza vs mistica? Confronto impossibile, perché categorie poste su livelli diversi. La scienza infatti corrisponde alla natura, la mistica al sacro. Ma il sacro sovrasta la natura, pur penetrandola, perché il sacro permane, mentre invece “cambia la scena di questo mondo”. Pertanto, anche se distinte, natura e grazia non sono fra loro separate. I fenomeni mistici infatti sono pur sempre inseriti nella realtà fisica. Viceversa, alcuni fenomeni indagati dalla fisica moderna sconfinano in prospettive borderline, per non dire incomprensibili e contraddittorie. 
Ad esempio, oltre all’effetto tunnel delle particelle alfa (in grado di attraversare incomprensibilmente barriere di potenziale ad esse interdette), molte perplessità ha suscitato la disuguaglianza di Bell, │Δ X│≤2, ottenuta sulla base dell’esperimento immaginato da Einstein, Podolsky e Rosen (EPR), come conseguenza dei fondamenti della meccanica quantistica.
Il nucleo concettuale dell’esperimento formalizzato da Bell è il seguente. Se le premesse della meccanica quantistica sono vere, allora due fotoni emessi nello stesso istante in direzioni opposte da una sorgente Δ devono continuare a rimanere “in qualche modo” collegati, pur essendo lontani. Si verificò in seguito che se ad una particella veniva cambiato il senso di rotazione (spin), anche l’altra particella invertiva istantaneamente ed indipendentemente dalla distanza dalla prima il proprio senso di rotazione, manifestando come chiosò lo stesso Einstein <<inquietanti passioni a distanza>> (in S. L. Jaki, Dio e i cosmologi, LEV, Città del Vaticano 1991, p. 150). 
In effetti, la disuguaglianza di Bell esprime davvero un significato sconcertante per la fisica, perché apre le porte all’irrazionalismo, contraddicendo le basi stesse che sostengono la metodologia scientifica, nelle quali non trova spazio alcun riferimento alla trascendenza, né tanto meno alla mistica. 
La disuguaglianza di Bell sembra dimostrare proprio questo. Ossia, un collegamento extra sensoriale fra le particelle che hanno interagito tra loro e che continuano a mantenere una memoria o una “presenza” reciproca l’una nell’altra. Come se entrambe avessero una coscienza comune e fossero in grado di influenzarsi in modo scambievole, comunicando istantaneamente (telepaticamente?), nonostante la notevole distanza che le separa. La diseguaglianza di Bell rimette dunque in gioco quelle aperture spirituali e trascendenti escluse dai protocolli della scienza induttiva, fondata sulla speranza materialistica di spiegare il tutto nell’ambito dell’immanentismo. 
Per spiegare le stranezze al limite della paranormalità indicate dalla disuguaglianza di Bell, i fisici “ortodossi” hanno messo in moto una sorta di “fantasia formalizzata”, una idealizzazione matematica in grado di rendere ancora più incomprensibile l’evento delle particelle che comunicherebbero fra loro “telepaticamente”. È questo un procedimento utilizzato spesso nella fisica quando ci si trova di fronte ad un “qualcosa” che non rientra nei canoni ordinari. Si introducono allora nuovi termini (forze, campi vettoriali, cronotopo, stringhe, ecc), nuove astrazioni. Si “esoterizza” insomma il linguaggio formale, restringendone l’usufrutto ai soli addetti ai lavori nascondendo così i buchi della tovaglia nuova. Difetti di fabbrica, sempre possibili nell’ambito delle maestranze umane, per quanto impegnate nella nobile, complessa e privilegiata arte della ricerca scientifica. Un po’ come fece Newton, quando estrasse dal baule pitagorico il concetto di “forza” gravitazionale, per spiegare l’azione a distanza fra i corpi. Concetto che suscitò non pochi dubbi e perplessità, dal momento che introduceva nella fisica ipotesi indimostrabili estranee alla stessa. 
Infatti, in seguito, il concetto di “forza” così come la intendeva Newton venne abbandonato e sostituito con quello ancora più astratto e formale di “campo vettoriale”. In tal modo, la realtà viene trasposta nel piano dell’astrazione formale. Gli aristotelici chiamavano questo errore: metabasis eis allo genos. Confondere una categoria con l’altra. In questo caso, identificare, nell’ottica razionalista in cui Hegel si muove, il reale con il razionale. La fisica con la matematica. 
Di fronte a questo complesso e contraddittorio dibattito, fra reale e razionale, realismo ed antirealismo, interno alla meccanica quantistica risuona nel cuore dei semplici il monito lanciato da Gesù nei confronti dei dottori della legge del suo tempo, colpevoli di aver tolto <<la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito>> (Lc 11, 52). Al tempo di Cristo, non esisteva ancora la figura dello scienziato moderno, saccente, vanesio, cocciutamente agnostico. In forma estrema, Odifreddi. O moderata, Zichichi. Tuttavia, nell’antica Palestina i precursori di questi “pericolosi” personaggi contemporanei, così pieni di sé e delle proprie cognizioni da non abbassare la testa nemmeno di fronte a Dio, erano gli scribi, i sacerdoti ed i dottori della Legge. Molti dei quali detenevano una religiosità falsa ed ipocrita, ed una scienza surrettizia collegata alla tradizione magica egizia, caldea e babilonese. Qualche secolo dopo sant’Agostino scriverà  in proposito:<<Le divine Scritture insegnano a evitare e irridere non tutti i filosofi, ma i filosofi di questo mondo. C’è infatti un altro mondo, lontanissimo da questi occhi, che l’intelletto di pochi sani riesce a vedere, come afferma lo stesso Cristo, che non dice: Il mio Regno non è del mondo, ma: Il mio Regno non è di questo mondo>> (De ordine, 11, 32). Cristo peraltro non ha mai fornito nessuna seppur minima indicazione positiva nei confronti della scienza di questo mondo, che pure è divenuta così importante ai nostri giorni. Non ha mai incoraggiato i suoi apostoli allo studio razionale della realtà, nemmeno ha mai fatto riferimento alla geometria, alla ragione matematica, all’esigenza di una metodologia sperimentale per giungere alla salvezza della propria anima. Come invece ha fatto Pitagora. 
Cristo ha affermato in modo perentorio di cercare innanzitutto il Regno di Dio, estraneo a questo mondo, estraneo alla scienza. Inoltre, indicò se stesso come la Verità, la Via e la Vita da comprendere, seguire, imitare per raggiungere la conoscenza e la salvezza. Ed ammonì quei falsi dottori che con la loro scienza surrettizia impedivano il passaggio dalla conoscenza del mondo a Dio, dalla cosmologia alla teologia. Togliere la chiave della scienza, corrisponde infatti a rimuovere ogni riferimento a Dio nella ricerca razionale, nonostante la sua presenza si mostri proprio nelle opere del mondo naturale: <<le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute>> (Rom 1, 20-25). Chi non segue questa linea, cambia <<la verità di Dio con la menzogna>> e, come afferma ancora san Paolo, è abbandonato da Dio a quelle passioni infami che ai nostri giorni stanno dilagando come non mai. A dimostrazione della grande apostasia che si sta diffondendo in ogni ambito della nostra società tecnologica e desacralizzata. Anche attraverso il tramite di una scienza sempre più astratta, complicata, sempre meno corrispondente al reale, incapace di spiegare dove si stia dirigendo. Come un torpedone che avanza tra il vociare dei passeggeri tra le dune del deserto sperando di ritrovare casualmente la via giusta.